Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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domenica 22 febbraio 2015

3332 - Commento al Vangelo del 22/2/2015, Domenica 1^ Quaresima

Dal Vangelo secondo Marco (1,12-15)
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da satana. Stava con le bestie selvatiche e gli Angeli Lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
La tentazione è un’esperienza tremenda per i credenti che lottano contro i peccati, ma solo i veri credenti riescono a superarle con facilità o alle volte con resistenze prolungate e preghiere che rimangono indispensabili.
Quelli che non vogliono dispiacere Gesù e coltivano la vita spirituale per avere compreso l’importanza di vivere nella volontà di Dio, riescono a vincere le tentazioni. Mentre i cattolici rilassati, distratti dalla mondanità, poco interessati alla vita spirituale cadono con molta facilità già alle prime avvisaglie delle tentazioni.
Gesù permette che siamo tentati affinché cresciamo nelle virtù.
La tentazione arriva dai diavoli ma spesso Dio la permette per vagliare la nostra Fede. Tutti quelli che sono entrati in contatto con Dio sono stati provati, ognuno si è trovato dinanzi una prova mai superiore alle sue capacità e rimane inevitabile fare l’esperienza della prova anche per misurarci e verificare la nostra resistenza, la nostra Fede.
I diavoli tentano con assoluta facilità quelle persone che non sono protette dalla Grazia di Dio, dalla presenza della Madonna e di San Michele. Questo ci fa comprendere che la Loro protezione ci è indispensabile e la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria è il nostro rifugio sicuro, dove satana non può disturbarci né tentarci.
I cattolici non hanno chiara la pericolosità delle tentazione e spesso si avvicinano ad esse invece di fuggirle. È certo che satana alle volte non deve neanche scomodarsi perché molti cattolici con docilità cercano le occasioni di peccato e cadono nei peccati anche mortali.
Il dramma per molti cattolici è la scarsa conoscenza della pericolosità delle tentazioni e le modalità con cui si presentano.
I diavoli sono smaliziati, molto esperti nel trovare il punto debole di ogni essere umano, cominciano delicatamente a lavorare la debolezza principale della persona, soprattutto il vizio della lussuria, mettendo nella mente ogni forma di tentazioni, principalmente il tradimento coniugale.
Sulle prime quasi tutte le persone sposate resistono, e mi riferisco solo ai cattolici mentre gli atei non si fanno scrupolo. I cattolici resistono ma se i diavoli percepiscono una certa inclinazione alla trasgressione, non lasciano più tranquilla quella persona e l’assillano, sempre delicatamente con pensieri favorevoli al tradimento:
lo fanno tutti;
che male c’è nel fare un’esperienza;
tanto voglio sempre bene a mio marito/moglie;
lo farò una sola volta;
nessuno se ne accorge.
La debolezza spirituale e l’accecamento che introduce satana, convincono i più deboli di non essere visti, ma forse Dio è cieco?
Queste tentazioni per portare al tradimento o ad altri peccati, sono la vera disgrazia per quanti non resistono e cadono nella trappola.
È una grande lotta resistere alle tentazioni e da soli non è possibile vincerle, bisogna pregare subito quando si presenta alla mente un pensiero che induce al peccato, anche se apparentemente sembra innocuo.
I diavoli non presentano la tentazione come tale, partono da lontano e con ispirazioni insospettabili per poi giungere al peccato.
La vigilanza che si acquisisce nel tempo e con molta preghiera, permette a quanti vivono una spiritualità intensa di percepire la tentazione e di recitare subito alcune Ave Maria, l’invocazione al Preziosissimo Sangue di Gesù, la preghiera a San Michele Arcangelo.
I diavoli tentano anche noi come hanno fatto con Gesù, le loro subdole ed insinuanti tentazioni suggeriscono la ricerca del potere, della gloria umana, delle ricchezze di questo mondo. In definitiva vediamo che le tre tentazioni a Gesù riassumono in blocco e predicono tutta la futura storia umana.
Nelle tre tentazioni di Gesù vengono rivelate le tre forme tipiche in cui verranno a calarsi tutte le irriducibili contraddizioni storiche della natura umana. Vediamo il contenuto delle tre tentazioni portate da satana a Gesù.
Nella prima tentazione il riferimento sono i piaceri carnali dell'uomo, questa tentazione viene vinta con la virtù della castità.
Nella seconda tentazione  ci sono il successo e il potere mondani che si vincono con la virtù della povertà. Anche i ricchi possono distaccarsi affettivamente dalle ricchezze, non divinizzandole e non riponendo in esse la loro sicurezza terrena. Solo Dio ha il potere di togliere e dare la vita.
