Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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domenica 31 ottobre 2010

779 - Angelus del 31/10/2010 Domenica 31^ t.o.

Cari fratelli e sorelle!

L’Evangelista san Luca riserva una particolare attenzione al tema della misericordia di Gesù. Nella sua narrazione, infatti, troviamo alcuni episodi che mettono in risalto l’amore misericordioso di Dio e di Cristo, il quale afferma di essere venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori (cfr Lc 5,32). Tra i racconti tipici di Luca vi è quello della conversione di Zaccheo, che si legge nella liturgia di questa domenica. Zaccheo è un “pubblicano”, anzi, il capo dei pubblicani di Gerico, importante città presso il fiume Giordano. I pubblicani erano gli esattori dei tributi che i Giudei dovevano pagare all’Imperatore romano, e già per questo motivo erano considerati pubblici peccatori. Per di più, approfittavano spesso della loro posizione per estorcere denaro alla gente. Per questo Zaccheo era molto ricco, ma disprezzato dai suoi concittadini. Quando dunque Gesù, attraversando Gerico, si fermò proprio a casa di Zaccheo, suscitò uno scandalo generale. Il Signore, però, sapeva molto bene quello che faceva. Egli, per così dire, ha voluto rischiare, e ha vinto la scommessa: Zaccheo, profondamente colpito dalla visita di Gesù, decide di cambiare vita, e promette di restituire il quadruplo di ciò che ha rubato. “Oggi per questa casa è venuta la salvezza”, dice Gesù, e conclude: “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto”.
Dio non esclude nessuno, né poveri né ricchi. Dio non si lascia condizionare dai nostri pregiudizi umani, ma vede in ognuno un’anima da salvare ed è attratto specialmente da quelle che sono giudicate perdute e che si considerano esse stesse tali. Gesù Cristo, incarnazione di Dio, ha dimostrato questa immensa misericordia, che non toglie nulla alla gravità del peccato, ma mira sempre a salvare il peccatore, ad offrirgli la possibilità di riscattarsi, di ricominciare da capo, di convertirsi. In un altro passo del Vangelo, Gesù afferma che è molto difficile per un ricco entrare nel Regno dei cieli (cfr Mt 19,23). Nel caso di Zaccheo, vediamo proprio che quanto sembra impossibile si realizza: “egli – commenta san Girolamo – ha dato via la sua ricchezza e immediatamente l’ha sostituita con la ricchezza del regno dei cieli” (Omelia sul salmo 83, 3). E san Massimo di Torino aggiunge: “Le ricchezze, per gli stolti sono un alimento per la disonestà, per i saggi invece sono un aiuto per la virtù; a questi si offre un’opportunità per la salvezza, a quelli si procura un inciampo che li perde” (Sermoni, 95).
Cari amici, Zaccheo ha accolto Gesù e si è convertito, perché Gesù per primo aveva accolto lui!
Non lo aveva condannato, ma era andato incontro al suo desiderio di salvezza.
Preghiamo la Vergine Maria, modello perfetto di comunione con Gesù, affinché anche noi possiamo sperimentare la gioia di essere visitati dal Figlio di Dio, di essere rinnovati dal suo amore, e trasmettere agli altri la sua misericordia.
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sabato 30 ottobre 2010

778 - Vangelo del 31/10/2010 Domenica XXXI Tempo Ordinario

Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto

+ Dal Vangelo secondo Luca (19,1-10)
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
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venerdì 29 ottobre 2010

777 - Omelia del 31/10/2010 domenica XXXI t.o.

Dal Vangelo secondo Luca (19,1-10.)

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco,
cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura.
Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «E' andato ad alloggiare da un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
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Questa domenica il brano del Vangelo ci parla di un incontro che appare casuale tra Gesù e un pubblicano. Sembra un incontro come tanti altri, eppure certi incontri trasformano la vita delle persone.
Il personaggio in questione viene denominato con il suo nome Zaccheo e con due aspetti che lo caratterizzano: capo dei pubblicani e ricco. Zaccheo è un capo dei peccatori, estorcendo le tasse alla gente per darle ai romani e così si è arricchito alle spalle dei suoi concittadini. In fondo è una persona chiusa verso i suoi fratelli e sorelle.
Zaccheo vuole vedere Gesù; non è ovviamente solo un vedere fisico, ma esprime la voglia di capire chi sia questo Gesù, il fascino e il mistero che traspare da tale persona.
E' un vedere interiore.
Esce dalla normalità di una folla in cui si sta meglio, per una ricerca personale.
Ha però due impedimenti reali: è basso di statura e vi è molta folla attorno a lui.
Sale sopra un albero per vedere meglio il passaggio di Gesù.
Fin qui c' è la ricerca di Zaccheo, ma adesso comincia il percorso di Gesù.
Gesù passa in mezzo alla folla e vede Zaccheo.
Lo invita ad ospitarlo nella sua casa, non domani ma oggi, perché il tempo della salvezza è gia arrivato. Dio viene oggi a visitare il suo popolo.
Zaccheo scende e lo ospita con grande gioia, nonostante il mormorare delle persone.
Riconosce Gesù come Signore della propria vita e attua una conversione non solo interiore, ma anche esteriore.
Dona i beni che ha frodato ai poveri per vivere nella linea della giustizia.
Ricapitolando, abbiamo un ospitarsi a vicenda tra Gesù e Zaccheo, il cambiamento di mentalità di Zaccheo e infine la concretezza di tale cambiamento.
Zaccheo passa da capo dei pubblicani e ricco, ad essere chiamato figlio di Abramo, facendo parte del nuovo popolo di Dio.


Analizzo solo un paio dei tanti spunti di attualizzazione del testo.
1 -In primo luogo è necessario mantenere vivo il desiderio della ricerca, cercando in profondità il mistero di una persona.
Anche noi stiamo volentieri in mezzo alla folla da cui è difficile emergere.
Però qualcuno ci viene incontro in modo non episodico, ma continuo, invitandoci ad uscire dal nostro anonimato.


2- Dopo il cambio di mentalità di Zaccheo, che vuol dire pensare come ha pensato Gesù, vi è la decisione di un nuovo stile di vita non solo teorico ma pratico, scegliendo di cambiare vita.
Siamo in questo mondo per condividere quello che abbiamo ricevuto dagli altri.
Più ci accostiamo con verità agli altri e meglio ci sentiamo dei salvati.


Questi spunti del Vangelo ci inducono a meditare e riflettere per comprendere la nostra esperienza cristiana alla ricerca di quel Gesù che è venuto a portarci una vita in pienezza.
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Don Luigi T
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mercoledì 27 ottobre 2010

776 - Udienza del 27/10/2010 (S.Brigida di Svezia)

