Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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martedì 31 gennaio 2012

1279 - Commento al Vangelo del 31/1/2012

+ Dal Vangelo secondo Marco (5,21-43)
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Questa memorabile pagina del Vangelo ci presenta due miracoli veramente forti con due modalità diverse. Il primo miracolo è invocato da una donna malata, con gravi perdite da dodici anni, un caso pietoso e inguaribile a quel tempo. Gesù cammina in mezzo a migliaia di persone, tutti Lo toccano ma una unisce anche un’implorazione, chiede mentalmente, quindi con un’invocazione scaturita dal suo cuore la guarigione da quella malattia che la tormentava.
Gesù come Uomo non si accorse della donna ma avvertì la forza spirituale che era uscita da Lui, sapeva che era avvenuto quel miracolo e cercava la donna. Vedete, anche quando Gesù sembra guardare altrove, compie miracoli meravigliosi. Molti cristiani pregano male o non vogliono neanche tentare.
E chi non è pratico con la preghiera giornaliera e profonda, ha difficoltà a pregare bene.
Questo miracolo ci dice che Gesù è sempre presente nella vita dei credenti, non ci lascia mai soli e sempre ascolta le preghiere e le invocazioni. Dobbiamo irrobustire la nostra Fede con la pratica convinta e amorosa delle virtù e della preghiera interiore ed umile. Quanti cristiani corrono da un luogo all’altro per provare nuove esperienze e conoscere apparizioni, rimanendo vuoti interiormente e sempre immaturi nella vita spirituale.
La donna di oggi cerca Gesù, non và in cerca di nuovi profeti che diventano protagonisti o di veggenti dalla dubbia fama, cerca solo il Signore e a Lui offre la sua malattia. La sua Fede si manifesta nel voler toccare il mantello di Gesù, è convinta che Gesù è il Signore, il contatto con il Divino è un atteggiamento di chi vive nella più cruda sofferenza e cerca conforto.
Da un miracolo richiesto dalla persona sofferente passiamo al miracolo ottenuto per l’intercessione di altri.
Addirittura è “uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro”, un ebreo convinto e oppositore della nuova dottrina di Gesù. Eppure… avviene l’impensabile, rinsavisce… la causa è l’imminente morte della figlia, quindi, deve esserci sempre un motivo grave perché l’uomo rientri in se stesso e si scopra “nudo e povero”.
Nella maggioranza dei casi le grandi conversioni avvengono nella sofferenza e nelle prove.
Qui ci troviamo dinanzi un uomo che smette di seguire la sua ragione per abbandonarsi alla potenza Divina di Gesù. Non solamente cercava Gesù, addirittura «come Lo vide, gli si gettò ai piedi e Lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”».
Sentite queste parole, pur sapendo che un miracolo compiuto nella casa di Giàiro avrebbe scatenato ancora di più gli scribi, Gesù andò con lui per guarire la fanciulla. Ma era già morta, glielo dissero per strada e il suo cuore si sgonfiò, Gesù invece la pensava diversamente: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”.
Gesù ordinò all’anima della fanciulla di ritornare nel corpo di lei e avvenne una risurrezione che al solo pensarci mette i brividi. Era morta ed è tornata in vita, il corpo era spento e lo Spirito Santo lo ha rianimato. Che grande miracolo! Gesù risuscita anche i morti, ridona la vita anche a quei peccatori che vagano come cadaveri nel mondo, senza mèta e pieni di nulla.
Giàiro pensò a Gesù, Lo cercò, Lo vide, si getto ai suoi piedi e implorò il miracolo.
Imitiamo la Fede della donna malata e di Giàiro, i miracoli avverranno con maggiore facilità.


Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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lunedì 30 gennaio 2012

1278 - Commento al Vangelo del 30/1/2012

+ Dal Vangelo secondo Marco (5,1-20)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
La scelta di vivere come i porci viene spontanea a quelle persone senza moralità, pronte a compiere ogni reato e ogni forma di ingiustizia per saziare la fame di cattiverie. Scelgono deliberatamente di assomigliare ai porci, scelgono il fango per rivoltarsi e specchiarsi con grande piacere.
Sono i familiari di queste persone dedite al male a soffrire tremendamente.
Oggi San Marco ci propone un altro forte intervento di Gesù contro i diavoli che possedevano il corpo di un uomo, anche qui compie un efficace esorcismo. Bisogna valutare un comportamento violento dell’uomo posseduto, “continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre”.
Questo comportamento viene valutato oggi come malattia schizofrenica, chi ne è colpito viene ricoverato per lunghi periodi e imbottito di medicine, fino a diventare un automa.
“La schizofrenia è una forma di malattia psichiatrica caratterizzata, secondo le convenzioni scientifiche, da un decorso superiore ai sei mesi (tendenzialmente cronica o recidivante), dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell'affettività, con una gravità tale da limitare le normali attività della persona”.
Questa malattia può quindi avere una causa naturale o una azione martellante e opprimente di satana per debilitare emotivamente la persona, prostrarla e sfiancarla, creando pensieri fissi e dolorosi oppure causando incomprensioni gravi con familiari. Nel secondo caso la sofferenza è voluta da satana e sa bene che nel tempo diventerà una malattia. Ma se la persona ricorre alla preghiera e chiede benedizioni al Sacerdote, satana sarà costretto a fuggire e forse ritornerà dopo tempo. Ma se troverà la persona impegnata nella preghiera, non potrà fare nulla.
Quante persone con disturbi mentali sono in realtà colpite da una forma di possessione diabolica?
L’uomo posseduto del Vangelo agiva come un matto, “continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre”, dava a tutti la convinzione che fosse malato e irrecuperabile. Quante persone con problemi mentali conoscete e pregate per esse o portate l’acqua benedetta dal Sacerdote?
Oltre al problema mentale satana è capace di portare sofferenze in tutte le parti del corpo umano. Con aperta semplicità vi descrivo un problema che mi capita da diversi anni. Utilizzo il computer per scrivere libri, riviste, articoli, commenti al Vangelo e tanto altro, tutto a servizio di Gesù e della Madonna. Da alcuni anni ho un’allergia alle mani che procura piccole ferite non sanguinanti e che si rimarginano dopo alcuni giorni. Utilizzo creme per le mani dopo vari controlli da dermatologi e allergologi. Questa allergia è naturale, fino qui non c’è un intervento diabolico. Però, si introduce satana in due circostanze.
Quando lavoro al computer, da queste piccolissime ferite proviene un bruciore incredibile, come spine nella carne, un dolore proprio simile a tante punture. Facevo ricorso alla crema Clobesol per calmare questi bruciori inenarrabili. Mi succede anche quando mi trovo lontano dal computer ma parlo di spiritualità quindi di cose sante. Ho capito che questi bruciori erano un attacco di satana, così ho cominciato a fare croci sulle piccole ferite e immediatamente il bruciore scomparve.
Non utilizzo più la crema, i bruciori con le benedizioni che faccio scompaiono subito e per un po’ non ritornano. Siccome lavoro molto sia al computer sia come guida spirituale, si ripetono molto spesso i forti bruciori ed io faccio il segno di croce sulle piccole ferite e sul palmo della mano per almeno una ventina di volte e il dolore subito scompare.
Vi ho trasmesso questa confidenza per aiutarvi a capire che nel Nome di Gesù possiamo vincere certe malattie se sono causate da satana oppure ottenere la guarigione se sono naturali. Comunque, con la Messa e il Santo Rosario terrorizziamo tutti i diavoli e ritroviamo la forza per vincere il male e andare avanti con coraggio.
Nel Vangelo Gesù allontanò i diavoli dalla donna curva da 18 anni e subito guarì. La malattia era voluta da satana.
Pregate anche voi per le mie mani, oggetto della furia satanica per tutto quello che scrivo e le anime che si salvano.


Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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1277 - Vita di Gesù (paragrafi 286-287)

DALLA PRIMA PASQUA FINO ALLA SECONDA


I mercanti del Tempio


§ 286. Dal battesimo di Gesù erano trascorsi pochi mesi: ormai era vicina la Pasqua del nuovo anno che, secondo le nostre prefe­renze giustificate a suo luogo (§ 176), era l'anno 28 dell'Era Volga­re. Per questa Pasqua Gesù aveva deciso di compiere il pellegrinag­gio (§ 74), perciò partì da Cafarnao alla volta di Gerusalemme. Giunto nella capitale e recatosi al Tempio, egli si trovò davanti alla solita scena che avveniva colà più che mai in occasione delle grandi feste. L'atrio esterno del Tempio era diventato una stalla appestata dal fetore del letame, e risonava del muggito dei bovi, del belato delle pecore, del pigolar dei colombi, e soprattutto delle alte grida dei mercanti e dei cambiavalute istallatisi per ogni dove (§ 48); da quell'atrio si poteva solo remotamente udire una debole eco dei canti liturgici che s'innalzavano al di dentro e intravedere un debole chiarore della lontana luminaria sacra. Altri segni religiosi non ap­parivano in quel vasto recinto, che si sarebbe detto una fiera di bestiame e un convegno di truffatori, piuttosto che l'anticamera della casa ove abitava l'immateriale Dio d'Israele. Gesù era stato certamente testimone di tale scena altre volte nei suoi precedenti pellegrinaggi a Gerusalemme, ma allora la sua vita pubblica non era ancora cominciata; adesso invece la sua missione doveva svolgersi in pieno, ed egli doveva agire come avente autorità (Matteo, 7, 29; Marco, 1, 22) anche per dimostrare la sua missione. Riunite perciò delle corde a mazzo, si dette a percuotere bestie e uomini, rovesciò tavoli di cambiavalute, sparpagliò a terra muc­chietti di monete, scacciò via tutti liberando il sacro recinto: Fuori di qua! Non fate la casa del Padre mio casa di traffico! (Giov., 2, 16). - Non sta scritto “La casa mia casa di preghiera sarà chiamata per tutte le genti”? (Isaia, 56, 7). Voi invece l'avete ridotta a spe­lonca di ladroni (Marco, 11, 17). Già sei secoli prima il profeta Geremia aveva visto il Tempio ri­dotto a spelonca di ladroni (Ger., 7, 11); ma i sacerdoti e i magi­strati sacri contemporanei a Gesù dovevano pensare che la voce di Geremia era troppo lontana, mentre troppo vicino era il vantaggio che l'amministrazione del Tempio ricavava da tutto quel mercan­teggiare perché fosse conveniente farlo cessare. E Gesù lo fece ces­sare a suon di flagelli.


§ 287. In teoria non c'era nulla da eccepire, come ben vedevano gli stessi Farisei; ma in pratica si poteva sempre domandare a Gesù perché aveva compiuto egli personalmente quell'atto di autorità, e non aveva invece invitato a compierlo i magistrati che avevano la direzione del Tempio. Chi aveva dato a lui l'autorità di far ciò? Anzi, più ampiamente, perché mai egli piovuto giù dalla Galilea aveva preso, come appariva dalle sue prime azioni, un atteggiamento del tutto indipendente dalle autorità costituite e molto simile a quello di Giovanni il Battista? Gli si avvicinarono pertanto alcuni Giudei, certamente insigni, e gli dissero: “Quale segno ci mostri che fai ciò (legittimamente)?“. Rispose Gesu' e disse loro: “Demolite questo santuario, e in tre gior­ni lo farò sorgere!”. Dissero pertanto i Giudei: “In quarantasei anni fu costruito questo santuario, e tu in tre giorni lo farai sor­gere?”. Già vedemmo che questa risposta dei Giudei contiene un'indicazione molto importante per stabilire la cronologia della vita di Gesù (§ 176); ma la stessa risposta mostra anche che quegli inter­locutori non avevano capito a che cosa alludesse Gesù, e con essi certamente anche l'evangelista testimonio che narra questo fatto. I Giudei avevano chiesto un segno ossia un miracolo: ciò era troppo, perché l'azione di Gesù si giustilicava da se stessa, tanto più che i magistrati del Tempio avevano trascurato d'intervenire per far cessare quella profanazione come sarebbe stato loro dovere. Ad ogni modo, essendo stata chiamata in causa la missione di Gesù, egli ne offre una prova vera e reale ma che sarà compresa soltanto dopo molti mesi, mentre al presente non appagherà affatto la cu­riosità maligna degli interroganti. Il santuario a cui alludono le parole di Gesù è il suo stesso corpo; quando i Giudei avranno disfatto quel santuario vivente, egli lo farà sorgere di nuovo entro tre giorni. Pronunziando queste parole, può darsi che Gesù abbia anche accennato a se stesso con un gesto; comunque fosse, tutti gli ascoltatori pur non comprendendo la ri­sposta se ne ricordarono più tardi, i Giudei per accusare Gesù (§ 565), i suoi discepoli per credere in lui riconoscendo nella sua resurrezione il segno offerto agli interroganti (Giov., 2, 22). Sebbene i maligni non fossero stati appagati da Gesù nella loro richiesta del segno, tuttavia già in quella sua prima permanenza pasquale in Gerusalemme, molti credettero nel nome di lui, vedendo i segni di lui che faceva (Giov., 2. 23). Ma più che fede di cuore, era fede di cervello, mentre Gesù cercava assai più quella che questa; perciò anche non affidava se stesso a loro, perché egli conosceva tutti (Giov., 2,24), mentre agli incolti ma generosi discepoli della Galilea egli si era affidato. Ad ogni modo anche La fede di cervello è preparazione ed invito a quella di cuore, e appunto qui l’evangelista “spirituale” fa assistere ad un colloquio tra uno che aveva già fede di cervello e Gesù che invece lo solleva in tutt’altra sfera: pare di assistere ad una scena di un pulcino sollevato sopra le nubi dell’aquila, ed è scena prediletta dell’evangelista “spirituale” che la riprodurrà in altre occasioni. (§ 294).
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domenica 29 gennaio 2012

1276 - Commento al Vangelo del 29/1/2012, domenica IV t.ord.