Nella terza tentazione si insinua l'autonomia dal volere divino e si vince con la virtù dell'obbedienza al Vangelo. La conoscenza della Parola di Dio risulta determinante per compiere un serio cammino di Fede e per vincere ogni tentazione. Gesù replicava con citazioni bibliche alle domande di satana e questi scappò terrorizzato e sconfitto.
Ognuno di noi ha la possibilità di vincere ogni tentazione e di crescere saldamente nella Fede. Rifiutate le tentazioni fin dall’inizio.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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3331 - Udienza Papa Francesco 18/2/2015

La Famiglia - 5. I Fratelli
Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Nel nostro cammino di catechesi sulla famiglia, dopo aver considerato il ruolo della madre, del padre, dei figli, oggi è la volta dei fratelli. “Fratello” e “sorella” sono parole che il cristianesimo ama molto. E, grazie all’esperienza familiare, sono parole che tutte le culture e tutte le epoche comprendono.
Il legame fraterno ha un posto speciale nella storia del popolo di Dio, che riceve la sua rivelazione nel vivo dell’esperienza umana. Il salmista canta la bellezza del legame fraterno: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!» (Sal 132,1). E questo è vero, la fratellanza è bella! Gesù Cristo ha portato alla sua pienezza anche questa esperienza umana dell’essere fratelli e sorelle, assumendola nell’amore trinitario e potenziandola così che vada ben oltre i legami di parentela e possa superare ogni muro di estraneità.
Sappiamo che quando il rapporto fraterno si rovina, quando si rovina il rapporto tra fratelli, si apre la strada ad esperienze dolorose di conflitto, di tradimento, di odio. Il racconto biblico di Caino e Abele costituisce l’esempio di questo esito negativo. Dopo l’uccisione di Abele, Dio domanda a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Gen 4,9a). E’ una domanda che il Signore continua a ripetere in ogni generazione. E purtroppo, in ogni generazione, non cessa di ripetersi anche la drammatica risposta di Caino: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9b). La rottura del legame tra fratelli è una cosa brutta e cattiva per l’umanità. Anche in famiglia, quanti fratelli litigano per piccole cose, o per un’eredità, e poi non si parlano più, non si salutano più. Questo è brutto! La fratellanza è una cosa grande, quando si pensa che tutti i fratelli hanno abitato il grembo della stessa mamma durante nove mesi, vengono dalla carne della mamma! E non si può rompere la fratellanza. Pensiamo un po’: tutti conosciamo famiglie che hanno i fratelli divisi, che hanno litigato; chiediamo al Signore per queste famiglie - forse nella nostra famiglia ci sono alcuni casi - che le aiuti a riunire i fratelli, a ricostituire la famiglia. La fratellanza non si deve rompere e quando si rompe succede quanto è accaduto con Caino e Abele. Quando il Signore domanda a Caino dov’era suo fratello, egli risponde: “Ma, io non so, a me non importa di mio fratello”. Questo è brutto, è una cosa molto, molto dolorosa da sentire. Nelle nostre preghiere sempre preghiamo per i fratelli che si sono divisi.
Il legame di fraternità che si forma in famiglia tra i figli, se avviene in un clima di educazione all’apertura agli altri, è la grande scuola di libertà e di pace. In famiglia, tra fratelli si impara la convivenza umana, come si deve convivere in società. Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società e sui rapporti tra i popoli.
La benedizione che Dio, in Gesù Cristo, riversa su questo legame di fraternità lo dilata in un modo inimmaginabile, rendendolo capace di oltrepassare ogni differenza di nazione, di lingua, di cultura e persino di religione.
Pensate che cosa diventa il legame fra gli uomini, anche diversissimi fra loro, quando possono dire di un altro: “Questo è proprio come un fratello, questa è proprio come una sorella per me”! E’ bello questo! La storia ha mostrato a sufficienza, del resto, che anche la libertà e l’uguaglianza, senza la fraternità, possono riempirsi di individualismo e di conformismo, anche di interesse personale.
La fraternità in famiglia risplende in modo speciale quando vediamo la premura, la pazienza, l’affetto di cui vengono circondati il fratellino o la sorellina più deboli, malati, o portatori di handicap. I fratelli e le sorelle che fanno questo sono moltissimi, in tutto il mondo, e forse non apprezziamo abbastanza la loro generosità. E quando i fratelli sono tanti in famiglia - oggi, ho salutato una famiglia, che ha nove figli?: il più grande, o la più grande, aiuta il papà, la mamma, a curare i più piccoli. Ed è bello questo lavoro di aiuto tra i fratelli.