Cari fratelli e sorelle,

nella fervida vigilia del Grande Giubileo dell’Anno Duemila, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II proclamò santa Brigida di Svezia compatrona di tutta l’Europa. Questa mattina vorrei presentarne la figura, il messaggio, e le ragioni per cui questa santa donna ha molto da insegnare – ancor oggi – alla Chiesa e al mondo.
Conosciamo bene gli avvenimenti della vita di santa Brigida, perché i suoi padri spirituali ne redassero la biografia per promuoverne il processo di canonizzazione subito dopo la morte, avvenuta nel 1373. Brigida era nata settant’anni prima, nel 1303, a Finster, in Svezia, una nazione del Nord-Europa che da tre secoli aveva accolto la fede cristiana con il medesimo entusiasmo con cui la Santa l’aveva ricevuta dai suoi genitori, persone molto pie, appartenenti a nobili famiglie vicine alla Casa regnante.
Possiamo distinguere due periodi nella vita di questa Santa.
Il primo è caratterizzato dalla sua condizione di donna felicemente sposata. Il marito si chiamava Ulf ed era governatore di un importante distretto del regno di Svezia. Il matrimonio durò ventott’anni, fino alla morte di Ulf. Nacquero otto figli, di cui la secondogenita, Karin (Caterina), è venerata come santa. Ciò è un segno eloquente dell’impegno educativo di Brigida nei confronti dei propri figli. Del resto, la sua saggezza pedagogica fu apprezzata a tal punto che il re di Svezia, Magnus, la chiamò a corte per un certo periodo, con lo scopo di introdurre la sua giovane sposa, Bianca di Namur, nella cultura svedese.
Brigida, spiritualmente guidata da un dotto religioso che la iniziò allo studio delle Scritture, esercitò un influsso molto positivo sulla propria famiglia che, grazie alla sua presenza, divenne una vera “chiesa domestica”. Insieme con il marito, adottò la Regola dei Terziari francescani. Praticava con generosità opere di carità verso gli indigenti; fondò anche un ospedale. Accanto alla sua sposa, Ulf imparò a migliorare il suo carattere e a progredire nella vita cristiana. Al ritorno da un lungo pellegrinaggio a Santiago di Compostela, effettuato nel 1341 insieme ad altri membri della famiglia, gli sposi maturarono il progetto di vivere in continenza; ma poco tempo dopo, nella pace di un monastero in cui si era ritirato, Ulf concluse la sua vita terrena.
Questo primo periodo della vita di Brigida ci aiuta ad apprezzare quella che oggi potremmo definire un’autentica “spiritualità coniugale”: insieme, gli sposi cristiani possono percorrere un cammino di santità, sostenuti dalla grazia del Sacramento del Matrimonio. Non poche volte, proprio come è avvenuto nella vita di santa Brigida e di Ulf, è la donna che con la sua sensibilità religiosa, con la delicatezza e la dolcezza riesce a far percorrere al marito un cammino di fede.
Penso con riconoscenza a tante donne che, giorno dopo giorno, ancor oggi illuminano le proprie famiglie con la loro testimonianza di vita cristiana. Possa lo Spirito del Signore suscitare anche oggi la santità degli sposi cristiani, per mostrare al mondo la bellezza del matrimonio vissuto secondo i valori del Vangelo: l’amore, la tenerezza, l’aiuto reciproco, la fecondità nella generazione e nell’educazione dei figli, l’apertura e la solidarietà verso il mondo, la partecipazione alla vita della Chiesa.
Quando Brigida rimase vedova, iniziò il secondo periodo della sua vita. Rinunciò ad altre nozze per approfondire l’unione con il Signore attraverso la preghiera, la penitenza e le opere di carità. Anche le vedove cristiane, dunque, possono trovare in questa Santa un modello da seguire. In effetti, Brigida, alla morte del marito, dopo aver distribuito i propri beni ai poveri, pur senza mai accedere alla consacrazione religiosa, si stabilì presso il monastero cistercense di Alvastra. Qui ebbero inizio le rivelazioni divine, che l’accompagnarono per tutto il resto della sua vita. Esse furono dettate da Brigida ai suoi segretari-confessori, che le tradussero dallo svedese in latino e le raccolsero in un’edizione di otto libri, intitolati Revelationes (Rivelazioni). A questi libri si aggiunge un supplemento, che ha per titolo appunto Revelationes extravagantes (Rivelazioni supplementari).
Le Rivelazioni di santa Brigida presentano un contenuto e uno stile molto vari. A volte la rivelazione si presenta sotto forma di dialoghi fra le Persone divine, la Vergine, i santi e anche i demoni; dialoghi nei quali anche Brigida interviene. Altre volte, invece, si tratta del racconto di una visione particolare; e in altre ancora viene narrato ciò che la Vergine Maria le rivela circa la vita e i misteri del Figlio.
Il valore delle Rivelazioni di santa Brigida, talvolta oggetto di qualche dubbio, venne precisato dal Venerabile Giovanni Paolo II nella Lettera Spes Aedificandi: “Riconoscendo la santità di Brigida la Chiesa, pur senza pronunciarsi sulle singole rivelazioni, ha accolto l'autenticità complessiva della sua esperienza interiore” (n. 5).
Di fatto, leggendo queste Rivelazioni siamo interpellati su molti temi importanti. Ad esempio, ritorna frequentemente la descrizione, con dettagli assai realistici, della Passione di Cristo, verso la quale Brigida ebbe sempre una devozione privilegiata, contemplando in essa l’amore infinito di Dio per gli uomini. Sulla bocca del Signore che le parla, ella pone con audacia queste commoventi parole: “O miei amici, Io amo così teneramente le mie pecore che, se fosse possibile, vorrei morire tante altre volte, per ciascuna di esse, di quella stessa morte che ho sofferto per la redenzione di tutte” (Revelationes, Libro I, c. 59). Anche la dolorosa maternità di Maria, che la rese Mediatrice e Madre di misericordia, è un argomento che ricorre spesso nelle Rivelazioni.
Ricevendo questi carismi, Brigida era consapevole di essere destinataria di un dono di grande predilezione da parte del Signore: “Figlia mia – leggiamo nel primo libro delle Rivelazioni –, Io ho scelto te per me, amami con tutto il tuo cuore ... più di tutto ciò che esiste al mondo” (c. 1). Del resto, Brigida sapeva bene, e ne era fermamente convinta, che ogni carisma è destinato ad edificare la Chiesa. Proprio per questo motivo, non poche delle sue rivelazioni erano rivolte, in forma di ammonimenti anche severi, ai credenti del suo tempo, comprese le Autorità religiose e politiche, perché vivessero coerentemente la loro vita cristiana; ma faceva questo sempre con un atteggiamento di rispetto e di fedeltà piena al Magistero della Chiesa, in particolare al Successore dell’Apostolo Pietro.
Nel 1349 Brigida lasciò per sempre la Svezia e si recò in pellegrinaggio a Roma. Non solo intendeva prendere parte al Giubileo del 1350, ma desiderava anche ottenere dal Papa l’approvazione della Regola di un Ordine religioso che intendeva fondare, intitolato al Santo Salvatore, e composto da monaci e monache sotto l’autorità dell’abbadessa. Questo è un elemento che non deve stupirci: nel Medioevo esistevano fondazioni monastiche con un ramo maschile e un ramo femminile, ma con la pratica della stessa regola monastica, che prevedeva la direzione dell’Abbadessa. Di fatto, nella grande tradizione cristiana, alla donna è riconosciuta una dignità propria, e – sempre sull’esempio di Maria, Regina degli Apostoli – un proprio posto nella Chiesa, che, senza coincidere con il sacerdozio ordinato, è altrettanto importante per la crescita spirituale della Comunità. Inoltre, la collaborazione di consacrati e consacrate, sempre nel rispetto della loro specifica vocazione, riveste una grande importanza nel mondo d’oggi.
A Roma, in compagnia della figlia Karin, Brigida si dedicò a una vita di intenso apostolato e di orazione. E da Roma si mosse in pellegrinaggio in vari santuari italiani, in particolare ad Assisi, patria di san Francesco, verso il quale Brigida nutrì sempre grande devozione. Finalmente, nel 1371, coronò il suo più grande desiderio: il viaggio in Terra Santa, dove si recò in compagnia dei suoi figli spirituali, un gruppo che Brigida chiamava “gli amici di Dio”.
Durante quegli anni, i Pontefici si trovavano ad Avignone, lontano da Roma: Brigida si rivolse accoratamente a loro, affinché facessero ritorno alla sede di Pietro, nella Città Eterna.
Morì nel 1373, prima che il Papa Gregorio XI tornasse definitivamente a Roma. Fu sepolta provvisoriamente nella chiesa romana di San Lorenzo in Panisperna, ma nel 1374 i suoi figli Birger e Karin la riportarono in patria, nel monastero di Vadstena, sede dell’Ordine religioso fondato da santa Brigida, che conobbe subito una notevole espansione. Nel 1391 il Papa Bonifacio IX la canonizzò solennemente.
La santità di Brigida, caratterizzata dalla molteplicità dei doni e delle esperienze che ho voluto ricordare in questo breve profilo biografico-spirituale, la rende una figura eminente nella storia dell’Europa. Proveniente dalla Scandinavia, santa Brigida testimonia come il cristianesimo abbia profondamente permeato la vita di tutti i popoli di questo Continente. Dichiarandola compatrona d’Europa, il Papa Giovanni Paolo II ha auspicato che santa Brigida – vissuta nel XIV secolo, quando la cristianità occidentale non era ancora ferita dalla divisione – possa intercedere efficacemente presso Dio, per ottenere la grazia tanto attesa della piena unità di tutti i cristiani. Per questa medesima intenzione, che ci sta tanto a cuore, e perché l’Europa sappia sempre alimentarsi dalle proprie radici cristiane, vogliamo pregare, cari fratelli e sorelle, invocando la potente intercessione di santa Brigida di Svezia, fedele discepola di Dio e compatrona d’Europa.
Grazie per l’attenzione.
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lunedì 25 ottobre 2010