+ Dal Vangelo secondo Marco (1,21-28)
In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea. 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Continuiamo a leggere notizie sulla Concordia e alcune ci lasciano davvero addolorati. Ieri è stato ritrovato un altro cadavere, il corpo è stato identificato e si tratta di Erika Fani Soriamolina, peruviana. Erika, 25 anni, era laureata in Turismo all’Università Andina di Cusco, la notte del naufragio si è comportata da vera eroina aiutando molte persone a salire sulle scialuppe di salvataggio. Con il ritrovamento di Erika, il numero dei dispersi scende a 16.
Ho letto che da quel giorno in televisione si ripetono un po’ i racconti del naufragio scadendo nella ripetitività e nell’ovvietà. L’amarezza viene dal pensiero che tutta la tragedia è avvenuta per la segnalazione data con un’ora di ritardo, il tempo necessario per permettere a tutti una sicura salvezza. Invece, 33 persone hanno perduto la vita, non sono più in mezzo ai loro cari, sono scomparse dalla vista dei loro familiari e amici. Non c’è prezzo paragonabile alla vita.
Mentre molti chiamati ad aiutare il prossimo fuggivano, questa ragazza è rimasta sul ponte ad aiutare i turisti, forse avrà aiutato anche quel parroco di Besana Brianza, don Massimo Donghi, tra i primi a raggiungere la scialuppa e salvarsi la vita. Sarà difficile per lui parlare nelle omelie di amore per il prossimo e spiegare che “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
Preghiamo per i 33 morti della tragedia e per quanti hanno ignorato i bisognosi per mettersi in salvo!
Lascio questa tragedia per passare a una bestialità: con la crisi economica vicina al fallimento delle Nazioni, la Rai paga Celentano circa 750 mila euro per la sua presenza a Sanremo. In questo sacro commento inserisco notizie che non dovrebbero interessarci, invece ci riguardano, perché in Italia ci sono 8 milioni di poveri, famiglie monoreddito che non riescono più ad andare avanti, milioni di disoccupati senza cibo, decine di migliaia di aziende fallite con incalcolabili persone disoccupate e disperate, altrettante decine di migliaia di aziende sul punto di fallire e vai a regalare a un uomo miliardario una somma così elevata!
Cosa se ne fa questo personaggio di questo denaro se già ne possiede vagoni pieni?
Comprendo che i suoi fan lo difenderanno, ma con un po’ di buon senso si chiedano se è ragionevole questa cifra! Non discuto sulla presenza dell’artista a Sanremo, non mi interessa, è il cachet spropositato che amareggia. A quanto pare ha discusso molto per ottenere questa alta cifra. Neanche fosse un questuante …
Come ha fatto discutere la partecipazione di Benigni ad una trasmissione qualche mese fa, ottenendo 400 mila euro per una ventina di minuti di spettacolo. Soldi che elargisce la Rai, la quale li ottiene dagli abbonati costretti a pagare il canone. Vi ricordate dieci anni fa che alta considerazione si dava a 800 milioni di lire? O a un miliardo e mezzo di lire?
I soldi pagati a questi artisti sono un insulto alla povertà, ignorano gli italiani in piena crisi economica.
I fan di questi personaggi la pensano diversamente, è evidente, ricordino che proprio Celentano nei suoi confusi sermoni ha cercato di difendere a modo suo la legalità, ed oggi non può incassare questa enorme cifra ignorando la situazione economica e la crisi che milioni di italiani si portano a tavola dentro i piatti. Celentano partecipi gratis a Sanremo, senza dire che devolverà i soldi perché nessuno ci crede.
Scrivo queste parole e mi rendo conto che poche sono le voci che denunciano le contraddizioni della società. Quelli della Rai non ne parlano perché parte interessata, altre televisioni ignorano perché anche lì si guadagna bene, i quotidiani istigano a creare confusione e noi continuiamo a pregare per la conversione del mondo… E continueremo a farlo!
Tutti loro ignorano il Vangelo e ripetono contro Gesù: “Che è mai questo?”, evidenziando che non c’è più posto nel mondo per il messaggio evangelico, non c’è quasi più verità e giustizia. Non intendo la giustizia della magistratura italiana, quella viaggia spedita verso il baratro, lo dice il rapporto «Doing Business 2012» della Banca Mondiale. I record di efficienza della giustizia in Italia sono tutti negativi. Meglio funziona la macchina giudiziaria del Vietnam, ancor di più quelle di Gambia e Mongolia. L’Italia si trova agli ultimi posti in Europa e nel mondo: è la numero 158 su 183 Paesi.
Si leggono e si conoscono storie giudiziarie italiane da far inorridire. E non trovano soluzioni a favore dei cittadini…
Non solo nella società pagana, anche tra i cristiani si è diffusa la malattia del qualunquismo imperante, una insensibilità sociale unita al cinismo e allo scetticismo che hanno privato la gente della voglia di cercare la giustizia del Vangelo e l’onestà della giustizia degli uomini. Si accetta tutto passivamente, non si annuncia nel Nome di Gesù il desiderio di una nuova politica onesta e una magistratura al servizio della verità.
Vediamo che molti cristiani sono disillusi, convinti che nulla cambierà nella vita e nella società. Ed è un consegnarsi al nemico! Preferiscono rimanere assuefatti a questo modo di vivere piuttosto che elevare il grido del Vangelo, indicando un modello sublime e indispensabile: Gesù Cristo.
Le cose cambiano se siamo noi a cambiare. Non possiamo cambiare gli altri, cominciamo da noi…
Il Vangelo ci dice che Gesù insegnava per cambiare il mondo, se non si accoglie la sua Parola si rimane avvinghiati alla materia che corrode dentro. Uno dei primi impegni nella vita spirituale è di guarire l’anima, la vita interiore, non si può continuare a pregare in una situazione di odio, malizia, egoismo. C’è un dèmone dentro che và vinto, allontanato dalla potenza guaritrice del Signore. Ma il Signore spesso viene allontanato dai luoghi di preghiera.
Stranamente i pericoli maggiori Gesù li incontra dentro la sinagoga, il luogo della preghiera. Per tre volte vi si reca e tre volte viene a trovarsi in pericolo. In questo Vangelo Lo ridicolizzano, altre due volte tentano di ammazzarlo e i suoi amici di Nazareth Lo considerano matto.
Oggi il Vangelo ci dice che mentre Gesù insegnava nel giorno di sabato, un uomo posseduto Lo interruppe e cominciò a gridare. I diavoli gridano di terrore e di spavento davanti a Gesù, pensateci bene, convincetevi che dove c’è Gesù, satana non può fare nulla, può sempre cercare di infastidire ma non vince mai.
Nella sinagoga dinanzi le parole di Gesù la gente era stupita, Egli mostrava un’autorità mai vista, mentre gli scribi insegnavano con molta noia e disinteresse. Gesù non solo manifestava la sua Onnipotenza, dalla sua Persona fuoriusciva lo Spirito Divino che avvolgeva i presenti, tranne quelli che vivevano nell’odio. È sempre così, chi odia non può ricevere nulla da Dio, non è disposto ad accogliere.
Gesù mostrava con il suo fervore che veniva da Dio. Sentivano fortemente in Lui la presenza di Dio.
E a Gesù basta dire alcune parole per liberare l’uomo posseduto: «“Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui». Questo potere Dio lo trasmette agli esorcisti soprattutto, i quali nel Nome di Gesù scacciano i diavoli, ma ogni cristiano con Fede, umiltà e devozione, può mettere terrore a tutti i diavoli. Già quando il cristiano prega, per i diavoli è una tortura e si allontanano, per questa ragione è importante pregare spesso nella giornata e quando si è impegnati si possono ripetere le giaculatorie spontanee, che sono le brevi invocazioni o suppliche. Brevi preghiere che riscaldano l’anima e riportano il fervore in tutta la persona.
Se non si aggiunge legna nella stufa non emana più calore. Lo vedo io che utilizzo la stufa a legna, molta legna regalata da persone generose. Questo riscaldamento dipende da noi! Come ognuno di noi può riscaldare l’anima di fervore con molte brevi preghiere anche quando lavora o si trova fuori casa, in viaggio e in compagnia di altre persone. Mentre le preghiere prolungate si recitano nei momenti di calma e raccoglimento.
Ad ognuno di voi chiedo di iniziare l’apostolato della Parola con i familiari, amici, colleghi, conoscenti, insegnando che nelle anime in cui regna Gesù, non c’è posto per i diavoli e per l’odio. Molte malattie fisiche sono causate dalla mancanza della Grazia di Gesù, non pregano o pregano male, senza amore e verità. Vi assicuro che molte malattie causate dall’ansia, dalla tristezza, dal nervosismo, dall’egoismo e dalla superbia, scaturiscono per la mancanza di Gesù.
Se molti malati pregassero come vuole Gesù, certe malattie scomparirebbero.
Quanti non vivono in Grazia di Dio sono facile preda di attacchi fisici e di sensazioni che arrivano dai diavoli e di conseguenza ricorrono a cure mediche e a preoccuparsi maggiormente. Conosco molte persone malate e prendevano molte medicine, mentre dopo la Confessione e il cammino di Fede sono guarite. È molto importante ricevere benedizioni dai Sacerdoti, fatevi benedire spesso dai vostri parroci.
C’è bisogno delle benedizioni dei Sacerdoti, perché ai diavoli si sono aggiunti molti loro seguaci. Lo dice l’uomo posseduto del Vangelo: “Che c'entri con noi? Sei venuto a rovinarci?”. Parla al plurale, intendendo tutti i diavoli e tutti gli uomini che compiono le opere dei diavoli. Quindi, lottiamo contro molti nemici, solo la preghiera prolungata e forte può farci vincere ogni attacco di satana.
La notizia di oggi è che Gesù libera l’uomo dai diavoli, dall’odio, dall’egoismo, dai vizi.
La liberazione vera e duratura la trovano quelli che seguono il Signore nella fedeltà al suo Vangelo, quindi, nella fedeltà alla dottrina che si deve trasmettere. Sono tempi molto difficili, nessuno si abbatta mai e reagisca con la certezza che Gesù e la Madonna sono sempre vicini a noi e ci liberano dai mali che ci affliggono. Preghiamo sempre con vera Fede, amore, umiltà.


Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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sabato 28 gennaio 2012