Avere un fratello, una sorella che ti vuole bene è un’esperienza forte, impagabile, insostituibile. Nello stesso modo accade per lafraternità cristiana. I più piccoli, i più deboli, i più poveri debbono intenerirci: hanno “diritto” di prenderci l’anima e il cuore. Sì, essi sono nostri fratelli e come tali dobbiamo amarli e trattarli. Quando questo accade, quando i poveri sono come di casa, la nostra stessa fraternità cristiana riprende vita. I cristiani, infatti, vanno incontro ai poveri e deboli non per obbedire ad un programma ideologico, ma perché la parola e l’esempio del Signore ci dicono che tutti siamo fratelli. Questo è il principio dell’amore di Dio e di ogni giustizia fra gli uomini. Vi suggerisco una cosa: prima di finire, mi mancano poche righe, in silenzio ognuno di noi, pensiamo ai nostri fratelli, alle nostre sorelle, e in silenzio dal cuore preghiamo per loro. Un istante di silenzio.
Ecco, con questa preghiera li abbiamo portati tutti, fratelli e sorelle, con il pensiero, con il cuore, qui in piazza per ricevere la benedizione.
Oggi più che mai è necessario riportare la fraternità al centro della nostra società tecnocratica e burocratica: allora anche la libertà e l’uguaglianza prenderanno la loro giusta intonazione. Perciò, non priviamo a cuor leggero le nostre famiglie, per soggezione o per paura, della bellezza di un’ampia esperienza fraterna di figli e figlie. E non perdiamo la nostra fiducia nell’ampiezza di orizzonte che la fede è capace di trarre da questa esperienza, illuminata dalla benedizione di Dio.
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3330 - Udienza Papa Francesco 11/2/2015

La Famiglia - 4. I Figli
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Dopo aver riflettuto sulle figure della madre e del padre, in questa catechesi sulla famiglia vorrei parlare del figlio o, meglio, dei figli. Prendo spunto da una bella immagine di Isaia. Scrive il profeta: «I tuoi figli si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore» (60,4-5a). E’ una splendida immagine, un’immagine della felicità che si realizza nel ricongiungimento tra i genitori e i figli, che camminano insieme verso un futuro di libertà e di pace, dopo un lungo tempo di privazioni e di separazione, quando il popolo ebraico si trovava lontano dalla patria.
In effetti, c’è uno stretto legame fra la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni. Questo dobbiamo pensarlo bene. C’è un legame stretto fra la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni. La gioia dei figli fa palpitare i cuori dei genitori e riapre il futuro. I figli sono la gioia della famiglia e della società. Non sono un problema di biologia riproduttiva, né uno dei tanti modi di realizzarsi. E tanto meno sono un possesso dei genitori… No. I figli sono un dono, sono un regalo: capito? I figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile; e al tempo stesso inconfondibilmente legato alle sue radici. Essere figlio e figlia, infatti, secondo il disegno di Dio, significa portare in sé la memoria e la speranza di un amore che ha realizzato se stesso proprio accendendo la vita di un altro essere umano, originale e nuovo. E per i genitori ogni figlio è se stesso, è differente, è diverso. Permettetemi un ricordo di famiglia. Io ricordo mia mamma, diceva di noi – eravamo cinque -: “Ma io ho cinque figli”. Quando le chiedevano: ”Qual è il tuo preferito, lei rispondeva: “Io ho cinque figli, come cinque dita. [Mostra le dita della mano] Se mi picchiano questo, mi fa male; se mi picchiano quest’altro, mi fa male. Mi fanno male tutti e cinque. Tutti sono figli miei, ma tutti differenti come le dita di una mano”. E così è la famiglia! I figli sono differenti, ma tutti figli.
Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché bello, o perché è così o cosà; no, perché è figlio! Non perché la pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio: una vita generata da noi ma destinata a lui, al suo bene, al bene della famiglia, della società, dell’umanità intera.