775 - Messaggio di Medjugorje del 25/10/2010

Cari figli, questo tempo sia per voi il tempo della preghiera.
Il mio invito desidera essere per voi, figlioli, un’ invito a decidersi a seguire il cammino della conversione, per questo pregate e chiedete l’intercessione di tutti i santi.
Essi siano per voi esempio, sprono e gioia verso la vita eterna.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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domenica 24 ottobre 2010

774 - Angelus del 24/10/2010 Domenica 30^ t.o.

Cari fratelli e sorelle!

Con la solenne Celebrazione di questa mattina nella Basilica Vaticana si è conclusa l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, sul tema: “La Chiesa Cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza”. In questa domenica, inoltre, ricorre la Giornata Missionaria Mondiale, che ha per motto: “La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione”.
Colpisce la somiglianza tra i temi di questi due eventi ecclesiali. Entrambi invitano a guardare alla Chiesa come mistero di comunione che, per sua natura, è destinato a tutto l’uomo e a tutti gli uomini. Il Servo di Dio Papa Paolo VI così affermava: “La Chiesa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella Santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione” (Esort. Ap. Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, 14: AAS 68, [1976], p. 13). Per questo la prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, nel 2012, sarà dedicata al tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. In ogni tempo e in ogni luogo – anche oggi nel Medio Oriente – la Chiesa è presente e opera per accogliere ogni uomo e offrirgli in Cristo la pienezza della vita. Come scriveva il teologo italo-tedesco Romano Guardini: “La realtà «Chiesa» implica tutta la pienezza dell’essere cristiano che si sviluppa nella storia, in quanto essa abbraccia la pienezza dell’umano che è in rapporto con Dio” (Formazione liturgica, Brescia 2008, 106-107).
Cari amici, nella Liturgia odierna si legge la testimonianza di san Paolo riguardo al premio finale che il Signore consegnerà “a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione” (2 Tm 4,8). Non si tratta di un’attesa inoperosa o solitaria, al contrario ! L’Apostolo ha vissuto in comunione con Cristo risorto per “portare a compimento l’annuncio del Vangelo” così che “tutte le genti lo ascoltassero” (2 Tm 4,17). Il compito missionario non è rivoluzionare il mondo, ma trasfigurarlo, attingendo la forza da Gesù Cristo che “ci convoca alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia, per gustare il dono della sua Presenza, formarci alla sua scuola e vivere sempre più consapevolmente uniti a Lui, Maestro e Signore” (Messaggio per la 84.ma Giornata Missionaria Mondiale). Anche i cristiani di oggi – come è scritto nella lettera A Diogneto – “mostrano come sia meravigliosa e … straordinaria la loro vita associata. Trascorrono l’esistenza sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere oltrepassano le leggi … Sono condannati a morte, e da essa traggono vita. Pur facendo il bene, sono … perseguitati e crescono di numero ogni giorno». (V, 4.9.12.16; VI, 9 [SC 33], Paris 1951, 62-66).
Alla Vergine Maria, che da Gesù Crocifisso ha ricevuto la nuova missione di essere Madre di tutti coloro che vogliono credere in Lui e seguirlo, affidiamo le comunità cristiane del Medio Oriente e tutti i missionari del Vangelo.
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sabato 23 ottobre 2010

773 - Credo

Mio Dio, credo che soffrendo con rassegnazione, compio in me la passione di Cristo.
Credo che ogni creatura geme e patisce aspettando la manifestazione del Figlio di Dio.
Credo che non abbiamo qui sulla terra una dimora stabile, ma andiamo in cerca di qualche cosa che non ci sarà tolto in eterno.
Credo che tutto cooperi al bene di coloro che amano Dio.
Credo che chi semina nelle lacrime raccoglierà nella gioia.
Credo che muoiano felici quelli che muoiono dopo aver sofferto.
Credo che le nostre tribolazioni formino in noi un pegno eterno di gioia, se amiamo non ciò che si vede, perchè le cose che non vediamo sono quelle imperiture.
Credo sia necessario che il nostro corpo mortale rivesta la resurrezione quindi l'eternità e che la morte venga assorbita nella vittoria.
Credo che Dio asciugherà le lacrime dagli occhi dei giusti per i quali non vi sarà più nè lutto nè gemito, e che il dolore cesserà infine, poichè tutto il mondo presente passerà.

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772 - Vangelo del 24/10/2010 Domenica XXX Tempo Ordinario

Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.


+ Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
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venerdì 22 ottobre 2010

771 - Pensieri del giorno 22/10/2010

Il più grande peccato è credere che vi possa essere un peccato più grande della misericordia di Dio.

Primo Mazzolari

Quanto più vi affiderete a Dio, tanto più Lo costringerete a prendersi cura di voi...

Santa Teresa di Gesù Bambino

Impara bene a meditare: Satana ha paura delle meditazioni.

San Massimiliano Kolbe
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giovedì 21 ottobre 2010

770 - Omelia del 24/10/2010, domenica XXX t.o.

+ Dal Vangelo secondo Luca (18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
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Il tema di oggi si collega a quello di domenica scorsa e riguarda la preghiera.

E' la famosa parabola del fariseo e del pubblicano.
Gesù dice questa parabola per coloro che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri.
Non è di per sé rivolta contro tutti i farisei, ma contro coloro che erano presuntuosi e volevano criticare gli altri.
Il racconto mette in scena due personaggi.
Un fariseo che prega tra se, ritto in piedi e ringrazia Dio per tutte le opere che lui stesso compie. E' sempre lui il soggetto, non Dio, e di fatto compie non un dialogo, bensì un monologo di autocompiacimento.
Il fariseo cerca la propria giustizia e ignora quella di Dio.
Inoltre, condanna l'atteggiamento del pubblicano, accusandolo durante la sua preghiera.
il pubblicano, invece, se ne sta distante , batte il petto e si affida alla misericordia di Dio.
Riconosce di essere un peccatore.
A questo punto, Gesù da un giudizio della situazione.
Il pubblicano torna a casa giustificato, mentre il fariseo che si considera giusto non riceve alcuna lode da Dio, perchè chi si esalta sarà umiliato e viceversa.
Tale parabola è un invito a porsi in modo corretto davanti al Signore, sentendosi bisognosi del suo perdono e del suo amore, compiendo opere buone ma senza vantarsene e non giudicando gli altri.
Il fariseo ha detto cose giuste e ha fatto cose belle, ma ha sbagliato il suo modo di rapportarsi con Dio, attribuendo a se stesso tutti i meriti.
In realtà, dentro di noi, coesiste un po' del fariseo e un po' del pubblicano.
Preferiamo essere lodati dagli uomini e ringraziare Dio perchè, in fondo , non siamo come certe persone che non vanno in Chiesa o si comportano male...
Dovremmo riuscire a vincere tale spirito di doppio gioco, il culto dell'apparenza, il formalismo esteriore, il rifiuto del diverso, la disistima verso il debole, la ricerca del successo, il bastare a noi stessi.
Più che criticare, siamo chiamati a riscoprire l'autenticità delle relazioni con Dio e tra gli uomini, sentendoci umili servi.
Anni fa sono stato a celebrare la Messa in un carcere e ho notato alcuni aspetti singolari.
La preghiera fatta con calma, una grande attenzione durante l'omelia, la partecipazione alle preghiere e ai canti.
Anche in certi ambienti, nei quali entri con tanti pregiudizi, Dio è all'opera e delle persone che hanno sbagliato possono iniziare un cammino di conversione.
Per questo vale la pena incontrare le persone per accorgersi quanto in ciascuno di loro e in noi possa trasparire l'umanità di Dio.
L'invito di oggi è quello di mettere, nella nostra preghiera, non noi ma Dio al centro.
Quando ci incontriamo con Dio, non ascoltiamoci pregare, non guardiamo solo noi stessi, ma prendiamo coscienza della nostra povertà aprendoci al perdono di Dio , al Suo Amore.
Don Luigi T.
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769 - Pensiero del giorno 21/10/2010

