Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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giovedì 30 agosto 2018

SC 241 Commento al Vangelo di giovedì 30.08.2018 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

+ Dal Vangelo secondo Matteo (24,42-51)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell’Uomo. Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero Io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
I Santi hanno meditato lungamente che questa vita è un pellegrinaggio, ed esiste la vita eterna che anche a molti cristiani appare come qualcosa di insignificante. È la vera vita che dura per l’eternità ed ognuno vivrà le conseguenze di questa esistenza terrena.
Non deve incutere timore e non si deve esorcizzare la riflessione sulla morte, procura solo un grande bene spirituale e riporta coi piedi per terra.
Fa rientrare in sé anche la stessa malattia pur non essendo grave, e chi riflette sulla vita che conduce la riprende in mano e la veicola verso Dio, ovviamente se ha Fede, in caso contrario ricorre ad altri idoli o cerca un modo vizioso per «dimenticare» la sua sofferenza.
Molte persone soffrono a causa delle cattiverie procurate da altri privi di morale o malati psichici ignari del loro disturbo mentale. Si può essere schizofrenici, portare in sé una scissione nella mente senza capirci nulla e di conseguenza suscitare sofferenze ai familiari e ad altre persone incolpevoli delle «invenzioni» che nascono dalla mente in disaccordo.
Anche nelle persone apparentemente normali possono persistere sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività, da un tempo superiore ai sei mesi, con forte disadattamento e credono di fare bene anche le opere più cattive o corrotte.
Questa conoscenza deve farci pregare per chi non ci ama, potrebbe soffrire di disturbi di personalità, ma bisogna precisare che non sempre risultano incolpevoli. La persona colpita da questo disturbo difficilmente si rende conto di essere «affetta» da una malattia e più frequentemente considera i sintomi come tratti peculiari del proprio stile di vita e  tende a cambiare l’ambiente, non se stessa.
La persona disturbata accusa sempre gli altri e non riesce a rientrare in sé e conoscersi, per capire che deve curarsi e arrivare con la Grazia di Dio alla guarigione. Questo ci dice che se il cristiano deve pregare per i suoi nemici, deve anche riflettere che spesso i persecutori sono disturbati mentalmente e non comprendono la gravità delle loro parole e azioni.
Quasi tutti sono colpevoli davanti a Dio, non si arriva a vivere questa condizione senza la complicità del soggetto, a meno che non ci sia l’intervento dei diavoli, abilissimi a far stancare la mente, a creare illusioni, ad infondere pensieri insensati con molta insistenza, fino a convincere la persona.
Dio conosce i cuori e la mente di ognuno, Lui vede perfettamente la responsabilità o l’innocenza della persona disturbata, ma il disturbo molto spesso cresce in chi non prega o prega male, in chi non vuole guarire perché troppo legato al suo orgoglio.
Questo per dirvi che è necessario mantenere sempre desta la vita spirituale!
Per il cristiano che si è mantenuto vigilante, l’ultimo giorno non verrà «come un ladro di notte», non rimarrà sorpreso e confuso, perché ogni giorno sarà stato un incontro con Dio attraverso gli accadimenti più semplici e normali.
Il Signore ci mette in guardia in molti modi, con varie parabole, contro la trascuratezza, la pigrizia e la mancanza d’amore. Un cuore che ama è un cuore che vigila su se stesso e sugli altri. Dio ci raccomanda di vegliare su coloro ai quali ci legano particolari vincoli di Fede, di parentela, di amicizia.
Quando si riferisce al «ladro di notte», Gesù intende raccomandarci di non distrarre l’attenzione dal grande affare della salvezza, e vuole che non consideriamo questo stare all’erta come qualcosa di meramente negativo: vigilare non significa solamente evitare di cadere addormentati per timore che possa succedere qualcosa di sgradevole mentre dormiamo.
Vigilare vuol dire rimanere sempre in attesa, non lasciarci vincere dai pensieri infondati o devianti, molto spesso così ambigui e insoliti.
Noi restiamo vigilanti per far agire Gesù in ogni circostanza della vita, per lasciarlo operare in noi, per vivere da vivi e non succubi della mentalità corrente o dei suggerimenti non chiari o peccaminosi che spesso la mente ci propone.
Solo il Signore ci dona la Luce per discernere la provenienza dei pensieri e ci facilita la realizzazione di quelli che arrivano da Lui.
Ringraziamo di continuo Gesù e la Madonna, forse in questo istante qualcuno sta pregando per noi, e la nostra anima riprende vigore grazie alla generosità di persone che forse non conosciamo, o di qualcuno che ci è molto vicino.
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PG 226 Pensiero di giovedì 30.8.2018 di Don Pierino Galeone – Servi della Sofferenza