Di qui viene anche la profondità dell’esperienza umana dell’essere figlio e figlia, che ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci. E’ la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino. Quante volte trovo le mamme in piazza che mi fanno vedere la pancia e mi chiedono la benedizione … questi bimbi sono amati prima di venire al mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono amati prima della nascita, come l’amore di Dio che ci ama sempre prima. Sono amati prima di aver fatto qualsiasi cosa per meritarlo, prima di saper parlare o pensare, addirittura prima di venire al mondo! Essere figli è la condizione fondamentale per conoscere l’amore di Dio, che è la fonte ultima di questo autentico miracolo. Nell’anima di ogni figlio, per quanto vulnerabile, Dio pone il sigillo di questo amore, che è alla base della sua dignità personale, una dignità che niente e nessuno potrà distruggere.
Oggi sembra più difficile per i figli immaginare il loro futuro. I padri – lo accennavo nelle precedenti catechesi – hanno forse fatto un passo indietro e i figli sono diventati più incerti nel fare i loro passi avanti. Possiamo imparare il buon rapporto fra le generazioni dal nostro Padre celeste, che lascia libero ciascuno di noi ma non ci lascia mai soli. E se sbagliamo, Lui continua a seguirci con pazienza senza diminuire il suo amore per noi. Il Padre celeste non fa passi indietro nel suo amore per noi, mai! Va sempre avanti e se non può andare avanti ci aspetta, ma non va mai indietro; vuole che i suoi figli siano coraggiosi e facciano i loro passi avanti.
I figli, da parte loro, non devono aver paura dell’impegno di costruire un mondo nuovo: è giusto per loro desiderare che sia migliore di quello che hanno ricevuto! Ma questo va fatto senza arroganza, senza presunzione. Dei figli bisogna saper riconoscere il valore, e ai genitori si deve sempre rendere onore.
Il quarto comandamento chiede ai figli – e tutti lo siamo! – di onorare il padre e la madre (cfr Es 20,12). Questo comandamento viene subito dopo quelli che riguardano Dio stesso. Infatti contiene qualcosa di sacro, qualcosa di divino, qualcosa che sta alla radice di ogni altro genere di rispetto fra gli uomini. E nella formulazione biblica del quarto comandamento si aggiunge: «perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore tuo Dio ti dà». Il legame virtuoso tra le generazioni è garanzia di futuro, ed è garanzia di una storia davvero umana. Una società di figli che non onorano i genitori è una società senza onore;  quando non si onorano i genitori si perde il proprio onore! È una società destinata a riempirsi di giovani aridi e avidi. Però, anche una società avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa. Pensiamo a tante società che conosciamo qui in Europa: sono società depresse, perché non vogliono i figli, non hanno i figli,  il livello di nascita non arriva all’uno percento. Perché? Ognuno di noi pensi e risponda. Se una famiglia generosa di figli viene guardata come se fosse un peso, c’è qualcosa che non va! La generazione dei figli dev’essere responsabile, come insegna anche l’Enciclica Humanae vitae del beato Papa Paolo VI, ma avere più figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile. Non avere figli è una scelta egoistica. La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce! I figli imparano a farsi carico della loro famiglia, maturano nella condivisione dei suoi sacrifici, crescono nell’apprezzamento dei suoi doni. L’esperienza lieta della fraternità anima il rispetto e la cura dei genitori, ai quali è dovuta la nostra riconoscenza. Tanti di voi qui presenti hanno figli e tutti siamo figli. Facciamo una cosa, un minuto di silenzio. Ognuno di noi pensi nel suo cuore ai propri figli – se ne ha -;  pensi in silenzio. E tutti noi pensiamo ai nostri genitori e ringraziamo Dio per il dono della vita. In silenzio, quelli che hanno figli pensino a loro, e tutti pensiamo ai nostri genitori. (Silenzio). Il Signore benedica i nostri genitori e benedica i vostri figli.
Gesù, il Figlio eterno, reso figlio nel tempo, ci aiuti a trovare la strada di una nuova irradiazione di questa esperienza umana così semplice e così grande che è l’essere figli. Nel moltiplicarsi della generazione c’è un mistero di arricchimento della vita di tutti, che viene da Dio stesso. Dobbiamo riscoprirlo, sfidando il pregiudizio; e viverlo, nella fede, in perfetta letizia. E vi dico: quanto è bello quando io passo in mezzo a voi e vedo i papà e le mamme che alzano i loro figli per essere benedetti; questo è un gesto quasi divino. Grazie perché lo fate!
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domenica 8 febbraio 2015

3329 - Commento al Vangelo del 8/2/2015, Domenica 5^ t.ord.