Non è stretta la porta della misericordia di Dio;
siamo noi che stringiamo a tal punto la porta del nostro cuore da non lasciare entrare
il Vangelo e l'amore divino.
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mercoledì 20 ottobre 2010

768 - Udienza del 20/10/2010 (Santa Elisabetta d’Ungheria)

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi di una delle donne del Medioevo che ha suscitato maggiore ammirazione; si tratta di santa Elisabetta d’Ungheria, chiamata anche Elisabetta di Turingia.
Nacque nel 1207; gli storici discutono sul luogo. Suo padre era Andrea II, ricco e potente re di Ungheria, il quale, per rafforzare i legami politici, aveva sposato la contessa tedesca Gertrude di Andechs-Merania, sorella di santa Edvige, la quale era moglie del duca di Slesia. Elisabetta visse nella Corte ungherese solo i primi quattro anni della sua infanzia, assieme a una sorella e tre fratelli. Amava il gioco, la musica e la danza; recitava con fedeltà le sue preghiere e mostrava già particolare attenzione verso i poveri, che aiutava con una buona parola o con un gesto affettuoso.
La sua fanciullezza felice fu bruscamente interrotta quando, dalla lontana Turingia, giunsero dei cavalieri per portarla nella sua nuova sede in Germania centrale. Secondo i costumi di quel tempo, infatti, suo padre aveva stabilito che Elisabetta diventasse principessa di Turingia. Il langravio o conte di quella regione era uno dei sovrani più ricchi ed influenti d’Europa all’inizio del XIII secolo, e il suo castello era centro di magnificenza e di cultura. Ma dietro le feste e l’apparente gloria si nascondevano le ambizioni dei principi feudali, spesso in guerra tra di loro e in conflitto con le autorità reali ed imperiali. In questo contesto, il langravio Hermann accolse ben volentieri il fidanzamento tra suo figlio Ludovico e la principessa ungherese. Elisabetta partì dalla sua patria con una ricca dote e un grande seguito, comprese le sue ancelle personali, due delle quali le rimarranno amiche fedeli fino alla fine. Sono loro che ci hanno lasciato preziose informazioni sull’infanzia e sulla vita della Santa.
Dopo un lungo viaggio giunsero ad Eisenach, per salire poi alla fortezza di Wartburg, il massiccio castello sopra la città. Qui si celebrò il fidanzamento tra Ludovico ed Elisabetta. Negli anni successivi, mentre Ludovico imparava il mestiere di cavaliere, Elisabetta e le sue compagne studiavano tedesco, francese, latino, musica, letteratura e ricamo. Nonostante il fatto che il fidanzamento fosse stato deciso per motivi politici, tra i due giovani nacque un amore sincero, animato dalla fede e dal desiderio di compiere la volontà di Dio. All’età di 18 anni, Ludovico, dopo la morte del padre, iniziò a regnare sulla Turingia. Elisabetta divenne però oggetto di sommesse critiche, perché il suo modo di comportarsi non corrispondeva alla vita di corte. Così anche la celebrazione del matrimonio non fu sfarzosa e le spese per il banchetto furono in parte devolute ai poveri. Nella sua profonda sensibilità Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana. Non sopportava i compromessi. Una volta, entrando in chiesa nella festa dell’Assunzione, si tolse la corona, la depose dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto. Quando la suocera la rimproverò per quel gesto, ella rispose: “Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re Gesù Cristo coronato di spine?”. Come si comportava davanti a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi. Tra i Detti delle quattro ancelle troviamo questa testimonianza: “Non consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza” (nn. 25 e 37). Un vero esempio per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida: l’esercizio dell’autorità, ad ogni livello, dev’essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune.
Elisabetta praticava assiduamente le opere di misericordia: dava da bere e da mangiare a chi bussava alla sua porta, procurava vestiti, pagava i debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti. Scendendo dal suo castello, si recava spesso con le sue ancelle nelle case dei poveri, portando pane, carne, farina e altri alimenti. Consegnava i cibi personalmente e controllava con attenzione gli abiti e i giacigli dei poveri. Questo comportamento fu riferito al marito, il quale non solo non ne fu dispiaciuto, ma rispose agli accusatori: “Fin quando non mi vende il castello, ne sono contento!”. In questo contesto si colloca il miracolo del pane trasformato in rose: mentre Elisabetta andava per la strada con il suo grembiule pieno di pane per i poveri, incontrò il marito che le chiese cosa stesse portando. Lei aprì il grembiule e, invece del pane, comparvero magnifiche rose. Questo simbolo di carità è presente molte volte nelle raffigurazioni di santa Elisabetta.
Il suo fu un matrimonio profondamente felice: Elisabetta aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli, in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche religiose.
Sempre più ammirato per la grande fede della sposa, Ludovico, riferendosi alla sua attenzione verso i poveri, le disse: “Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura”. Una chiara testimonianza di come la fede e l’amore verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda l’unione matrimoniale.
La giovane coppia trovò appoggio spirituale nei Frati Minori, che, dal 1222, si diffusero in Turingia. Tra di essi Elisabetta scelse frate Ruggero (Rüdiger) come direttore spirituale. Quando egli le raccontò la vicenda della conversione del giovane e ricco mercante Francesco d’Assisi, Elisabetta si entusiasmò ulteriormente nel suo cammino di vita cristiana. Da quel momento, fu ancora più decisa nel seguire Cristo povero e crocifisso, presente nei poveri. Anche quando nacque il primo figlio, seguito poi da altri due, la nostra Santa non tralasciò mai le sue opere di carità. Aiutò inoltre i Frati Minori a costruire ad Halberstadt un convento, di cui frate Ruggero divenne il superiore. La direzione spirituale di Elisabetta passò, così, a Corrado di Marburgo.
Una dura prova fu l’addio al marito, a fine giugno del 1227 quando Ludovico IV si associò alla crociata dell’imperatore Federico II, ricordando alla sposa che quella era una tradizione per i sovrani di Turingia. Elisabetta rispose: “Non ti tratterrò. Ho dato tutta me stessa a Dio ed ora devo dare anche te”. La febbre, però, decimò le truppe e Ludovico stesso cadde malato e morì ad Otranto, prima di imbarcarsi, nel settembre 1227, all’età di ventisette anni. Elisabetta, appresa la notizia, ne fu così addolorata che si ritirò in solitudine, ma poi, fortificata dalla preghiera e consolata dalla speranza di rivederlo in Cielo, ricominciò ad interessarsi degli affari del regno. La attendeva, tuttavia, un’altra prova: suo cognato usurpò il governo della Turingia, dichiarandosi vero erede di Ludovico e accusando Elisabetta di essere una pia donna incompetente nel governare. La giovane vedova, con i tre figli, fu cacciata dal castello di Wartburg e si mise alla ricerca di un luogo dove rifugiarsi. Solo due delle sue ancelle le rimasero vicino, la accompagnarono e affidarono i tre bambini alle cure degli amici di Ludovico. Peregrinando per i villaggi, Elisabetta lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, alcuni parenti, che le erano rimasti fedeli e consideravano illegittimo il governo del cognato, riabilitarono il suo nome. Così Elisabetta, all’inizio del 1228, poté ricevere un reddito appropriato per ritirarsi nel castello di famiglia a Marburgo, dove abitava anche il suo direttore spirituale Fra’ Corrado. Fu lui a riferire al Papa Gregorio IX il seguente fatto: “Il venerdì santo del 1228, poste le mani sull’altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti. Avendola io rimproverata su queste cose, Elisabetta rispose che dai poveri riceveva una speciale grazia ed umiltà” (Epistula magistri Conradi, 14-17).
Possiamo scorgere in quest’affermazione una certa esperienza mistica simile a quella vissuta da san Francesco: il Poverello di Assisi dichiarò, infatti, nel suo testamento, che, servendo i lebbrosi, quello che prima gli era amaro fu tramutato in dolcezza dell’anima e del corpo (Testamentum, 1-3). Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni nell’ospedale da lei fondato, servendo i malati, vegliando con i moribondi. Cercava sempre di svolgere i servizi più umili e lavori ripugnanti. Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo (soror in saeculo) e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa. Non a caso è patrona del Terzo Ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare.
Nel novembre del 1231 fu colpita da forti febbri. Quando la notizia della sua malattia si propagò, moltissima gente accorse a vederla. Dopo una decina di giorni, chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio. Nella notte del 17 novembre si addormentò dolcemente nel Signore. Le testimonianze sulla sua santità furono tante e tali che, solo quattro anni più tardi, il Papa Gregorio IX la proclamò Santa e, nello stesso anno, fu consacrata la bella chiesa costruita in suo onore a Marburgo.
Cari fratelli e sorelle, nella figura di santa Elisabetta vediamo come la fede, l'amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e creino l'amore, la carità. E da questa carità nasce anche la speranza, la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci rende capaci di imitare Cristo e di vedere Cristo negli altri. Santa Elisabetta ci invita a riscoprire Cristo, ad amarLo, ad avere la fede e così trovare la vera giustizia e l'amore, come pure la gioia che un giorno saremo immersi nell'amore divino, nella gioia dell'eternità con Dio. Grazie.
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767 - La perseveranza nella preghiera!