L’illusione delle chiacchiere consiste nell'essere abbuffati di notizie e di curiosità che disperdono la mente e il cuore. Per questo san Paolo dice che i chiacchieroni non vanno in Paradiso.
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SC 240 Commento al Vangelo di mercoledì 29.08.2018 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

Martirio di San Giovanni Battista

+ Dal Vangelo secondo Marco (6,17-29)
In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Questa festa sarà ignorata dai cattolici modernisti, quelli che con il cuore si sono distaccati da Gesù e proseguono un loro cammino, solo apparentemente spirituale. Dove li porterà è facile intuirlo: nella totale confusione esistenziale e si accentuerà l’inclinazione al male, alle opere immorali, cercheranno esclusivamente l’appagamento dei sensi, dopo avere dimenticato Dio.
San Giovanni Battista è il grande modello dei cristiani che seguono con coraggio Gesù Cristo e non temono ritorsioni nella difesa di Dio, della Santa Chiesa e del Vangelo storico. Sono i cristiani che hanno incontrato veramente il Volto di Gesù nella preghiera contemplativa e non hanno più rispetto umano, cioè, non si vergognano di testimoniare Dio e di non trascurare i doveri religiosi.
Riguardo l’educazione, il rispetto umano è un dovere che viene esplicitato nei confronti dei nostri simili. Noi amiamo e rispettiamo ogni prossimo, tutti, anche i nostri nemici. Non solo desideriamo il bene di chi non ci ama, ma preghiamo per loro, per la loro conversione.
Il rispetto umano nella testimonianza della nostra Fede invece richiede fortezza per affermare con i nostri comportamenti a quanti ci conoscono o ci vedono, che mettiamo la Parola di Dio sopra ogni legame, anche quello familiare. Non avere rispetto umano in questo senso significa non importarci di ciò che pensano di noi.
Affiora interiormente il rispetto umano quando è richiesta la manifestazione delle proprie convinzioni religiose, represse per vergogna o per timore di darne testimonianza. Gesù però indica cosa avverrà a quanti si imbarazzano di testimoniarlo: «Chi si vergognerà di Me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’Uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli Angeli Santi» (Lc 9,26).
San Giovanni Battista è stato un grande nella testimonianza coraggiosa durata tutta la vita, non per alcuni minuti come è avvenuto a molti Santi, anch’essi coraggiosi, quando sono stati torturati e minacciati di morire se non avessero rinnegato Gesù Cristo.
San Francesco d’Assisi intorno al 1217 si recò in Egitto con alcuni Frati con l’intenzione di convertire i musulmani, e senza provare alcun rispetto umano testimoniò al sultano, un principe orientale, che la salvezza eterna arriva esclusivamente da Gesù Cristo e non dal loro profeta.
Per dare prova della verità del Vangelo, San Francesco passò in mezzo al fuoco tra lo stupore di tutti e anche la fuga terrorizzata di quanti non potevano credere ai loro occhi. Il sultano ebbe molta stima del Santo e non lo fece uccidere, perché per i musulmani è un obbligo uccidere i cristiani, considerati infedeli.
Dinanzi al viaggio di San Francesco in Egitto per fare il missionario e convertire i musulmani, ancora di più dinanzi al coraggio di San Giovanni Battista che annunciava Gesù Cristo e gridava contro la corruzione del suo tempo e del potente Erode, perché oggi la gerarchia della Chiesa non grida più e non annuncia con piena fedeltà che solo nel Signore Gesù vi è salvezza?
Con sbigottimento si trova un collegamento tra l’insistente predicazione a favore degli immigrati e il fatto che essi sono quasi tutti musulmani. È solo una coincidenza? È invece intenzionale, un piano fin troppo evidente di relativizzare la Chiesa Cattolica e di unificarla con le altre religioni o pseudo tali. A quel punto non si adorerebbe più Gesù Cristo né si considererebbe Dio.
È possibile un simile progetto? Esistono migliaia di prove e le stesse opere di quanti«lavorano» per questo lo testimoniano.
La Chiesa è chiamata a evangelizzare i musulmani, aiutandoli sicuramente nelle loro necessità, ma il vero amore si manifesta nel far conoscere Gesù Cristo. Sorprendono le parole a cui ricorrono in molti per favorire e giustificare l’ingresso in Italia di centinaia di migliaia di musulmani: «Ero forestiero e mi avete ospitato» (Mt 25-35).
È ipocrita e non parla da cristiano perché senza più Fede in Gesù, chi cita questa frase dimenticando che Gesù principalmente ha insistito sulla conversione degli eretici e dei pagani. «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16).
L’accoglienza è innata e generosa in noi italiani, lo dimostrano i milioni di africani e di asiatici che hanno la cittadinanza italiana e si sono integrati, mentre il problema si pone sul progetto che negli ultimi anni si sta cercando di realizzare contro la Chiesa Cattolica e il Cristianesimo in generale.
È urgente la presenza di tanti nuovi Giovanni Battista in grado di annunciare la Verità, senza temere le ripercussioni dei cattivi e traditori.
Gli immigrati sono innanzitutto musulmani che esportano il loro modello socio religioso e hanno studiato nel loro libro che la diffusione dell’Islam è voluta da Dio anche a costo di uccidere gli infedeli, innanzitutto i cristiani, quindi, i musulmani non provano alcuna gratitudine verso i cristiani, semmai avversione che si scatenerà in rappresaglie secondo l’opportunità.
Noi cristiani amiamo tutti, ma il Vangelo ci da le regole su come comportarci e gli incorrotti agiscono nella verità, senza avere secondi fini.
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PG 225 Pensiero di mercoledì 29.8.2018 di Don Pierino Galeone – Servi della Sofferenza