1275 - Commento al Vangelo del 28/1/2012

+ Dal Vangelo secondo Marco (4,35-41)
In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Non si capisce l’atteggiamento del figlio di un italiano che accusa tutti gli italiani di essere codardi (vigliacchi, pusillanimi). Non è un figlio nato in Italia è vero, vive in Germania e sua madre è tedesca, ma il padre italiano indica che lui è anche figlio dell’Italia. Il settimanale tedesco “Der Spiegel” definisce gli italiani un popolo di codardi. “Non sono una razza”, addirittura scrivono. Secondo loro siamo tutte persone da evitare. Si considerano bravi e coraggiosi, “con noi certe cose non accadono perché a differenza degli italiani siamo una razza”.
Che i tedeschi si considerino una razza superiore lo abbiamo già letto nei discorsi di Hitler…
Il direttore del famoso settimanale tedesco “Der Spiegel”, ci ha definiti un “popolo di codardi”, è un uomo di 47 anni. Si chiama Georg Mascolo, figlio di un italiano (di Castellammare di Stabia). Città non troppo lontana (13,6 chilometri, circa venti minuti in auto) da Meta di Sorrento, il paese di Francesco Schettino. Nel 1977 questo settimanale ci definì tutti mafiosi, periodicamente ripetono queste offese gratuite, dimenticando cosa ha fatto Hitler.
Noi abbiamo avuto uno Schettino che ha sbagliato e sbagliare fa parte dell’uomo, ma la Germania ha avuto un campo di concentramento in cui era concentrato l’orrore e la morte camminava vestita di ossa umane. “Il campo di concentramento di Auschwitz fu uno dei tre campi principali che formavano il complesso concentrazionario situato nelle vicinanze di Auschwitz. Facevano parte del complesso anche il campo di sterminio di Birkenau, situato a Birkenau, il campo di lavoro di Monowitz, situato a Monowitz, ed i restanti 45 sottocampi costruiti durante l'occupazione nazista della Polonia”.
Ad Auschwitz i tedeschi uccisero milioni di persone, bruciandoli vivi o nelle camere a gas.
Non vogliamo ricordare per accusare, la memoria deve essere perdono e amore fraterno. Il direttore figlio di un italiano non lo ha ancora compreso. Il titolo in copertina per vendere qualche copia in più l’ha preferito allo spirito del cordoglio per la tragedia della Concordia. Ognuno manifesta quello che ha dentro.
Il disastro della nave ha causato parecchi problemi anche a quanti si sono salvati. Oltre lo shock che ha arrecato gravi turbamenti difficilmente superabili, sono avvenuti episodi curiosi.
Una notizia che avevo letto due giorni fa: “Sulla Costa Concordia c’era anche un parroco di Besana Brianza”. Fin qui nulla di male, nel senso che questo parroco, don Massimo Donghi, risponde alla sua coscienza e a Dio, non voglio assolutamente sindacare sulle sue scelte. Se la notizia fosse stata solo questa, non l’avrei riportata qui, purtroppo ieri è venuta fuori qualcos’altro che disturba la serietà di un Sacerdote, perché appanna la sua coerenza.
Sappiamo molto bene che se il Sacerdote non è coerente, le sue omelie e le catechesi non vengono accolte.
Questo parroco, don Massimo Donghi di Besana Brianza, aveva detto a tutti i parrocchiani che a metà gennaio sarebbe andato in ritiro spirituale e che sarebbe stato per una settimana in preghiera contemplativa, mentre poi in realtà è andato in crociera ed è stato uno dei primi a scappare dalla nave Concordia e a salire sulla prima scialuppa. Anche questo fatto di essere stato tra i primi a lasciare la nave ed avere lasciato anziani, bambini e donne nel panico e nella sofferenza più atroce, per cercare di salvare se stesso, ha lasciato sorpresi.
Don Massimo Donghi si è saputo ieri, negli anni passati è stato in prima linea nel condannare le persone politiche che sbagliavano e non i loro peccati, si è impegnato nel gettare fango verso politici della parte politica a lui avversa e ha condannato come un giudice divino l’incoerenza degli altri. Ecco, tutto il problema sta in questa parola: incoerenza.
Don Massimo Donghi si è occupato di politica fino al punto di scrivere articoli contro determinate persone pubbliche, utilizzando parole al vetriolo e facendo in realtà politica, distaccandosi dal suo ruolo di guida delle anime. Un Sacerdote non deve occuparsi di politica, deve difendere i valori cristiani, i principi non negoziabili della nostra Fede, come dice Papa Benedetto XVI.
Il Sacerdote indica ai credenti la Via che devono percorrere loro che vivono nel mondo, chiarisce gli aspetti sociali della politica e lascia liberi i fedeli di orientarsi secondo la loro coscienza.
Per quanto concerne il rapporto tra Chiesa istituzione e politica, il Concilio Vaticano II stabilisce un criterio fondamentale: «La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico, economico e sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è di ordine religioso» (Gaudium et spes, n. 42).
Padre Sorge ha scritto: «La missione “religiosa” della Chiesa non significa affatto disinteresse per la realtà sociale, e in particolare per l'ambito politico; indica piuttosto la prospettiva specifica che la Chiesa ha nei confronti della politica, rimanendo sul piano di un'etica ispirata dalla fede e, nello stesso tempo, razionalmente argomentabile non solo per i credenti. La Chiesa istituzione, quindi, esercita un influsso mediato e indiretto sull'attività politica, in quanto il Vangelo ispira i comportamenti personali e sociali, privati e pubblici, di chi liberamente lo accoglie.
Un secondo criterio è strettamente collegato al primo: la Chiesa in quanto istituzione si autoesclude dall'intervenire direttamente nella prassi politica in senso stretto, partitico. Non perché questa sia qualcosa di sconveniente o di “sporco”, ma perché, nella sua universalità, la missione religiosa non può divenire “di parte” come è proprio di ogni scelta politica
Un terzo criterio, infine, riguarda i rapporti specifici tra la Chiesa e lo Stato: entrambe le istituzioni, nella chiara distinzione degli ambiti e nel rigoroso rispetto della reciproca autonomia, sono chiamate a collaborare in vista del bene comune. La Chiesa non può servirsi della politica a scopo religioso, né lo Stato può servirsi della religione a scopo politico; ciononostante, vi sono campi nei quali, in certa misura, le due realtà si compenetrano: per esempio, in quelli riguardanti i diversi aspetti della vita umana, la famiglia, il diritto dei genitori di scegliere liberamente la scuola e l'educazione per i figli».
Precisa Benedetto XVI: «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare» (Deus caritas est, n. 28).
Spiegato il ruolo del Sacerdote nei riguardi della politica, mi dispiace molto per don Massimo Donghi, gli è cascato addosso tutto quanto aveva gettato sopra gli altri. Spero gli serva per cercare di più la Verità del Vangelo e l’Amore di Dio, lasciando i credenti liberi di orientarsi politicamente secondo la loro coscienza. Perché il Sacerdote non manipola, ma illumina, consiglia, guida e lascia liberi i fedeli di fare le loro scelte. Non si impone l’orientamento politico.
Se don Massimo Donghi si trovava in crociera, ripeto, non dobbiamo essere noi a condannarlo o ad approvarlo, lui conosce le sue motivazioni, è libero delle sue scelte, ma condurre una battaglia di moralità e andare su una nave in crociera a divertirsi non depone a suo favore. Fuggire tra i primi e gettarsi nella prima scialuppa non mostra di saper dare la vita per salvare le anime.
Dove voglio arrivare? A questa conclusione: si è bravi con le parole, è facile lanciare proclami o a sbandierare una certa Fede, ma poi, nella vita privata si può agire in modo opposto. Per noi non sia così, è umiliante per la coscienza e blocca la vita spirituale. Fissiamo nella mente e nel cuore la ricerca in ogni circostanza della coerenza, di vivere la Fede con serietà e verità.
Lo dice Gesù: “Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?” (Mt 7,16).
In me non c’è alcun sentimento di condanna verso questo parroco, posso aggiungere che si è lasciato vincere da una debolezza e potrà ricominciare meglio di prima. Non ha commesso un reato, ma adesso con quale credibilità può parlare ai parrocchiani? Se tra un mese dirà in parrocchia che mancherà alcuni giorni per incontri spirituali, i fedeli che cosa penseranno?
Tra un intervallo per incontri spirituali con persone venute a trovarmi e il tempo per meditare il Vangelo, ho letto la Parola di oggi per esaminarla e vi trovo con sorpresa proprio l’episodio del mare agitato. Gesù mi sta porgendo materiale per descrivere come si comportò Lui durante la grande tempesta di vento. Non sto qui a delineare quanto fosse santa la presenza di Gesù su una misera barca, al freddo, senza cabine né confort, in balia del vento e delle onde che avevano riempito di acqua l’imbarcazione.
Mi commuove leggere che Gesù “se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva”, ma un Dio può mai dormire? Era il riposo del condottiero, ma era più vigile Lui di tutti gli Apostoli che si agitavano. Gesù rimane a poppa, la parte posteriore di un'imbarcazione, sereno e dominatore, anche se per gli altri Egli dormiva.
Gesù non si agita e non fugge, Egli vigila su ognuno di noi, più di una madre sul proprio figlio. Non appena vide il terrore che travolgeva i cuori degli Apostoli, “minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia”. Ecco cosa è in grado di compiere Dio e quanti vivono in comunione con Lui.
Chi dubita, ripete con gli increduli Apostoli: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.
Tutti noi ci troviamo su una nave che galleggia su un mare spesso agitato e violento, molti sono pronti a mollare tutto alla prima tempesta, altri si affidano a Gesù e alla Madonna, sicuri che Loro interverranno. E quando dubitiamo o ci abbattiamo, Gesù ci dice sempre: “Perché avete paura? Non avete ancora Fede?”.


Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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venerdì 27 gennaio 2012

