+ Dal Vangelo secondo Matteo (23,1-12)
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Il problema dell’arroganza degli scribi e dei farisei scaturiva da una indecente usurpazione, essi si erano seduti sulla cattedra di Mosè e insegnavano le loro teorie, trascurandone molte di quelle antiche. Come succede anche oggi in moltissime facoltà di Teologia, dove è quasi difficile trovare l’insegnamento del Magistero autentico della Santa Chiesa.
I teologi che ancora resistono alla ventata neomodernista che ha sommerso la sana dottrina, sono quasi costretti ad insegnare sottovoce. Questi teologi coerenti aiutano secondo la Volontà di Dio i nuovi Sacerdoti, i quali diventeranno l’aiuto spirituale determinante per milioni di cattolici.
I Sacerdoti pieni di Fede e non disponibili a barattare con il mondo pagano la fiducia che Gesù ripone in essi, sono quelle lampade accese che emanano tanta luce da poter guidare sul corretto percorso spirituale anche i ciechi.
La cecità spirituale si trova inevitabilmente in tutti i cattolici che hanno trascurato la formazione spirituale e hanno scelto con estrema debolezza una vita superficiale, quella che illude allegramente e allo stesso tempo annebbia l’intelletto.
Gesù oggi ci dice che l’uomo è molto bravo anche nel compiere opere contrarie a quanto afferma. Ci vuole poco a diventare bravi nel compiere il male, ognuno trova in sé l’inclinazione naturale e non deve sforzarsi molto per degenerare ancora di più la sua vita.
È impegnativo invece fare del bene, farlo bene, per amore e con sommo disinteresse.
Chi detiene il potere e non è rinforzato spiritualmente, se non prega e non cura una Fede concreta in Gesù, inevitabilmente finisce per agire come un piccolo dio, ed è il potere a trasformare con un automatismo sincronizzato tutti i potenti che nel loro operare assumono la mentalità del “do ut des”.
Questa locuzione latina è una formula di origine giuridica presente nel diritto romano che si usa per dire che si fa un favore per riceverne un altro: “Do a te perché tu dia a me”. O più volgarmente:“Io do affinché tu dia”. Non approfondisco adesso questo aspetto cancerogeno che distrugge i valori umani.
La preoccupazione del legislatore dovrebbe iniziare dalla ricerca sincera e costante del bene comune, la gestione del potere deve essere considerata come un servizio più che un titolo di nobiltà acquisita anche se temporanea.
Tanto più questo deve viverlo il Sacerdote, sia per la sacralità della sua missione sia per la durata dell’incarico fino al momento della morte. Il suo essere uomo sacro, un Altro Cristo resterà eternamente.
La responsabilità del Sacerdote davanti a Dio è spaventosa, e una maggiore consapevolezza del suo ruolo accresce la smania di voler fare bene.
Non è una apprensione insensata per il suo essere Sacerdote, anzi è un dono meraviglioso ed unico diventarlo e divenire proprio lo strumento su cui agisce Gesù Cristo. È invece la responsabilità che incute una gioiosa preoccupazione per quanto è chiamato a compiere.
Appunto, ogni Sacerdote è chiamato all’imitazione di Gesù, a diventare modello per tutti e non solamente dei cristiani, ma il suo ruolo deve diventare un servizio e non un potere. La sua missione vissuta nell’intensa preghiera lo deve rendere sempre più interessato al bene di tutti i parrocchiani, senza alcuna forma di discriminazione.
Solo così il Sacerdote è modello di vita cristiana e la sua vita è una vera testimonianza.
Sarà sempre coerente e non sarà mai come tanti che “dicono e non fanno”.
Chi non è umile non può servire gli altri, senza umiltà e spirito di servizio non è possibile vivere la carità, che resta inefficace.
Gesù è l’esempio supremo di umiltà e di dedizione agli altri. Nessuno ebbe mai dignità paragonabile alla sua, nessuno servì con altrettanta sollecitudine gli uomini: “Io sto in mezzo a voi come Colui che serve”. Tuttora mantiene lo stesso atteggiamento verso ciascuno di noi: disposto a servirci, ad aiutarci, a sollevarci dalle cadute.
Imitiamo Gesù nel saper servire con amore tutte le persone che conosciamo. Servire significa essere utili, disponibili, premurosi nell'aiutare, collaborare per sanare le ferite morali altrui, fare del bene, essere docili con chi non ci ama e amare tutti senza limiti.
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