Com’è bello sentire l’amore di papà e mamma e questi l’amore di ogni figliolo.
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martedì 28 agosto 2018

Sant'Agostino

Agostino è uno degli autori di testi teologici, mistici, filosofici, esegetici, ancora oggi molto studiato e citato; egli è uno dei Dottori della Chiesa come ponte fra l’Africa e l’Europa; il suo libro le “Confessioni” è ancora oggi ricercato, ristampato, letto e meditato.
“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo…. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace”; così scrive Agostino Aurelio nelle “Confessioni”, perché la sua vita fu proprio così in due fasi: prima l’ansia inquieta di chi, cercando la strada, commette molti errori; poi imbroccata la via, sente il desiderio ardente di arrivare alla meta per abbracciare l’amato.
Agostino Aurelio nacque a Tagaste nella Numidia in Africa il 13 novembre 354 da una famiglia di classe media, di piccoli proprietari terrieri, il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli, dei quali Agostino era il primogenito, era invece cristiana; fu lei a dargli un’educazione religiosa ma senza battezzarlo, come si usava allora, volendo attendere l’età matura.
Ebbe un’infanzia molto vivace, ma non certamente piena di peccati, come farebbe pensare una sua frase scritta nelle “Confessioni” dove si dichiara gran peccatore fin da piccolo. I peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto di un facoltoso signore del luogo di nome Romaniano; Agostino aveva 16 anni e viveva la sua adolescenza in modo molto vivace ed esuberante e mentre frequentava la scuola di un retore, cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede nel 372, anche un figlio, Adeodato.
Questa relazione sembra che sia durata 14 anni, quando nacque inaspettato il figlio; Agostino fu costretto, come si suol dire, a darsi una regolata, riportando la sua condotta inconcludente e dispersiva, su una più retta strada, ed a concentrarsi negli studi, per i quali si trovava a Cartagine.
Le lacrime della madre Monica, cominciavano ad avere un effetto positivo; fu in quegli anni che maturò la sua prima vocazione di filosofo, grazie alla lettura di un libro di Cicerone, l’”Ortensio” che l’aveva particolarmente colpito, perché l’autore latino affermava, come soltanto la filosofia aiutasse la volontà ad allontanarsi dal male e ad esercitare la virtù.
Purtroppo la lettura della Sacra Scrittura non diceva niente alla sua mente razionalistica e la religione professata dalla madre gli sembrava ora “una superstizione puerile”, quindi cercò la verità nel manicheismo.
Il Manicheismo era una religione orientale fondata nel III secolo d.C. da Mani, che fondeva elementi del cristianesimo e della religione di Zoroastro, suo principio fondamentale era il dualismo, cioè l’opposizione continua di due principi egualmente divini, uno buono e uno cattivo, che dominano il mondo e anche l’animo dell’uomo.
Ultimati gli studi, tornò nel 374 a Tagaste, dove con l’aiuto del suo benefattore Romaniano, aprì una scuola di grammatica e retorica, e fu anche ospitato nella sua casa con tutta la famiglia, perché la madre Monica aveva preferito separarsi da Agostino, non condividendo le sue scelte religiose; solo più tardi lo riammise nella sua casa, avendo avuto un sogno premonitore, sul suo ritorno alla fede cristiana.
Dopo due anni nel 376, decise di lasciare il piccolo paese di Tagaste e ritornare a Cartagine e sempre con l’aiuto dell’amico Romaniano, che egli aveva convertito al manicheismo, aprì anche qui una scuola, dove insegnò per sette anni, purtroppo con alunni poco disciplinati.
Agostino però tra i manichei non trovò mai la risposta certa al suo desiderio di verità e dopo un incontro con un loro vescovo, Fausto, avvenuto nel 382 a Cartagine, che avrebbe dovuto fugare ogni dubbio, ne uscì non convinto e quindi prese ad allontanarsi dal manicheismo.
Desideroso di nuove esperienze e stanco dell’indisciplina degli alunni cartaginesi, Agostino resistendo alle preghiere dell’amata madre, che voleva trattenerlo in Africa, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell’impero, con tutta la famiglia.
A Roma, con l’aiuto dei manichei, aprì una scuola, ma non fu a suo agio, gli studenti romani, furbescamente, dopo aver ascoltate con attenzione le sue lezioni, sparivano al momento di pagare il pattuito compenso.
Subì una malattia gravissima che lo condusse quasi alla morte, nel contempo poté constatare che i manichei romani, se in pubblico ostentavano una condotta irreprensibile e casta, nel privato vivevano da dissoluti; disgustato se ne allontanò per sempre.
Nel 384 riuscì ad ottenere, con l’appoggio del prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si trasferì, raggiunto nel 385, inaspettatamente dalla madre Monica, la quale conscia del travaglio interiore del figlio, gli fu accanto con la preghiera e con le lagrime, senza imporgli nulla, ma bensì come un angelo protettore.
E Milano fu la tappa decisiva della sua conversione; qui ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni di s. Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino, fu la frequentazione con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato s. Ambrogio all’episcopato, a dargli l’ispirazione giusta; il quale con fine intuito lo indirizzò a leggere i neoplatonici, perché i loro scritti suggerivano “in tutti i modi l’idea di Dio e del suo Verbo”.