+ Dal Vangelo secondo Marco (1,29-39)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché Lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con Lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti Ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché Io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Ieri due notizie mi hanno particolarmente colpito, sono rimasto sbalordito per la colossale gaffe del presidente americano e un po’ afflitto per le notizie che sono arrivate dall’incontro senza esito tra i politici che guidano la Francia, la Germania e la Russia. L’affermazione meno inquietante… è stata questa, riferita dal presidente francese: “Senza un accordo ci sarà una guerra in Europa”.
Che dire di questi politici? Il potere a quanto pare annebbia la mente e la riempie di un orgoglio che non sembra più umano.
Non riescono più a configurare nella mente le conseguenze di una guerra, anche senza l’uso dell’atomica ma sempre di armi potentissime si parla. Sono come quei peccatori che si abituano a peccare e non possono farne a meno, non pensano più alle conseguenze immediate e future dei peccati, la loro mente non capisce più che è deformata. Per questo ha perduto l’equilibrio, la ragionevolezza e il buon senso.
Passiamo alla inaudita gaffe del presidente degli Stati Uniti, una cantonata storica e religiosa che neanche Nixon ne era capace.
Ha affermato che i terroristi islamici e i crociati cristiani sono la stessa cosa, questo qui ignora la storia e la manipola.
Ieri ho letto l’articolo di un ex musulmano, un giornalista che è diventato cattolico, Cristiano Magdi Allam. Vale la pena leggere qualcosa sull’inaudita gaffe di Obama, mai prima d’ora pronunciata da chicchessia.
«Obama ci odia. Sostenere che i terroristi islamici e i crociati cristiani siano la stessa cosa, significa sia essere ignorante della realtà dell'islam arrivando a glorificarlo, sia coltivare un pregiudizio nei confronti del Cristianesimo arrivando a criminalizzarlo.
Nel suo intervento alla Casa Bianca in occasione della “Preghiera nazionale”, Obama ha detto che “durante le Crociate e l'Inquisizione la gente ha commesso atti terribili in nome di Cristo”, e che “nel nostro Paese la schiavitù e Jim Crow (leggi sulla segregazione razziale) troppo spesso sono state giustificate nel nome di Cristo”.
Per contro Obama ha assolto l'islam, affermando che “coloro che perpetrano la violenza e il terrore sostenendo di farlo nel nome dell'islam, in realtà tradiscono l'islam”.
È del tutto evidente che Obama non sa che Allah nel Corano legittima il terrorismo, la decapitazione e le mutilazioni corporee al punto da rivendicarne la paternità: “Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi! (...) Non siete certo voi che li avete uccisi, è Allah che li ha uccisi” (8,12-17). Così come non sa che Maometto in un suo detto, confessa: “Ho vinto grazie al terrore” (Bukhari 4:52.220).
Soprattutto non sa che Maometto praticò il terrorismo partecipando di persona alla decapitazione di circa 800 ebrei della tribù dei Banu Qurayza nel 627 alle porte di Medina.
Giustamente il senatore repubblicano Jim Gilmore ha detto che Obama “ha offeso ogni credente cristiano negli Stati Uniti. Siamo arrivati al punto che Obama non crede nell'America né condivide i valori che noi tutti condividiamo”.
Ricordiamo che Obama è di famiglia islamica, il suo secondo nome è Hussein, ha un fratellastro, Malik Obama, che è un sostenitore dei Fratelli musulmani che si sono infiltrati nella sua amministrazione».
La notizia della guerra in Europa è preoccupante ma noi non dobbiamo temere nulla e preghiamo la Madonna di proteggerci da qualsiasi pericolo. Ma tra la guerra incombente e l’affermazione di Obama, mi lascia disgustato il suo linguaggio inconcludente e storpiato. La dichiarazione del presidente americano offende il Cristianesimo, la nostra storia e ci paragona ai terroristi Jihadisti. Non sono forse questi politici a fomentare le guerre?
La Madonna da diversi decenni invita i credenti a pregare per la pace nel mondo, anche le parole che falsano la storia innescano odio e allontanano la pace anche dai cuori dei buoni. Giustificare i terroristi islamici paragonandoli ai crociati cristiani è un esercizio sporco che manifesta un odio controllato e soffocato contro la Chiesa di Cristo.
Quando si candidò alla Casa Bianca ci fu una isterica esultanza della stragrande maggioranza, quasi dovesse compiere più miracoli di Gesù, mentre non è stato neanche migliore del precedente presidente, ha guerreggiato come l’altro. Stavolta sono gli storici a dirlo.
Miliardi di persone si lasciano facilmente influenzare da quanto ascoltano dalla televisione o dai pensieri che si ritrovano nella mente.