Romani 12, 12
"Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera."



Colossesi 4, 2
"Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie."


Atti degli Apostoli 2, 42
"Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere."


Efesini 6, 18
"Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza."


1ª Tessalonicesi 5, 16-18
State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi."

Luca 18, 1
"Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi."
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domenica 17 ottobre 2010

766 - Angelus del 17/10/2010 Domenica 29^ t.o.

Al termine di questa solenne celebrazione, desidero rinnovare il mio cordiale saluto a tutti i pellegrini che sono venuti per onorare i nuovi Santi.

[saluti nelle varie lingue..]

Saluto i pellegrini italiani che festeggiano santa Battista Camilla Varano e santa Giulia Salzano, come pure la Delegazione ufficiale presente per questa lieta circostanza. In particolare il mio pensiero va alle loro figlie spirituali, come pure ai fedeli venuti dalle Marche e dalla Campania.
Pensando all’Italia, mi preme ricordare che oggi, a Reggio Calabria, si conclude la 46^ Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, che ha tracciato un’“agenda di speranza” per il futuro del Paese. Rivolgo un cordiale saluto ai convegnisti, collegati in questo momento in diretta, ed auspico che la ricerca del bene comune costituisca sempre il riferimento sicuro per l’impegno dei cattolici nell’azione sociale e politica.
Ora ci rivolgiamo in preghiera a Maria Santissima, che Dio ha posto al centro della grande assemblea dei santi. A lei affidiamo tutta la Chiesa, perché, illuminata dal loro esempio e sostenuta dalla loro intercessione, cammini con slancio sempre nuovo verso la patria del Cielo.
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sabato 16 ottobre 2010

765 - Vangelo del 17/10/2010 Domenica XXIX Tempo Ordinario

Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.
+ Dal Vangelo secondo Luca (18,1-8)

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
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mercoledì 13 ottobre 2010

764 - Udienza del 13/10/2010 (Beata Angela da Foligno)