Un successivo incontro con s. Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; si ipotizza che sia stato convinto da Monica a seguire il consiglio dell’apostolo Paolo, sulla castità perfetta, e che sia stato convinto pure a lasciare la moglie, la quale secondo la legge romana, essendo di classe inferiore, era praticamente una concubina, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato (ci riesce difficile ai nostri tempi comprendere questi atteggiamenti, così usuali per allora).
A casa di un amico Ponticiano, questi gli aveva parlato della vita casta dei monaci e di s. Antonio abate, dandogli anche il libro delle Lettere di S. Paolo; ritornato a casa sua, Agostino disorientato si appartò nel giardino, dando sfogo ad un pianto angosciato e mentre piangeva, avvertì una voce che gli diceva ”Tolle, lege, tolle, lege” (prendi e leggi), per cui aprì a caso il libro delle Lettere di S. Paolo e lesse un brano: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri” (Rom. 13, 13-14).
Dopo qualche settimana ancora d’insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti.
Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero nella notte del sabato santo, dalle mani di s. Ambrogio.
Intenzionato a creare una Comunità di monaci in Africa, decise di ritornare nella sua patria e nell’attesa della nave, la madre Monica improvvisamente si ammalò di una febbre maligna (forse malaria) e il 27 agosto del 387 morì a 56 anni. Il suo corpo trasferito a Roma si venera nella chiesa di S. Agostino, essa è considerata il modello e la patrona delle madri cristiane.
Dopo qualche mese trascorso a Roma per approfondire la sua conoscenza sui monasteri e le tradizioni della Chiesa, nel 388 ritornò a Tagaste, dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità, dove i beni erano in comune proprietà.
Ma dopo un po’ l’affollarsi continuo dei concittadini, per chiedere consigli ed aiuti, disturbava il dovuto raccoglimento, fu necessario trovare un altro posto e Agostino lo cercò presso Ippona.
Trovatosi per caso nella basilica locale, in cui il vescovo Valerio, stava proponendo ai fedeli di consacrare un sacerdote che potesse aiutarlo, specie nella predicazione; accortisi della sua presenza, i fedeli presero a gridare: “Agostino prete!” allora si dava molto valore alla volontà del popolo, considerata volontà di Dio e nonostante che cercasse di rifiutare, perché non era questa la strada voluta, Agostino fu costretto ad accettare.
La città di Ippona ci guadagnò molto, la sua opera fu fecondissima, per prima cosa chiese al vescovo di trasferire il suo monastero ad Ippona, per continuare la sua scelta di vita, che in seguito divenne un seminario fonte di preti e vescovi africani.
L’iniziativa agostiniana gettava le basi del rinnovamento dei costumi del clero, egli pensava: “Il sacerdozio è cosa tanto grande che appena un buon monaco, può darci un buon chierico”. Scrisse anche una Regola, che poi nel IX secolo venne adottata dalla Comunità dei Canonici Regolari o Agostiniani.
Il vescovo Valerio nel timore che Agostino venisse spostato in altra sede, convinse il popolo e il primate della Numidia, Megalio di Calama, a consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare.
Dovette lasciare il monastero e intraprendere la sua intensa attività di pastore di anime, che svolse egregiamente, tanto che la sua fama di vescovo illuminato si diffuse in tutte le Chiese Africane.
Nel contempo scriveva le sue opere che abbracciano tutto il sapere ideologico e sono numerose, vanno dalle filosofiche alle apologetiche, dalle dogmatiche alle morali e pastorali, dalle bibliche alle polemiche. Queste ultime riflettono l’intensa e ardente battaglia che Agostino intraprese contro le eresie che funestavano l’unità della Chiesa in quei tempi: Il Manicheismo che conosceva bene, il Donatismo sorto ad opera del vescovo Donato e il Pelagianesimo propugnato dal monaco bretone Pelagio.
Egli fu maestro indiscusso nel confutare queste eresie e i vari movimenti che ad esse si rifacevano; i suoi interventi non solo illuminarono i pastori di anime dell’epoca, ma determinarono anche per il futuro, l’orientamento della teologia cattolica in questo campo. La sua dottrina e teologia è così vasta che pur volendo solo accennarla, occorrerebbe il doppio dello spazio concesso a questa scheda, per forza sintetica; il suo pensiero per millenni ormai è oggetto di studio per la formazione cristiana, le tante sue opere, dalle “Confessioni” fino alla “Città di Dio”, gli hanno meritato il titolo di Dottore della Chiesa.
Nel 429 si ammalò gravemente, mentre Ippona era assediata da tre mesi dai Vandali comandati da Genserico († 477), dopo che avevano portato morte e distruzione dovunque; il santo vescovo ebbe l’impressione della prossima fine del mondo; morì il 28 agosto del 430 a 76 anni. Il suo corpo sottratto ai Vandali durante l’incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato poi a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 ca., insieme alle reliquie di altri vescovi africani.
Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, non lontano dai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando († 744), che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.
Antonio Borrelli
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SC 239 Commento al Vangelo di martedì 28.08.2018 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