Da dove arrivano quei pensieri?
Senza lo Spirito Santo la mente è visitata ogni giorno da molteplici pensieri diabolici ed è impegnativo discernere il vero dal falso.
Dobbiamo avvicinarci con il cuore a Gesù, non può esserci una vera conversione se non Lo conosciamo bene e non pratichiamo il suo Vangelo. Valgono poco e niente molte preghiere recitate senza amore o in una condizione spirituale sottomessa ai vizi. Da Gesù possiamo ricevere ogni giorno innumerevoli Grazie che cambiano gradualmente la vita e la mentalità.
Possiamo ricevere anche miracoli come è avvenuto alla suocera di Pietro. Dalla Valtorta sappiamo che non si trattava di una banale febbre, era una febbre che l’avrebbe condotta alla morte perché a quel tempo incurabile. Gesù dimostra che per Lui nulla è incurabile, tutte le malattie sono sottoposte al suo dominio e con una parola può guarire ogni malattia.
“Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni”.
Con un solo cenno dell’intelletto può cambiare anche la volontà del peccatore e trasformarlo, ma deve esserci nel peccatore almeno un piccolo ravvedimento, una presa di coscienza del peccato e rifiutarlo.
Gesù a tutti noi chiede di avvicinare i peccatori e parlare di Lui, del suo perdono e di una vita migliore se si decidono di scoprire il suo Amore. Possiamo aiutare molte persone a trovare la Verità della vita e permettere ad esse di ottenere Grazie spirituali e fisiche.
Ci sono moltissimi ammalati nel corpo e nello spirito che girovagano nel mondo, avviciniamoli e facciamo conoscere Gesù.
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3328 - Udienza Papa Francesco 4/2/2015

La Famiglia - 3Bis Padre (II)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei svolgere la seconda parte della riflessione sulla figura del padre nella famiglia. La volta scorsa ho parlato del pericolo dei padri “assenti”, oggi voglio guardare piuttosto all'aspetto positivo. Anche san Giuseppe fu tentato di lasciare Maria, quando scoprì che era incinta; ma intervenne l’angelo del Signore che gli rivelò il disegno di Dio e la sua missione di padre putativo; e Giuseppe, uomo giusto, «prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24) e divenne il padre della famiglia di Nazaret.
Ogni famiglia ha bisogno del padre. Oggi ci soffermiamo sul valore del suo ruolo, e vorrei partire da alcune espressioni che si trovano nel Libro dei Proverbi, parole che un padre rivolge al proprio figlio, e dice così: «Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio, anche il mio sarà colmo di gioia. Esulterò dentro di me, quando le tue labbra diranno parole rette» (Pr 23,15-16). Non si potrebbe esprimere meglio l’orgoglio e la commozione di un padre che riconosce di avere trasmesso al figlio quel che conta davvero nella vita, ossia un cuore saggio. Questo padre non dice: “Sono fiero di te perché sei proprio uguale a me, perché ripeti le cose che dico e che faccio io”. No, non  gli dice semplicemente qualcosa. Gli dice qualcosa di ben più importante, che potremmo interpretare così: “Sarò felice ogni volta che ti vedrò agire con saggezza, e sarò commosso ogni volta che ti sentirò parlare con rettitudine. Questo è ciò che ho voluto lasciarti, perché diventasse una cosa tua: l’attitudine a sentire e agire, a parlare e giudicare con saggezza e rettitudine. E perché tu potessi essere così, ti ho insegnato cose che non sapevi, ho corretto errori che non vedevi. Ti ho fatto sentire un affetto profondo e insieme discreto, che forse non hai riconosciuto pienamente quando eri giovane e incerto. Ti ho dato una testimonianza di rigore e di fermezza che forse non capivi, quando avresti voluto soltanto complicità e protezione. Ho dovuto io stesso, per primo, mettermi alla prova della saggezza del cuore, e vigilare sugli eccessi del sentimento e del risentimento, per portare il peso delle inevitabili incomprensioni e trovare le parole giuste per farmi capire. Adesso – continua il padre -, quando vedo che tu cerchi di essere così con i tuoi figli, e con tutti, mi commuovo. Sono felice di essere tuo padre”. È così ciò che dice un padre saggio, un padre maturo.
Un padre sa bene quanto costa trasmettere questa eredità: quanta vicinanza, quanta dolcezza e quanta fermezza. Però, quale consolazione e quale ricompensa si riceve, quando i figli rendono onore a questa eredità! E’ una gioia che riscatta ogni fatica, che supera ogni incomprensione e guarisce ogni ferita.