1274 - Commento al Vangelo del 27/1/2012

+ Dal Vangelo secondo Marco (4,26-34)
In quel tempo, Gesù diceva : «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Ieri il portavoce della Santa Sede Padre Federico Lombardi in una nota ufficiale ha espresso malcontento e l’intenzione di una querela verso la trasmissione di mercoledì sera su La7 “Gli intoccabili”. Quella mattina avevo letto di questa trasmissione ma poi la sera per motivi di apostolato non l’ho visto interamente. Ho potuto vedere solo la parte finale, l’intervista al Vescovo ausiliare de L’Aquila don Giovanni D’Ercole presente in studio.
Mi ha colpito sentire le sue parole in una intercessione in cui metteva molta premura all’ex ministro Giovanardi per agevolare un contributo statale di 12 milioni di euro (circa 24 miliardi di lire) ad alcune associazioni di due personaggi del luogo e di una fondazione della Curia, quindi riguardava la diocesi. In studio lui ha negato qualsiasi coinvolgimento, mentre è stato rinviato a giudizio per rivelazioni di segreti d’ufficio. La verità non la sappiamo e non possiamo anticipare nulla, mi auguro per lui e la diocesi che ne escano completamente scagionati.
Ma il portavoce non ha gradito la prima parte della trasmissione dedicata ad un dossier presentato dal Vescovo Mons. Viganò al Papa dopo l’allontanamento da un incarico di rilievo in Vaticano e dopo avere scoperto fatti di corruzione. È un caso spinoso e non voglio giudicare nulla, certo è che la trasmissione si è mossa su un dossier autentico, quindi ci troviamo dinanzi una denuncia coraggiosa di Mons. Viganò.
Il portavoce Padre Lombardi attacca la trasmissione per le «accuse molto gravi», presenta il Governatorato del Vaticano «in modo parziale e banale, esaltando evidentemente gli aspetti negativi», con il «facile risultato» di presentarlo «come caratterizzate in profondità da liti, divisioni e lotte di interessi».
Ovviamente la replica del giornalista Gianluigi Nuzzi è stata immediata: «Noi abbiamo fatto il nostro dovere di cronisti e ci siamo trovati di fronte, per la prima volta forse nella storia della Chiesa, a un Vescovo che denuncia fatti di corruzione che, stando proprio alle sue parole, sono stati portati all'attenzione direttamente del Santo Padre. Una denuncia che viene documentata con carte, lettere, eccetera».
Storie brutte e con Mons. Viganò che è stato trasferito negli Stati Uniti con un incarico di prestigio.
Mi sono arrivati messaggi sconvolti e amareggiati, ma non è l’atteggiamento giusto: la Chiesa è Divina e per questo indefettibile, è la componente umana che la deturpa e ne apre le ferite, ma Gesù riporterà la sua Sposa ad essere come duemila anni fa. Nonostante la afflizioni che colpiscono quanti si considerano figli della Chiesa, la speranza dona la convinzione che Dio salverà questo Sacramento di Salvezza e in Essa regnerà esclusivamente l’amore verso la Santissima Trinità e la Rivelazione del Figlio Divino.
Sappiamo bene che questo è il tempo della lotta tra la Madre di Dio e gli angeli dannati come indica l’Apocalisse: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un Figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il Figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La Donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni. Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi Angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli” (Ap 12,1-9).
Conoscendo l’assalto dei diavoli contro l’umanità, ieri ho celebrato la Santa Messa per tutti voi, sia per chi mi chiede preghiere sia per tutti gli altri iscritti alla neswletter.
Conosco innumerevoli situazioni dolorose di molti di voi e prego ogni giorno per tutti, ieri ho voluto aggiungere la Santa Messa e qui nella piccola cappella trasformata in Calvario ho ripetuto a Gesù i vostri bisogni e di alleviare ogni vostra sofferenza.
Sono sempre vicino a voi con la preghiera e con il cuore, non dimentico mai che fate parte del Cuore Immacolato di Maria.
Il Vangelo ci dice che fare parte del Regno di Dio comporta l’ascolto della Parola e l’obbedienza a Gesù che parla.


Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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1273 - Vita di Gesù (paragrafi 281-285)

Le nozze di Cana


§ 281. Il colloquio con Nathanael è un nuovo punto di partenza per la cronologia dell'evangelista Giovanni; egli fa sapere che il terzo giorno dopo quel colloquio si fecero nozze in Cana della Ga­lilea, ed era la madre di Gesu' colà; e fu invitato anche Gesu', e i suoi discepoli, alle nozze (Giov., 2, 1-2). Poiché, come abbiamo visto, Nathanael era appunto di Cana, è verosimile che egli stesso abbia invitato Gesù e i suoi discepoli Andrea, Pietro, Giovanni e Filippo alle nozze, le quali saranno state di qualche parente o amico di Nathanael stesso; tuttavia dalle parole di Giovanni sembra risultare chiaramente che era la madre di Gesu' colà anche prima dell'arrivo del figlio, e ciò induce a congetturare che pure tra Maria e uno degli sposi esistesse qualche legame: come parente o amica, ella si sarà recata là qualche giorno prima per aiutare le donne di casa nei preparativi, specialmente della sposa, ch'erano lunghi. Non han­no invece alcuna verosimiglianza certi almanaccamenti tardivi che vedono nello sposo o Nathanael stesso, l'evangelista Giovanni, o altri. La Cana visitata comunemente oggi in Palestina è Kefr Kenna, che seguendo la strada maestra sta circa a 10 chilometri a nord-est di Nazareth sul percorso verso Tiberiade e Cafarnao, mentre ai tempi di Gesù la distanza fra questa Cana e Nazareth era 3 o 4 chilometri più breve. Ma anticamente esisteva un'altra Cana ridotta oggi a un campo di ruderi, Kirbet Qana, a 14 chilometri a nord di Nazareth. Si disputa fra gli archeologi quale di questi due luo­ghi sia la Cana del IV vangelo; in favore di ambedue i luoghi esi­stono ragioni non spregevoli, sebbene non decisive, e le stesse rela­zioni scritte degli antichi visitatori sono applicate in favore dell'uno o dell'altro. La questione dunque è tuttora incerta, e d'altra parte non è cosa indispensabile risolverla. Le nozze di Cana furono i nissu’in del cerimoniale giudaico (§ 231). La festa che li accompagnava era certamente la più solenne di tutta la vita per la gente di basso e medio grado sociale, e poteva du­rare anche più giorni. La sposa usciva dalle mani delle parenti e delle amiche tutta ag­ghindata pomposamente, con una corona in testa, imbellettata in viso, con gli occhi splendenti di collirio, con i capelli e le unghie dipinti, carica di collane, braccialetti e altri monili per lo più falsi o presi in prestito. Lo sposo, incoronato anch'esso e circondato da­gli “amici dello sposo”, andava sul far della sera a rilevare la sposa dalla casa di lei, per condurla alla propria; la sposa io atten­deva circondata dalle sue amiche, munite di lampade ed acclamanti al giunger dello sposo. Dalla casa della sposa a quella dello sposo si procedeva in corteo, a cui prendeva parte tutto il paese, con luminarie, suoni, canti, danze e grida festose. Tanta era l'autorità morale di siffatti cortei, che perfino i rabbini interrompevano le lezioni nelle scuole della Legge ed uscivano con i loro discepoli a festeggiare gli sposi. A casa dello sposo si teneva il pranzo, con canti e discorsi augurali, i quali talvolta non erano immuni da allusioni ardite, specialmente quando il pranzo era inoltrato e la comitiva era tutta più o meno brilla. Si beveva infatti senza parsimonia, si tracannava cordialmente, es­sendone tanto rara l'occasione per gente che tutto l'anno faceva vita grama e stentata. E si bevevano vini speciali, messi in serbo da gran tempo e custoditi appunto per quella festa; ancora oggi si possono scorgere in un oscuro angolo di qualche casa araba file di misteriose giarre, e il padrone di casa dirà con compunzione grave che non devono toccarsi perché è vino per nozze. Del resto nelle sacre Scritture ebraiche si leggeva che il vino letifica il cuore dell'uomo, e quella gente voleva obbedire alle Scritture almeno nella letizia nuziale.


§ 282. A tale festa così cordiale, così umana anche nelle sue debolezze, volle partecipare Gesù, come certamente pure Maria avrà con­tribuito al pomposo rivestimento della sposa. Quando Gesù era an­cora ragazzo a Nazareth, sua madre gli avrà più volte narrato che un po' di festicciuola era stata fatta anche quando si erano celebrati i nissu'in per lei, ed ella era entrata in casa di Giuseppe (§ 239). Allora era sorta una nuova famiglia, che Gesù aveva onorata e santificata con un'obbedienza trentennale; adesso, ch'egli sta per uscire da questa famiglia, quasi si volge addietro con rimpianto e vuole onorare e santificarne il principio morale costitutivo. Per questa ragione Gesù, il nato da vergine e che morirà vergine, in­terviene a nozze al termine della sua vita privata e al cominciare di quella pubblica. Anzi, la cominciò con un miracolo tale che, mentre dimostrava la potenza di lui, direttamente servì a rendere sempre più liete e fe­stose quelle nozze. Accortamente Giovanni (2, 11), dopo aver raccontato il miracolo, conclude osservando che quello di Cana fu l'inizio dei “segni” miracolosi di Gesù. A Cana Gesù ritrovò sua madre dopo circa due mesi d'assenza. Era stata forse la prima lunga assenza di lui dalla casa paterna; essendo già morto Giuseppe, la bottega in quel tempo era rimasta inope­rosa e Maria senza compagnia. In quella prima solitudine, più che mai, ella avrà ripensato a lui, alla sua nascita e alla sua preannun­ziata missione, intravedendo che questa stava per cominciare: e avrà fatto ciò, mentre doveva schermirsi dalle domande delle indi­screte donne del paese, o anche dai frizzi degli acrimoniosi parenti (§ 264), che avranno voluto sapere perché Gesù l'avesse la­sciata sola, e dove fosse andato, e a quale scopo, e quando sarebbe tornato. Adesso, a Cana, ella se lo rivedeva davanti, già chiamato Rabbi, considerato come un maestro e circondato da alcuni fervo­rosi discepoli: indubbiamente la previsione fatta nella sua solitudine stava per avverarsi. Ma, anche davanti al Rabbi, Maria rimase sem­pre madre, quale si era mostrata davanti al ragazzo dodicenne di­sputante nel Tempio. Da buona madre di famiglia Maria, durante quel pranzo di nozze, avrà sorvegliato insieme con le altre donne che tutto procedesse regolarmente, e le vivande e ogni cosa fossero pronte. Senonché sul finire del pranzo - o perché si erano fatti male i calcoli, o perché erano sopraggiunti convitati imprevisti - venne a mancare proprio il principale, il vino. Le massaie che amministravano ne furono costernate. Era il diso­nore per la famiglia che ospitava; i convitati non avrebbero rispar­miato proteste e schemi, e la festa sarebbe finita bruscamente e ignominiosamente, come quando a teatro in una scena decisiva viene a mancare la luce.