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi della beata Angela da Foligno, una grande mistica medioevale vissuta nel XIII secolo.
Di solito, si è affascinati dai vertici dell’esperienza di unione con Dio che ella ha raggiunto, ma si considerano forse troppo poco i primi passi, la sua conversione, e il lungo cammino che l’ha condotta dal punto di partenza, il “grande timore dell’inferno”, fino al traguardo, l’unione totale con la Trinità.
La prima parte della vita di Angela non è certo quella di una fervente discepola del Signore.
Nata intorno al 1248 in una famiglia benestante, rimase orfana di padre e fu educata dalla madre in modo piuttosto superficiale. Venne introdotta ben presto negli ambienti mondani della città di Foligno, dove conobbe un uomo, che sposò a vent’anni e dal quale ebbe dei figli. La sua vita era spensierata, tanto da permettersi di disprezzare i cosiddetti “penitenti” - molto diffusi in quell’epoca – coloro, cioè, che per seguire Cristo vendevano i loro beni e vivevano nella preghiera, nel digiuno, nel servizio alla Chiesa e nella carità.
Alcuni avvenimenti, come il violento terremoto del 1279, un uragano, l’annosa guerra contro Perugia e le sue dure conseguenze incidono nella vita di Angela, la quale progressivamente prende coscienza dei suoi peccati, fino ad un passo decisivo: invoca san Francesco, che le appare in visione, per chiedergli consiglio in vista di una buona Confessione generale da compiere: siamo nel 1285, Angela si confessa da un Frate a San Feliciano. Tre anni dopo, la strada della conversione conosce un’altra svolta: lo scioglimento dai legami affettivi, poiché, in pochi mesi, alla morte della madre seguono quelle del marito e di tutti i figli. Allora vende i suoi beni e nel 1291 aderisce al Terz’Ordine di San Francesco. Muore a Foligno il 4 gennaio 1309.
Il Libro della beata Angela da Foligno, in cui è raccolta la documentazione sulla nostra Beata, racconta questa conversione; ne indica i mezzi necessari: la penitenza, l’umiltà e le tribolazioni; e ne narra i passaggi, il susseguirsi delle esperienze di Angela, iniziate nel 1285. Ricordandole, dopo averle vissute, ella cercò di raccontarle attraverso il Frate confessore, il quale le trascrisse fedelmente tentando poi di sistemarle in tappe, che chiamò “passi o mutazioni”, ma senza riuscire a ordinarle pienamente (cfr Il Libro della beata Angela da Foligno, Cinisello Balsamo 1990, p. 51). Questo perché l’esperienza di unione per la beata Angela è un coinvolgimento totale dei sensi spirituali e corporali, e di ciò che ella “comprende” durante le sue estasi rimane, per così dire, solo un’“ombra” nella sua mente. “Sentii davvero queste parole - ella confessa dopo un rapimento mistico -, ma quello che vidi e compresi, e che egli [cioè Dio] mi mostrò, in nessun modo so o posso dirlo, sebbene rivelerei volentieri quello che capii con le parole che udii, ma fu un abisso assolutamente ineffabile”. Angela da Foligno presenta il suo “vissuto” mistico, senza elaborarlo con la mente, perché sono illuminazioni divine che si comunicano alla sua anima in modo improvviso e inaspettato. Lo stesso Frate confessore fa fatica a riportare tali eventi, “anche a causa della sua grande e mirabile riservatezza riguardo ai doni divini” (Ibid., p. 194).
Alla difficoltà per Angela di esprimere la sua esperienza mistica si aggiunge anche la difficoltà per i suoi ascoltatori di comprenderla. Una situazione che indica con chiarezza come l’unico e vero Maestro, Gesù, vive nel cuore di ogni credente e desidera prenderne totale possesso. Così in Angela, che scriveva ad un suo figlio spirituale: “Figlio mio, se vedessi il mio cuore, saresti assolutamente costretto a fare tutte le cose che Dio vuole, perché il mio cuore è quello di Dio e il cuore di Dio è il mio”. Risuonano qui le parole di san Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Consideriamo allora solo qualche “passo” del ricco cammino spirituale della nostra Beata. Il primo, in realtà, è una premessa: “Fu la conoscenza del peccato, - come ella precisa – in seguito alla quale l’anima ebbe un gran timore di dannarsi; in questo passo pianse amaramente” (Il Libro della beata Angela da Foligno, p. 39). Questo “timore” dell’inferno risponde al tipo di fede che Angela aveva al momento della sua “conversione”; una fede ancora povera di carità, cioè dell’amore di Dio. Pentimento, paura dell’inferno, penitenza aprono ad Angela la prospettiva della dolorosa “via della croce” che, dall’ottavo al quindicesimo passo, la porterà poi sulla “via dell’amore”. Racconta il Frate confessore: “La fedele allora mi disse: Ho avuto questa divina rivelazione: «Dopo le cose che avete scritto, fa’ scrivere che chiunque vuole conservare la grazia non deve togliere gli occhi dell’anima dalla Croce, sia nella gioia sia nella tristezza che gli concedo o permetto»” (Ibid., p. 143). Ma in questa fase Angela ancora “non sente amore”; ella afferma: “L’anima prova vergogna e amarezza e non sperimenta ancora l’amore, ma il dolore” (Ibid., p. 39), ed è insoddisfatta.
Angela sente di dover dare qualcosa a Dio per riparare i suoi peccati, ma lentamente comprende di non aver nulla da darGli, anzi di “essere nulla” davanti a Lui; capisce che non sarà la sua volontà a darle l’amore di Dio, perché questa può solo darle il suo “nulla”, il “non amore”.
Come ella dirà: solo “l’amore vero e puro, che viene da Dio, sta nell’anima e fa sì che riconosca i propri difetti e la bontà divina […] Tale amore porta l’anima in Cristo e lei comprende con sicurezza che non si può verificare o esserci alcun inganno. Insieme a questo amore non si può mischiare qualcosa di quello del mondo” (Ibid., p. 124-125). Aprirsi solamente e totalmente all’amore di Dio, che ha la massima espressione in Cristo: “O mio Dio - prega - fammi degna di conoscere l’altissimo mistero, che il tuo ardentissimo e ineffabile amore attuò, insieme all’amore della Trinità, cioè l’altissimo mistero della tua santissima incarnazione per noi. […]. Oh incomprensibile amore! Al di sopra di quest’amore, che ha fatto sì che il mio Dio si è fatto uomo per farmi Dio, non c’è amore più grande” (Ibid., p. 295). Tuttavia, il cuore di Angela porta sempre le ferite del peccato; anche dopo una Confessione ben fatta, ella si trovava perdonata e ancora affranta dal peccato, libera e condizionata dal passato, assolta ma bisognosa di penitenza. E anche il pensiero dell’inferno l’accompagna perché quanto più l’anima progredisce sulla via della perfezione cristiana, tanto più essa si convincerà non solo di essere “indegna”, ma di essere meritevole dell’inferno.
Ed ecco che, nel suo cammino mistico, Angela comprende in modo profondo la realtà centrale: ciò che la salverà dalla sua “indegnità” e dal “meritare l’inferno” non sarà la sua “unione con Dio” e il suo possedere la “verità”, ma Gesù crocifisso, “la sua crocifissione per me”, il suo amore. Nell’ottavo passo, ella dice: “Ancora però non capivo se era bene maggiore la mia liberazione dai peccati e dall’inferno e la conversione a penitenza, oppure la sua crocifissione per me” (Ibid., p. 41). E’ l’instabile equilibrio fra amore e dolore, avvertito in tutto il suo difficile cammino verso la perfezione. Proprio per questo contempla di preferenza il Cristo crocifisso, perché in tale visione vede realizzato il perfetto equilibrio: in croce c’è l’uomo-Dio, in un supremo atto di sofferenza che è un supremo atto di amore. Nella terza Istruzione la Beata insiste su questa contemplazione e afferma: “Quanto più perfettamente e puramente vediamo, tanto più perfettamente e puramente amiamo. […] Perciò quanto più vediamo il Dio e uomo Gesù Cristo, tanto più veniamo trasformati in lui attraverso l’amore. […] Quello che ho detto dell’amore […] lo dico anche del dolore: l’anima quanto contempla l’ineffabile dolore del Dio e uomo Gesù Cristo, tanto si addolora e viene trasformata in dolore” (Ibid., p. 190-191). Immedesimarsi, trasformarsi nell’amore e nelle sofferenze del Cristo crocifisso, identificarsi con Lui.
La conversione di Angela, iniziata da quella Confessione del 1285, arriverà a maturazione solo quando il perdono di Dio apparirà alla sua anima come il dono gratuito di amore del Padre, sorgente di amore: “Non c’è nessuno che possa portare scuse – ella afferma - perché chiunque può amare Dio, ed egli non chiede all’anima se non che gli voglia bene, perché egli l’ama ed è il suo amore” (Ibid., p. 76).
Nell’itinerario spirituale di Angela il passaggio dalla conversione all’esperienza mistica, da ciò che si può esprimere all’inesprimibile, avviene attraverso il Crocifisso. E’ il “Dio-uomo passionato”, che diventa il suo “maestro di perfezione”. Tutta la sua esperienza mistica è, dunque, tendere ad una perfetta “somiglianza” con Lui, mediante purificazioni e trasformazioni sempre più profonde e radicali. In tale stupenda impresa Angela mette tutta se stessa, anima e corpo, senza risparmiarsi in penitenze e tribolazioni dall’inizio alla fine, desiderando di morire con tutti i dolori sofferti dal Dio-uomo crocifisso per essere trasformata totalmente in Lui: “O figli di Dio, - ella raccomandava - trasformatevi totalmente nel Dio-uomo passionato, che tanto vi amò da degnarsi di morire per voi di morte ignominiosissima e del tutto ineffabilmente dolorosa e in modo penosissimo e amarissimo. Questo solo per amor tuo, o uomo!” (Ibid., p. 247). Questa identificazione significa anche vivere ciò che Gesù ha vissuto: povertà, disprezzo, dolore, perché – come ella afferma - “attraverso la povertà temporale l’anima troverà ricchezze eterne; attraverso il disprezzo e la vergogna otterrà sommo onore e grandissima gloria; attraverso poca penitenza, fatta con pena e dolore, possederà con infinita dolcezza e consolazione il Bene Sommo, Dio eterno” (Ibid., p. 293).
Dalla conversione all’unione mistica con il Cristo crocifisso, all’inesprimibile. Un cammino altissimo, il cui segreto è la preghiera costante: “Quanto più pregherai – ella afferma - tanto maggiormente sarai illuminato; quanto più sarai illuminato, tanto più profondamente e intensamente vedrai il Sommo Bene, l’Essere sommamente buono; quanto più profondamente e intensamente lo vedrai, tanto più lo amerai; quanto più lo amerai, tanto più ti diletterà; e quanto più ti diletterà, tanto maggiormente lo comprenderai e diventerai capace di capirlo. Successivamente arriverai alla pienezza della luce, perché capirai di non poter comprendere” (Ibid., p. 184).
Cari fratelli e sorelle, la vita di santa Angela comincia con un’esistenza mondana, abbastanza lontana da Dio. Ma poi l'incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l'incontro col Cristo Crocifisso risveglia l'anima per La presenza di Dio, per il fatto che solo con Dio la vita diventa vera vita, perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia. E così parla a noi santa Angela. Oggi siamo tutti in pericolo di vivere come se Dio non esistesse: sembra così lontano dalla vita odierna. Ma Dio ha mille modi, per ciascuno il suo, di farsi presente nell'anima, di mostrare che esiste e mi conosce e mi ama. E santa Angela vuol farci attenti a questi segni con i quali il Signore ci tocca l'anima, attenti alla presenza di Dio, per imparare così la via con Dio e verso Dio, nella comunione con Cristo Crocifisso. Preghiamo il Signore che ci renda attenti ai segni della sua presenza, che ci insegni a vivere realmente. Grazie.
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martedì 12 ottobre 2010

763 - L'amore si moltiplica !