La prima necessità, dunque, è proprio questa: che il padre sia presente nella famiglia. Che sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E che sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente, sempre. Dire presente non è lo stesso che dire controllore! Perché i padri troppo controllori annullano i figli, non li lasciano crescere.
Il Vangelo ci parla dell’esemplarità del Padre che sta nei cieli – il solo, dice Gesù, che può essere chiamato veramente “Padre buono” (cfr Mc 10,18). Tutti conoscono quella straordinaria parabola chiamata del “figlio prodigo”, o meglio del “padre misericordioso”, che si trova nel Vangelo di Luca al capitolo 15 (cfr 15,11-32). Quanta dignità e quanta tenerezza nell’attesa di quel padre che sta sulla porta di casa aspettando che il figlio ritorni! I padri devono essere pazienti. Tante volte non c’è altra cosa da fare che aspettare; pregare e aspettare con pazienza, dolcezza, magnanimità, misericordia.
Un buon padre sa attendere e sa perdonare, dal profondo del cuore. Certo, sa anche correggere con fermezza: non è un padre debole, arrendevole, sentimentale. Il padre che sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi. Una volta ho sentito in una riunione di matrimonio un papà dire: “Io alcune volte devo picchiare un po’ i figli … ma mai in faccia per non avvilirli”. Che bello! Ha senso della dignità. Deve punire, lo fa in modo giusto, e va avanti.
Se dunque c’è qualcuno che può spiegare fino in fondo la preghiera del “Padre nostro”, insegnata da Gesù, questi è proprio chi vive in prima persona la paternità. Senza la grazia che viene dal Padre che sta nei cieli, i padri perdono coraggio, e abbandonano il campo. Ma i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno; e il non trovarlo apre in loro ferite difficili da rimarginare.
La Chiesa, nostra madre, è impegnata a sostenere con tutte le sue forze la presenza buona e generosa dei padri nelle famiglie, perché essi sono per le nuove generazioni custodi e mediatori insostituibili della fede nella bontà, della fede nella giustizia e nella protezione di Dio, come san Giuseppe.
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martedì 3 febbraio 2015

3327 - Messaggio Medjugorje a Mirjana del 2 febbraio 2015

Cari figli, eccomi sono qui in mezzo a voi. Vi guardo, vi sorrido e vi amo come solo una madre può fare. Attraverso lo Spirito Santo che viene per mezzo della mia purezza, vedo i vostri cuori e li offro a mio Figlio. Già da tanto tempo vi chiedo di essere miei apostoli, di pregare per coloro che non hanno conosciuto l’amore di Dio. Chiedo la preghiera fatta con l’amore, la preghiera che fa opere e sacrifici. Non perdete tempo a capire se siete degni di essere miei apostoli, il Padre Celeste giudicherà tutti, ma voi amatelo ed ascoltatelo. So che tutte queste cose vi confondono, anche la mia venuta in mezzo a voi, ma accettatela con gioia e pregate per comprendere che siete degni di operare per il cielo. Il mio amore è su di voi. Pregate affinché il mio amore vinca in ogni cuore, perché questo amore che perdona si dona e non cessa mai. Vi ringrazio.
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3326 - Udienza Papa Francesco 28/1/2015

La Famiglia - 3. Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Riprendiamo il cammino di catechesi sulla famiglia. Oggi ci lasciamo guidare dalla parola “padre”. Una parola più di ogni altra cara a noi cristiani, perché è il nome con il quale Gesù ci ha insegnato a chiamare Dio: padre. Il senso di questo nome ha ricevuto una nuova profondità proprio a partire dal modo in cui Gesù lo usava per rivolgersi a Dio e manifestare il suo speciale rapporto con Lui. Il mistero benedetto dell’intimità di Dio, Padre, Figlio e Spirito, rivelato da Gesù, è il cuore della nostra fede cristiana.
“Padre” è una parola nota a tutti, una parola universale. Essa indica una relazione fondamentale la cui realtà è antica quanto la storia dell’uomo. Oggi, tuttavia, si è arrivati ad affermare che la nostra sarebbe una “società senza padri”. In altri termini, in particolare nella cultura occidentale, la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, svanita, rimossa. In un primo momento, la cosa è stata percepita come una liberazione: liberazione dal padre-padrone, dal padre come rappresentante della legge che si impone dall’esterno, dal padre come censore della felicità dei figli e ostacolo all’emancipazione e all’autonomia dei giovani. Talvolta in alcune case regnava in passato l’autoritarismo, in certi casi addirittura la sopraffazione: genitori che trattavano i figli come servi, non rispettando le esigenze personali della loro crescita; padri che non li aiutavano a intraprendere la loro strada con libertà - ma non è facile educare un figlio in libertà -; padri che non li aiutavano ad assumere le proprie responsabilità per costruire il loro futuro e quello della società.