§ 283. Maria s'avvide subito della mancanza, e previde la vergogna degli ospitanti; tuttavia non ne fu costernata come le altre donne. Al suo spirito la presenza del suo figlio Rabbi diceva tante cose che non diceva agli altri; soprattutto ella ricollegava quella presenza con la previsione da lei fatta nella sua solitudine di Na­zareth. Non era forse giunta l'ora di lui? Dominata da questi pensieri Maria, fra lo smarrimento generale a mala pena dissimulato, dice sommessamente a Gesù: “Non han­no vino”. E dice a lei Gesu': “Che cosa (é) a me e a te, donna? Non ancora e' giunta l'ora mia” (Giov., 2, 3-4). Gesù pronunziò queste parole in aramaico, e secondo questa lingua esse vanno interpretate. In primo luogo donna era un appellativo di rispetto, circa come l'appellativo (ma) donna nel Trecento italiano. Un figlio chiamava ordinariamente madre la donna che lo aveva ge­nerato, ma in circostanze particolari poteva chiamarla per maggior riverenza donna. E donna chiamerà nuovamente Gesù sua madre dall'alto della croce (Giov., 19, 26); ma anche prima, secondo un aneddoto rabbinico, un mendicante giudeo aveva chiamato donna la moglie del grande Hillel, come Augusto aveva chiamato donna Cleopatra (Cassio Dione, LI, 12), e così in altri casi. Più tipica è l'altra espressione che cosa (e') a me e a te...?, è certamente traduzione della fra­se fondamentale ebraica mahlz wal (ak) che ricorre più volte nella Bibbia. Ora, il significato di questa frase era precisato nell'uso molto più dalle circostanze del discorso, dal tono della voce, del gesto, ecc., che dal semplice valore delle parole; tutte le lingue han­no di tali frasi idiomatiche in cui le parole sono rimaste un semplice pretesto per esprimere un pensiero, e che verbalmente non si possono tradurre in altra lingua. Nel caso nostro una parafrasi, che tenga qualche conto anche delle parole ebraiche, potrebb'esser que­sta: Che (motivo fa fare) a me e a te (questo discorso)?; il che, indipendentemente dalle parole, equivale all'espressione italiana: Per­ché mi fai questo discorso? Era insomma una frase ellittica con la quale si ricercava la recondita ragione per cui tra due persone av­veniva un discorso, un fatto, e simili. Con questa risposta Gesù declinava l'invito fattogli da Maria, e ne adduceva come ragione il fatto che ancora non era giunta l'ora sua. Dunque in quelle tre sole parole di Maria non hanno vino (seppure furono dette quelle tre sole) era nascosto l'invito a com­piere un miracolo, e la mira dell'invito era nettamente designata dalle circostanze esterne ma soprattutto dai pensieri interni e dal volto materno di colei che invitava. Gesù, che si rende ben conto di tutto, rifiuta, come già nel Tempio aveva rifiutato di subordi­nare la sua presenza nella casa del Padre celeste a quella nella sua famiglia terrena (§ 262): ancora non è giunta l'ora di dimostrare con miracoli l'autorità della propria missione, poiché il precursore Giovanni sta ancora svolgendo la sua. Tuttavia il dialogo fra Maria e Gesù non è finito; anzi le sue più importanti parole non furono mai pronunziate da labbro, ma solo trasmesse da sguardo a sguardo. Come già nel Tempio Gesù dopo il rifiuto aveva obbedito lasciando subito la casa del Padre celeste, così dopo questo nuovo rifiuto accede senz'altro all'invito di Maria. La madre, nel dialogo muto seguito al dialogo parlato viene assicurata che il figlio acconsente; perciò senza perder tempo si volge agli inservienti e dice loro: Fate tutto ciò che vi dirà!


§ 284. Nell'atrio di quella casa erano sei grandi pile destinate alle abluzioni delle mani e delle stoviglie prescritte dal giudaismo: per­ciò le pile erano di pietra, perché secondo i rabbini la pietra non contraeva impurità come la terracotta. Ed erano pile grandi, contenendo ciascuna due o tre volte la normale ”misura” giudaica, la quale si aggirava sui 39 litri; dunque, tutte insieme avevano una capacità di circa 600 litri. Naturalmente il pranzo era lungo, i con­vitati erano molti, e quindi tutta quell'acqua necessaria era stata in gran parte consumata e le pile erano quasi vuote. Gesù allora dette ordine di riempire totalmente le pile; gl'inservienti corsero al pozzo o alla cisterna vicina, e in pochi viaggi le pile fu­rono colme. Non c'era altro da fare; e dice a quelli: “Attingete adesso, e portate al direttore di mensa”. E quelli portarono (Giov., 2, 8). Tutto si era svolto in pochi minuti, anche prima che il direttore di mensa notasse lo smarrimento delle donne e s'avvedesse che non c'era più vino; la discretezza di Maria aveva impedito an­che il dilagar dello scandalo familiare. Quando il direttore di mensa si vide davanti una nuova specie di vino, e l'ebbe assaggiata com'era suo ufficio, rimase strabiliato, tan­to che dimenticò anche il sussiego della sua carica e parlò con la schiettezza del buon popolano. Avvicinatosi allo sposo, gli dice: Ogni uomo passa prima il vino buono, e quando sono brilli quello peg­giore; tu (invece) hai serbato il vino buono fin qui! (Giov., 2, 10). Le parole del direttore di mensa non alludono a qualche uso cor­rente, che non ci è attestato da nessun documento antico; vogliono esser piuttosto un complimento spiritoso, che fa notare quanto fosse inaspettata sul finire del pranzo quell'ambresia e in quella quan­tità. Ma, a quelle parole, lo sposo probabilmente guardò ben bene in faccia il direttore di mensa, domandandosi se proprio lui non fosse il più brillo di tutti: egli, lo sposo, non si era mai sognato di riserbare per la fine del pranzo quella sorpresa del vino miglio­re. Alcune poche interrogazioni rivolte agli inservienti e alle don­ne indirizzarono le ricerche su Maria e poi su Gesù, e tutto fu spiegato. Così questo primo miracolo, dice Giovanni, Gesù manifestò la sua gloria e credettero in luie i suoi discepoli. Ciò non meraviglia, se si pensa all'entusiasmo che già avevano per Gesù i suoi pochi disce­poli. Ma quale sarà stata l'impressione prodotta sui commensali dal miracolo? Dissipati i fumi del convito e dimenticato i1 sapore di quel misterioso vino, avranno essi ripensato al significato morale dell'avvenimento?


§ 285. Dopo la festicciuola e il miracolo Gesù si recò a Cafarnao, egli e la madre di lui e i fratelli e discepoli di lui, e colà rima­sero non molti giorni (Giovanni, 2, 12). Questa permanenza a Cafarnao fu breve, perché Gesù aveva deciso dì recarsi a Gerusalemme per l'imminente Pasqua; ma fin da allora Cafarnao servì a Gesù come abituale dimora in Galilea, divenendo sua patria adottiva invece di Nazareth. Dalla sua famiglia egli già si era staccato, e all'istituzione familiare aveva anche dedicato in omaggio il suo primo miracolo: adesso si staccava anche dall'umi­lissimo suo paese, trasferendosi in luogo più opportuno per la sua missione che cominciava. Cafarnao era sulla riva nord-occidentale del lago di Tiberiade non lontano dallo sbocco del Giordano nel lago. Situata a 13 chilometri a nord della città di Tiberiade e a circa 30 a oriente di Nazareth, era presso i confini fra il territorio di Erode Antipa e quello di Fi­lippo; perciò era fornita anche d'un ufficio di dogana, ed era luogo di transito. Sul lago aveva un piccolo porto conveniente per i pe­scatori. La vita religiosa vi doveva essere intensa e non molto di­sturbata dall'ellenismo insediato poco sopra; suo presidio ivi era, come sempre, l'edificio della sinagoga oggi fortunatamente conservato e ritornato alla luce, sebbene nella precisa forma in cui è stato ri­trovato sembri appartenere a tempi posteriori a quelli di Gesù. Il suo nome Kephar Nahum, “ villaggio di Nahum”, proveniva da un personaggio Nahum a noi ignoto; in tempi molto posteriori si venerò ivi la tomba di un rabbino Tanhum, il cui nome fu poi deformato in Teli Hum, che è l'odierno nome del luogo. A imitazione di Gesù, man mano verranno a stabilirsi a Cafarnao anche i suoi primi discepoli oriundi della vicina Bethsaida, quali Simone Pietro e Andrea. Quanto a Simone Pietro, è probabile che già avesse a Cafarnao legami di parentela; se egli, genero generoso, alberga ivi in casa sua la propria suocera (§ 300), non è arrischiato supporre che la moglie di lui fosse appunto di Cafarnao. Più tardi poi, per designare Cafarnao, si finirà per chiamarla senz'altro la città propria di Gesù (Matteo, 9, 1), sebbene lo stesso documento poco appresso designi Nazareth ancora come la patria di lui (Matteo, 13, 54).
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giovedì 26 gennaio 2012