Genesi 1, 27-28A
"Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;"



Marco 16, 15
"Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura."


Giovanni 12, 24
"In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto."
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domenica 10 ottobre 2010

762 - Angelus del 10/10/2010 Domenica 28^ t.o.

Cari fratelli e sorelle!

Vengo or ora dalla Basilica di San Pietro dove ho presieduto la Messa di apertura dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Questa straordinaria assise sinodale, che durerà due settimane, vede riuniti in Vaticano i Pastori della Chiesa che vive nella regione del Medio Oriente, una realtà quanto mai variegata: in quelle terre, infatti, l’unica Chiesa di Cristo si esprime in tutta la ricchezza delle sue antiche Tradizioni. Il tema su cui rifletteremo è il seguente: “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza”. Infatti, in quei Paesi, purtroppo segnati da profonde divisioni e lacerati da annosi conflitti, la Chiesa è chiamata ad essere segno e strumento di unità e di riconciliazione, sul modello della prima comunità di Gerusalemme, nella quale “la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola”, come dice San Luca (At 4,32). Questo compito è arduo, dal momento che i cristiani del Medio Oriente si trovano spesso a sopportare condizioni di vita difficili, sia a livello personale che familiare e di comunità. Ma ciò non deve scoraggiare: è proprio in quel contesto che risuona ancora più necessario e urgente il perenne messaggio di Cristo: “Convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Nella mia recente visita a Cipro ho consegnato lo Strumento di Lavoro di questa Assemblea sinodale; ora che essa è iniziata, invito tutti a pregare invocando da Dio un’abbondante effusione dei doni dello Spirito Santo.
Il mese di ottobre è detto il mese del Rosario. Si tratta, per così dire, di un’«intonazione spirituale» data dalla memoria liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario, che si celebra il giorno 7 di ottobre. Siamo dunque invitati a lasciarci guidare da Maria in questa preghiera antica e sempre nuova, che a Lei è specialmente cara perché ci conduce direttamente a Gesù, contemplato nei suoi misteri di salvezza: gioiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi. Sulle orme del Venerabile Giovanni Paolo II (cfr Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae), vorrei ricordare che il Rosario è preghiera biblica, tutta intessuta di Sacra Scrittura. E’ preghiera del cuore, in cui la ripetizione dell’“Ave Maria” orienta il pensiero e l’affetto verso Cristo, e quindi si fa supplica fiduciosa alla Madre sua e nostra. E’ preghiera che aiuta a meditare la Parola di Dio e ad assimilare la Comunione eucaristica, sul modello di Maria che custodiva nel suo cuore tutto ciò che Gesù faceva e diceva, e la sua stessa presenza.
Cari amici, sappiamo quanto la Vergine Maria sia amata e venerata dai nostri fratelli e sorelle del Medio Oriente. Tutti guardano a Lei quale Madre premurosa, vicina ad ogni sofferenza, e quale Stella di speranza. Alla sua intercessione affidiamo l’Assemblea sinodale che oggi si apre, affinché i cristiani di quella regione si rafforzino nella comunione e diano a tutti testimonianza del Vangelo dell’amore e della pace.
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761 - Voi siete il profumo di Cristo!

Siracide 39, 13-14
"Ascoltatemi, figli santi, e crescete come una pianta di rose su un torrente. Come incenso spandete un buon profumo, fate fiorire fiori come il giglio, spargete profumo e intonate un canto di lode; benedite il Signore per tutte le opere sue".



Qoelet 9, 8
"In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo".


2 Corinzi 2, 14
"Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero!"
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sabato 9 ottobre 2010

760 - Vangelo del 10/10/2010 Domenica XXVIII tempo ordinario

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.


+ Dal Vangelo secondo Luca (17,11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».
E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?».
E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
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giovedì 7 ottobre 2010

759 - Udienza del 6/10/2010 (S. Geltrude la Grande)