Questo, certamente, è un atteggiamento non buono; però come spesso avviene, si passa da un estremo all’altro. Il problema dei nostri giorni non sembra essere più tanto la presenza invadente dei padri, quanto piuttosto la loro assenza, la loro latitanza. I padri sono talora così concentrati su se stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie realizzazioni individuali, da dimenticare anche la famiglia. E lasciano soli i piccoli e i giovani. Già da vescovo di Buenos Aires avvertivo il senso di orfanezza che vivono oggi i ragazzi; e spesso domandavo ai papà se giocavano con i loro figli, se avevano il coraggio e l’amore di perdere tempo con i figli. E la risposta era brutta, nella maggioranza dei casi: “Mah, non posso, perché ho tanto lavoro…”. E il padre era assente da quel figliolo che cresceva, non giocava con lui, no, non perdeva tempo con lui.
Ora, in questo cammino comune di riflessione sulla famiglia, vorrei dire a tutte le comunità cristiane che dobbiamo essere più attenti: l’assenza della figura paterna nella vita dei piccoli e dei giovani produce lacune e ferite che possono essere anche molto gravi. E in effetti le devianze dei bambini e degli adolescenti si possono in buona parte ricondurre a questa mancanza, alla carenza di esempi e di guide autorevoli nella loro vita di ogni giorno, alla carenza di vicinanza, alla carenza di amore da parte dei padri. E’ più profondo di quel che pensiamo il senso di orfanezza che vivono tanti giovani.
Sono orfani in famiglia, perché i papà sono spesso assenti, anche fisicamente, da casa, ma soprattutto perché, quando ci sono, non si comportano da padri, non dialogano con i loro figli, non adempiono il loro compito educativo, non danno ai figli, con il loro esempio accompagnato dalle parole, quei principi, quei valori, quelle regole di vita di cui hanno bisogno come del pane. La qualità educativa della presenza paterna è tanto più necessaria quanto più il papà è costretto dal lavoro a stare lontano da casa. A volte sembra che i papà non sappiano bene quale posto occupare in famiglia e come educare i figli. E allora, nel dubbio, si astengono, si ritirano e trascurano le loro responsabilità, magari rifugiandosi in un improbabile rapporto “alla pari” con i figli. E’ vero che tu devi essere “compagno” di tuo figlio, ma senza dimenticare che tu sei il padre! Se tu ti comporti soltanto come un compagno alla pari del figlio, questo non farà bene al ragazzo.
E questo problema lo vediamo anche nella comunità civile. La comunità civile con le sue istituzioni, ha una certa responsabilità – possiamo dire paterna - verso i giovani, una responsabilità che a volte trascura o esercita male. Anch’essa spesso li lascia orfani e non propone loro una verità di prospettiva. I giovani rimangono, così, orfani di strade sicure da percorrere, orfani di maestri di cui fidarsi, orfani di ideali che riscaldino il cuore, orfani di valori e di speranze che li sostengano quotidianamente. Vengono riempiti magari di idoli ma si ruba loro il cuore; sono spinti a sognare divertimenti e piaceri, ma non si dà loro il lavoro; vengono illusi col dio denaro, e negate loro le vere ricchezze.
E allora farà bene a tutti, ai padri e ai figli, riascoltare la promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli: «Non vi lascerò orfani» (Gv 14,18). E’ Lui, infatti, la Via da percorrere, il Maestro da ascoltare, la Speranza che il mondo può cambiare, che l’amore vince l’odio, che può esserci un futuro di fraternità e di pace per tutti. Qualcuno di voi potrà dirmi: “Ma Padre, oggi Lei è stato troppo negativo. Ha parlato soltanto dell’assenza dei padri, cosa accade quando i padri non sono vicini ai figli… È vero, ho voluto sottolineare questo, perché mercoledì prossimo proseguirò questa catechesi mettendo in luce la bellezza della paternità. Per questo ho scelto di cominciare dal buio per arrivare alla luce. Che il Signore ci aiuti a capire bene queste cose. Grazie.
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Medaglia di San Benedetto