1272 - Commento al Vangelo del 26/1/2012

+ Dal Vangelo secondo Luca (10,1-9)
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
C’è una frase di Papa Benedetto XVI che illustra bene la crisi di Fede all’interno della Chiesa: “La Barca di Pietro fa acqua da tutte le parti, i lupi la circondano dall’esterno, il peccato, l’eresia la corrode dall’interno”. È una situazione impressionante che non possono vedere quei cattolici dalla Fede debole o sbiadita. In molti casi è talmente sbiadita da diventare invisibile…
Le Verità della Fede in massima parte non sono attaccate ma ignorate, tralasciate, dimenticate. Questo è l’atteggiamento più malvagio portato avanti da quanti sono pieni di nulla o schiavi della loro superbia che li ha resi esaltati. Al contrario, la spiritualità che la Madonna ha fatto conoscere a Medjugorje è incentrata sulla piccolezza spirituale, sulla preghiera contemplativa, sul silenzio e sul raccoglimento.
Il mondo non conosce le indicazioni date dalla Madonna, non le conoscono molti cattolici, anche Prelati e Sacerdoti, sono eccessivamente sicuri della loro Fede e rifiutano i consigli e le istruzioni della Madre di Dio. Come quando un cieco rifiuta di lasciarsi aiutare da qualcun altro.
E se il mondo non vuole conoscere Gesù, Egli invia i suoi discepoli a due a due in ogni città e luogo per portare il vero annuncio della salvezza e per contrastare quel falso messaggio che si propaga. Circola un po’ ovunque un messaggio cristiano opposto a quello di Gesù, si parla di una salvezza sicura e del peccato che non esiste più. Si dicono altri annunci non veritieri e per questo la Madonna da trent’anni parla e catechizza da Medjugorje.
Gesù invita tutti voi: “Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi”.
La Madonna a Medjugorje è venuta a formare un nuovo esercito della preghiera, ad invitare i più generosi a lavorare per la causa del Vangelo e di portare il messaggio a tutti. Anche tutti voi siete chiamati all’apostolato, ognuno secondo le possibilità e i luoghi che frequenta. L’apostolato però non si improvvisa, innanzitutto la fiamma della Fede è accesa se si prega con amore, questa fiamma fa ardere la persona e la spinge a parlare e ad invitare quanti incontra a pregare il Rosario, andare a Messa, frequentare i Sacramenti.
La Fede è un dono che bisogna trasmettere a tutti.
Ognuno di voi si senta invitato dalla Madonna a fare qualcosa in più ogni giorno per il Vangelo, portandolo a chi non lo conosce, diffondendolo dove c’è il peccato e l’adorazione dei vizi. La vostra parola potrà salvare eternamente molte persone. Potete fare apostolato con questo mio commento, come già molti di voi si adoperano, inviandolo ad altri o passando i fogli stampati.
I cattivi sono bravissimi nella costanza del male che compiono, i buoni dimenticano presto il bene da fare.
C’è una frase in un messaggio della Madonna a Medjugorje (26 aprile 1982) che deve fare riflettere tutti, dai Prelati al più piccolo credente: La Fede non può mantenersi viva senza la preghiera. Molte volte ho scritto commenti che spiegano questa frase, alcuni giorni fa l’ho letta e l’approfondirò con molto amore ed interesse.


Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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mercoledì 25 gennaio 2012

1271 - Udienza del 25/1/2012 (la preghiera sacerdotale di Gesù)

Cari fratelli e sorelle,
nella Catechesi di oggi concentriamo la nostra attenzione sulla preghiera che Gesù rivolge al Padre nell'«Ora» del suo innalzamento e della sua glorificazione (cfr Gv 17,1-26). Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La tradizione cristiana a ragione la definisce la “preghiera sacerdotale” di Gesù. E' quella del nostro Sommo Sacerdote, è inseparabile dal suo Sacrificio, dal suo “passaggio” [pasqua] al Padre, dove egli è interamente “consacrato” al Padre» (n. 2747).
Questa preghiera di Gesù è comprensibile nella sua estrema ricchezza soprattutto se la collochiamo sullo sfondo della festa giudaica dell’espiazione, lo Yom kippùr. In quel giorno il Sommo Sacerdote compie l’espiazione prima per sé, poi per la classe sacerdotale e infine per l’intera comunità del popolo. Lo scopo è quello di ridare al popolo di Israele, dopo le trasgressioni di un anno, la consapevolezza della riconciliazione con Dio, la consapevolezza di essere popolo eletto, «popolo santo» in mezzo agli altri popoli. La preghiera di Gesù, presentata nel capitolo 17 del Vangelo secondo Giovanni, riprende la struttura di questa festa. Gesù in quella notte si rivolge al Padre nel momento in cui sta offrendo se stesso. Egli, sacerdote e vittima, prega per sé, per gli apostoli e per tutti coloro che crederanno in Lui, per la Chiesa di tutti i tempi (cfr Gv 17,20).
La preghiera che Gesù fa per se stesso è la richiesta della propria glorificazione, del proprio «innalzamento» nella sua «Ora». In realtà è più di una domanda e della dichiarazione di piena disponibilità ad entrare, liberamente e generosamente, nel disegno di Dio Padre che si compie nell’essere consegnato e nella morte e risurrezione. Questa “Ora” è iniziata con il tradimento di Giuda (cfr Gv 13,31) e culminerà nella salita di Gesù risorto al Padre (Gv 20,17). L’uscita di Giuda dal cenacolo è commentata da Gesù con queste parole: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui» (Gv 13,31). Non a caso, Egli inizia la preghiera sacerdotale dicendo: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1). La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l'ingresso nella piena obbedienza al Padre, un'obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale: «E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). Sono questa disponibilità e questa richiesta il primo atto del sacerdozio nuovo di Gesù che è un donarsi totalmente sulla croce, e proprio sulla croce - il supremo atto di amore – Egli è glorificato, perché l'amore è la gloria vera, la gloria divina.


Il secondo momento di questa preghiera è l’intercessione che Gesù fa per i discepoli che sono stati con Lui. Essi sono coloro dei quali Gesù può dire al Padre: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola» (Gv 17,6). «Manifestare il nome di Dio agli uomini» è la realizzazione di una presenza nuova del Padre in mezzo al popolo, all’umanità. Questo “manifestare” è non solo una parola, ma è realtà in Gesù; Dio è con noi, e così il nome - la sua presenza con noi, l’essere uno di noi - è “realizzato”. Quindi questa manifestazione si realizza nell’incarnazione del Verbo. In Gesù Dio entra nella carne umana, si fa vicino in modo unico e nuovo. E questa presenza ha il suo vertice nel sacrificio che Gesù realizza nella sua Pasqua di morte e risurrezione.
Al centro di questa preghiera di intercessione e di espiazione a favore dei discepoli sta la richiesta di consacrazione; Gesù dice al Padre: «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,16-19). Domando: cosa significa «consacrare» in questo caso? Anzitutto bisogna dire che «Consacrato» o «Santo», è propriamente solo Dio. Consacrare quindi vuol dire trasferire una realtà – una persona o cosa – nella proprietà di Dio. E in questo sono presenti due aspetti complementari: da una parte togliere dalle cose comuni, segregare, “mettere a parte” dall’ambiente della vita personale dell’uomo per essere donati totalmente a Dio; e dall’altra questa segregazione, questo trasferimento alla sfera di Dio, ha il significato proprio di «invio», di missione: proprio perché donata a Dio, la realtà, la persona consacrata esiste «per» gli altri, è donata agli altri. Donare a Dio vuol dire non essere più per se stessi, ma per tutti. E’ consacrato chi, come Gesù, è segregato dal mondo e messo a parte per Dio in vista di un compito e proprio per questo è pienamente a disposizione di tutti. Per i discepoli, sarà continuare la missione di Gesù, essere donato a Dio per essere così in missione per tutti. La sera di Pasqua, il Risorto, apparendo ai suoi discepoli, dirà loro: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21).