Cari fratelli e sorelle,

Santa Gertrude la Grande, della quale vorrei parlarvi oggi, ci porta anche questa settimana nel monastero di Helfta, dove sono nati alcuni dei capolavori della letteratura religiosa femminile latino-tedesca. A questo mondo appartiene Gertrude, una delle mistiche più famose, unica donna della Germania ad avere l’appellativo di “Grande”, per la statura culturale ed evangelica: con la sua vita e il suo pensiero ha inciso in modo singolare sulla spiritualità cristiana. È una donna eccezionale, dotata di particolari talenti naturali e di straordinari doni di grazia, di profondissima umiltà e ardente zelo per la salvezza del prossimo, di intima comunione con Dio nella contemplazione e di prontezza nel soccorrere i bisognosi.
A Helfta si confronta, per così dire, sistematicamente con la sua maestra Matilde di Hackeborn, di cui ho parlato nell’Udienza di mercoledì scorso; entra in rapporto con Matilde di Magdeburgo, altra mistica medioevale; cresce sotto la cura materna, dolce ed esigente, della Badessa Gertrude. Da queste tre consorelle attinge tesori di esperienza e sapienza; li elabora in una propria sintesi, percorrendo il suo itinerario religioso con sconfinata confidenza nel Signore. Esprime la ricchezza della spiritualità non solo del suo mondo monastico, ma anche e soprattutto di quello biblico, liturgico, patristico e benedettino, con un timbro personalissimo e con grande efficacia comunicativa.
Nasce il 6 gennaio del 1256, festa dell’Epifania, ma non si sa nulla né dei genitori né del luogo di nascita. Gertrude scrive che il Signore stesso le svela il senso di questo suo primo sradicamento: “L'ho scelta per mia dimora perché mi compiaccio che tutto ciò che c'è di amabile in lei sia opera mia […]. Proprio per questa ragione io l'ho allontanata da tutti i suoi parenti perché nessuno cioè l'amasse per ragione di consanguineità e io fossi il solo motivo dell'affetto che le si porta” (Le Rivelazioni, I, 16, Siena 1994, p. 76-77).
All’età di cinque anni, nel 1261, entra nel monastero, come si usava spesso in quella epoca, per la formazione e lo studio. Qui trascorre tutta la sua esistenza, della quale lei stessa segnala le tappe più significative. Nelle sue memorie ricorda che il Signore l’ha prevenuta con longanime pazienza e infinita misericordia, dimenticando gli anni della infanzia, adolescenza e gioventù, trascorsi - scrive - “in un tale accecamento di mente che sarei stata capace […] di pensare, dire o fare senza alcun rimorso tutto ciò che mi fosse piaciuto e dovunque avessi potuto, se tu non mi avessi prevenuta, sia con un insito orrore del male ed una naturale inclinazione per il bene, sia con la vigilanza esterna degli altri. Mi sarei comportata come una pagana […] e ciò pur avendo tu voluto che fin dall'infanzia e cioè dal mio quinto anno di età, abitassi nel santuario benedetto della religione per esservi educata fra i tuoi amici più devoti” (Ibid., II, 23, p. 140s).
Gertrude è una studentessa straordinaria, impara tutto ciò che si può imparare delle scienze del Trivio e del Quadrivio, la formazione di quel tempo; è affascinata dal sapere e si dà allo studio profano con ardore e tenacia, conseguendo successi scolastici oltre ogni aspettativa. Se nulla sappiamo delle sue origini, molto ella ci dice delle sue passioni giovanili: letteratura, musica e canto, arte della miniatura la catturano; ha un carattere forte, deciso, immediato, impulsivo; sovente dice di essere negligente; riconosce i suoi difetti, ne chiede umilmente perdono. Con umiltà chiede consiglio e preghiere per la sua conversione. Vi sono tratti del suo temperamento e difetti che l’accompagneranno fino alla fine, tanto da far stupire alcune persone che si chiedono come mai il Signore la prediliga tanto.
Da studentessa passa a consacrarsi totalmente a Dio nella vita monastica e per vent’anni non accade nulla di eccezionale: lo studio e la preghiera sono la sua attività principale. Per le sue doti eccelle tra le consorelle; è tenace nel consolidare la sua cultura in svariati campi. Ma, durante l’Avvento del 1280, inizia a sentire disgusto di tutto ciò, ne avverte la vanità e il 27 gennaio del 1281, pochi giorni prima della festa della Purificazione della Vergine, verso l’ora di Compieta, la sera, il Signore illumina le sue dense tenebre. Con soavità e dolcezza calma il turbamento che l’angoscia, turbamento che Gertrude vede come un dono stesso di Dio “per abbattere quella torre di vanità e di curiosità che, pur portando ahimè e il nome e l'abito di religiosa, io ero andata innalzando con la mia superbia, onde almeno così trovar la via per mostrarmi la tua salvezza” (Ibid., II,1, p. 87). Ha la visione di un giovanetto che la guida a superare il groviglio di spine che opprime la sua anima, prendendola per mano. In quella mano, Gertrude riconosce “la preziosa traccia di quelle piaghe che hanno abrogato tutti gli atti di accusa dei nostri nemici” (Ibid., II,1, p. 89), riconosce Colui che sulla Croce ci ha salvati con il suo sangue, Gesù.
Da quel momento la sua vita di comunione intima con il Signore si intensifica, soprattutto nei tempi liturgici più significativi - Avvento-Natale, Quaresima-Pasqua, feste della Vergine - anche quando, ammalata, era impedita di recarsi in coro. È lo stesso humus liturgico di Matilde, sua maestra, che Gertrude, però, descrive con immagini, simboli e termini più semplici e lineari, più realistici, con riferimenti più diretti alla Bibbia, ai Padri, al mondo benedettino.
La sua biografa indica due direzioni di quella che potremmo definire una sua particolare “conversione”: negli studi, con il passaggio radicale dagli studi umanistici profani a quelli teologici, e nell’osservanza monastica, con il passaggio dalla vita che ella definisce negligente alla vita di preghiera intensa, mistica, con un eccezionale ardore missionario. Il Signore, che l’aveva scelta dal seno materno e fin da piccola l’aveva fatta partecipare al banchetto della vita monastica, la richiama con la sua grazia “dalle cose esterne alla vita interiore e dalle occupazioni terrene all'amore delle cose spirituali”.
Gertrude comprende di essere stata lontana da Lui, nella regione della dissomiglianza, come ella dice con sant’Agostino; di essersi dedicata con troppa avidità agli studi liberali, alla sapienza umana, trascurando la scienza spirituale, privandosi del gusto della vera sapienza; ora è condotta al monte della contemplazione, dove lascia l’uomo vecchio per rivestirsi del nuovo. “Da grammatica diventa teologa, con l'indefessa e attenta lettura di tutti i libri sacri che poteva avere o procurarsi, riempiva il suo cuore delle più utili e dolci sentenze della Sacra Scrittura. Aveva perciò sempre pronta qualche parola ispirata e di edificazione con cui soddisfare chi veniva a consultarla, e insieme i testi scritturali più adatti per confutare qualsivoglia opinione errata e chiudere la bocca ai suoi oppositori”(Ibid., I,1, p. 25).
Gertrude trasforma tutto ciò in apostolato: si dedica a scrivere e divulgare la verità di fede con chiarezza e semplicità, grazia e persuasività, servendo con amore e fedeltà la Chiesa, tanto da essere utile e gradita ai teologi e alle persone pie. Di questa sua intensa attività ci resta poco, anche a causa delle vicende che portarono alla distruzione del monastero di Helfta. Oltre all’Araldo del divino amore o Le rivelazioni, ci restano gli Esercizi Spirituali, un raro gioiello della letteratura mistica spirituale.
Nell'osservanza religiosa la nostra Santa è “una salda colonna […], fermissima propugnatrice della giustizia e della verità” (Ibid., I, 1, p. 26), dice la sua biografa. Con le parole e l’esempio suscita negli altri grande fervore. Alle preghiere e alle penitenze della regola monastica ne aggiunge altre con tale devozione e tale abbandono fiducioso in Dio, da suscitare in chi la incontra la consapevolezza di essere alla presenza del Signore. E di fatto Dio stesso le fa comprendere di averla chiamata ad essere strumento della sua grazia. Di questo immenso tesoro divino Gertrude si sente indegna, confessa di non averlo custodito e valorizzato. Esclama: “Ahimè! Se Tu mi avessi dato per tuo ricordo, indegna come sono, anche un filo solo di stoppa, avrei pur dovuto riguardarlo con maggior rispetto e reverenza di quanto ne abbia avuta per questi tuoi doni!” (Ibid., II,5, p. 100). Ma, riconoscendo la sua povertà e la sua indegnità, ella aderisce alla volontà di Dio, “perché – afferma - ho così poco approfittato delle tue grazie che non posso risolvermi a credere che mi siano state elargite per me sola, non potendo la tua eterna sapienza venir frustrata da alcuno. Fa’ dunque, o Datore di ogni bene che mi hai gratuitamente elargito doni così indebiti, che, leggendo questo scritto, il cuore di uno almeno dei tuoi amici sia commosso al pensiero che lo zelo delle anime ti ha indotto a lasciare per tanto tempo una gemma di valore così inestimabile in mezzo al fango abominevole del mio cuore” (Ibid., II,5, p. 100s).
In particolare due favori le sono cari più di ogni altro, come Gertrude stessa scrive: “Le stimmate delle tue salutifere piaghe che mi imprimesti, quasi preziosi monili, nel cuore, e la profonda e salutare ferita d'amore con cui lo segnasti. Tu mi inondasti con questi Tuoi doni di tanta beatitudine che, anche dovessi vivere mille anni senza nessuna consolazione né interna né esterna, il loro ricordo basterebbe a confortarmi, illuminarmi, colmarmi di gratitudine. Volesti ancora introdurmi nell’inestimabile intimità della tua amicizia, aprendomi in diversi modi quel sacrario nobilissimo della tua Divinità che è il tuo Cuore divino […]. A questo cumulo di benefici aggiungesti quello di darmi per Avvocata la santissima Vergine Maria Madre Tua, e di avermi spesso raccomandata al suo affetto come il più fedele degli sposi potrebbe raccomandare alla propria madre la sposa sua diletta” (Ibid., II, 23, p. 145).
Protesa verso la comunione senza fine, conclude la sua vicenda terrena il 17 novembre del 1301 o 1302, all’età di circa 46 anni. Nel settimo Esercizio, quello della preparazione alla morte, santa Gertrude scrive: “O Gesù, tu che mi sei immensamente caro, sii sempre con me, perché il mio cuore rimanga con te e il tuo amore perseveri con me senza possibilità di divisione e il mio transito sia benedetto da te, così che il mio spirito, sciolto dai lacci della carne, possa immediatamente trovare riposo in te. Amen” (Esercizi, Milano 2006, p. 148).
Mi sembra ovvio che queste non sono solo cose del passato, storiche, ma l’esistenza di santa Gertrude rimane una scuola di vita cristiana, di retta via, e ci mostra che il centro di una vita felice, di una vita vera, è l’amicizia con Gesù, il Signore. E questa amicizia si impara nell’amore per la Sacra Scrittura, nell’amore per la liturgia, nella fede profonda, nell’amore per Maria, in modo da conoscere sempre più realmente Dio stesso e così la vera felicità, la meta della nostra vita. Grazie.
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Medaglia di San Benedetto