Il terzo atto di questa preghiera sacerdotale distende lo sguardo fino alla fine del tempo. In essa Gesù si rivolge al Padre per intercedere a favore di tutti coloro che saranno portati alla fede mediante la missione inaugurata dagli apostoli e continuata nella storia: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola». Gesù prega per la Chiesa di tutti i tempi, prega anche per noi (Gv 17,20). Il Catechismo della Chiesa Cattolica commenta: «Gesù ha portato a pieno compimento l'opera del Padre, e la sua preghiera, come il suo Sacrificio, si estende fino alla consumazione dei tempi. La preghiera dell'Ora riempie gli ultimi tempi e li porta verso la loro consumazione» (n. 2749).
La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata ai suoi discepoli di tutti i tempi è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. Tale unità non è un prodotto mondano. Essa proviene esclusivamente dall'unità divina e arriva a noi dal Padre mediante il Figlio e nello Spirito Santo. Gesù invoca un dono che proviene dal Cielo, e che ha il suo effetto – reale e percepibile – sulla terra. Egli prega «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). L'unità dei cristiani da una parte è una realtà segreta che sta nel cuore delle persone credenti. Ma, al tempo stesso, essa deve apparire con tutta la chiarezza nella storia, deve apparire perché il mondo creda, ha uno scopo molto pratico e concreto deve apparire perchè tutti siano realmente una sola cosa. L'unità dei futuri discepoli, essendo unità con Gesù - che il Padre ha mandato nel mondo -, è anche la fonte originaria dell'efficacia della missione cristiana nel mondo.
«Possiamo dire che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l'istituzione della Chiesa ... Proprio qui, nell'atto dell'ultima cena, Gesù crea la Chiesa. Perché, che altro è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio? Qui troviamo realmente una vera definizione della Chiesa. La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù. E questa preghiera non è soltanto parola: è l'atto in cui egli «consacra» se stesso e cioè «si sacrifica» per la vita del mondo (cfr Gesù di Nazaret, II, 117s).
Gesù prega perché i suoi discepoli siano una cosa sola. In forza di tale unità, ricevuta e custodita, la Chiesa può camminare «nel mondo» senza essere «del mondo» (cfr Gv 17,16) e vivere la missione affidatale perché il mondo creda nel Figlio e nel Padre che lo ha mandato. La Chiesa diventa allora il luogo in cui continua la missione stessa di Cristo: condurre il «mondo» fuori dall’alienazione dell’uomo da Dio e da se stesso, fuori dal peccato, affinché ritorni ad essere il mondo di Dio.
Cari fratelli e sorelle, abbiamo colto qualche elemento della grande ricchezza della preghiera sacerdotale di Gesù, che vi invito a leggere e a meditare, perché ci guidi nel dialogo con il Signore, ci insegni a pregare. Anche noi, allora, nella nostra preghiera, chiediamo a Dio che ci aiuti ad entrare, in modo più pieno, nel progetto che ha su ciascuno di noi; chiediamoGli di essere «consacrati» a Lui, di appartenerGli sempre di più, per poter amare sempre di più gli altri, i vicini e i lontani; chiediamoGli di essere sempre capaci di aprire la nostra preghiera alle dimensioni del mondo, non chiudendola nella richiesta di aiuto per i nostri problemi, ma ricordando davanti al Signore il nostro prossimo, apprendendo la bellezza di intercedere per gli altri; chiediamoGli il dono dell’unità visibile tra tutti i credenti in Cristo - lo abbiamo invocato con forza in questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani - preghiamo per essere sempre pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Grazie.
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1270 - Messaggio Medjugorje del 25/1/2012

Cari figli! Anche oggi vi invito con gioia ad aprire i vostri cuori e ad ascoltare la mia chiamata. 
Io desidero avvicinarvi di nuovo al mio cuore Immacolato dove troverete rifugio e pace. 
Apritevi alla preghiera affinché essa diventi gioia per voi. 
Attraverso la preghiera l’Altissimo vi darà l’abbondanza di grazia e voi diventerete le mie mani tese in questo mondo inquieto che anela alla pace. 
Figlioli, testimoniate la fede con le vostre vite e pregate affinché di giorno in giorno la fede cresca nei vostri cuori. Io sono con voi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata. 
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1269 - Commento al Vangelo del 25/1/2012

+ Dal Vangelo secondo Marco (16,15-18)
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
La festa liturgica di oggi non viene considerata in molti ambiti cattolici come un grande evento, ovviamente riguardante la vita spirituale dell’uomo. San Paolo è poco conosciuto nella Chiesa, quasi tutti i fedeli ascoltano le letture della Messa e ricordano poche citazioni, trascurando di approfondire importanti scritti che Dio ha rivelato attraverso l’Apostolo delle genti.
Proviamo a conoscerlo meglio, a voi affido l’impegno di leggere i capitoli 21 e 22 degli Atti degli Apostoli e così rendervi conto della grande Fede e delle atroci persecuzioni che subì San Paolo. In sintesi, avvenne che dopo avere navigato per annunciare Gesù Cristo, dopo la visita in Siria a Tiro, poi salpò per Cesarea e da lì raggiunse Gerusalemme pur sapendo che lo cercavano per ucciderlo.
A quanti lo dissuadevano dall’entrare nella città santa, rispondeva: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù» (At 21,13).
Dopo l’ingresso dell’Apostolo nel Tempio, “tutta la città fu in subbuglio e il popolo accorse da ogni parte. Impadronitisi di Paolo, lo trascinarono fuori del tempio e subito furono chiuse le porte. Stavano già cercando di ucciderlo, quando fu riferito al tribuno della coorte che tutta Gerusalemme era in rivolta. Immediatamente egli prese con sé dei soldati e dei centurioni e si precipitò verso i rivoltosi. Alla vista del tribuno e dei soldati, cessarono di percuotere Paolo. Allora il tribuno si avvicinò, lo arrestò e ordinò che fosse legato con due catene; intanto s'informava chi fosse e che cosa avesse fatto. Tra la folla però chi diceva una cosa, chi un'altra. Nell'impossibilità di accertare la realtà dei fatti a causa della confusione, ordinò di condurlo nella fortezza” (At 21,30-34).
Prima di metterlo in carcere, San Paolo dalla gradinata riuscì a dare questa testimonianza:
«“Fratelli e padri, ascoltate la mia difesa davanti a voi”. Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero silenzio ancora di più. Ed egli continuò: “Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi.
Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne, come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti.
Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all'improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?
Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti.
Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava.
Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco.
Un certo Anania, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti, venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere! E in quell'istante io guardai verso di lui e riebbi la vista.
Egli soggiunse: Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito.
E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il Battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo Nome. Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me.
E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te; quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano. Allora mi disse: Và, perché io ti manderò lontano, tra i pagani”.
Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma allora alzarono la voce gridando: “Toglilo di mezzo; non deve più vivere!”» ( At 22,1-22).
Dalla bella e profonda testimonianza cogliamo alcuni aspetti importanti. Saulo non ancora convertito perseguitava i cristiani per ucciderli, ma mentre era in viaggio per soddisfare la sete di colpire i cristiani, la luce lo abbaglia e cade a terra, è costretto a fermarsi quindi viene fermato da Dio e Gesù gli dice che stava perseguitando Lui. Quindi, perseguitare i cristiani che professano la vera Fede in Gesù significa perseguitare il Signore.
Per comprendere questo, molti dovrebbero avere la Fede per accorgersi che lottano e ostacolo Gesù Cristo.
Molte sofferenze Gesù le utilizza per farsi conoscere da milioni di persone che Lo ignorano e che vogliono vivere senza alcuna Legge morale. San Paolo si ferma perché rimane cieco e cade a terra, non riesce a fare nulla ed è costretto a farsi accompagnare. Viene fermato non da Gesù, ma dalle parole che Gesù gli dice: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”.
Gesù non usa alcuna forza o violenza, gli dice che Egli può tutto e si fa conoscere: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. Ma Saulo per ricevere questa risposta, ha cercato veramente Dio dicendo: “Chi sei, o Signore?”. E Gesù si è rivelato e ha usato misericordia verso un uomo che perseguitava i cristiani perché come Giudeo li considerava eretici. Non era prevenuto come i farisei o gli scribi, aveva una grande Fede in Jahvè.
Solo quando Saulo chiede a Gesù che deve fare, gli viene comunicata la volontà di Dio. “Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco”.
Se non ci rendiamo pienamente disponibili a Gesù, non ci trasmette la sua volontà.
Come conclusione vi dico che anche i più grandi peccatori possono convertirsi e per questo non dobbiamo mai giudicare la persona ma condannare i peccati. Non tralasciamo di pregare ogni giorno per la conversione dei peccatori e per quelli che perseguitano la Chiesa Cattolica, i Sacerdoti e i credenti.


Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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Medaglia di San Benedetto