Sant’Agostino

+ Dal Vangelo secondo Matteo (23,23-26)
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Dopo il dossier pubblicato domenica scorsa da sette fonti di sette Nazioni, le perplessità in molti cattolici hanno preso il posto della passività, non accettano più di accreditare tutto quello che ascoltano e vogliono approfondire. Invio il link della testimonianza dell’Arcivescovo Viganò, pubblicata in Italia anche dal vaticanista di Rai1 Aldo Maria Valli.
Non si deve rimanere in uno stato di inconsapevolezza su quanto avviene pubblicamente tra prelati oppositori, noi dobbiamo capire dove si trova la verità e chi vive in piena opposizione a Gesù Cristo. Da quanto viene testimoniato da diversi prelati, la situazione all'interno della Chiesa è molto critica e la lotta preannunciata dalla Madonna nel 3° Segreto di Fatima tra cardinali e tra vescovi è fortemente accesa.
La Chiesa viene di continuo devastata dalle lobby omosessuali e la segretezza del loro agire è superiore al patto di affiliazione che continuano a fare in molti. Come ha scritto il vaticanista di Rai1 Aldo Maria Valli che ha incontrato Mons. Viganò prima della pubblicazione del dossier, tutto appare veritiero e scandaloso.
Risulta più di un gigante la figura di Sant’Agostino dinanzi a quanti nella Chiesa hanno perduto la Fede e continuano a predicare in modo opposto alla sana dottrina e negano anche le Verità di Fede. Se adesso è piacevole per loro condurre una vita senza morale, non lo sarà eternamente quando incontreranno il giusto Giudice. Cosa diranno? E cosa risponderà il Signore?
«Non vi conosco, non so di dove siete» (Lc 13,25).
Nell’insegnamento che troviamo in San Luca sulla porta stretta, sul rigetto dei giudei infedeli e sulla chiamata dei pagani, Gesù descrive cosa diranno nel Giudizio i giudei infedeli, come oggi i cristiani che Lo hanno tradito, pur conoscendo che è Figlio di Dio.
«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti» (Lc 13,26-28).
I pianti di sangue della Madonna in molti luoghi del mondo manifestano che la coppa dell’ira di Dio è colma ed Ella non potrà trattenerla per molto. L’umanità è stata guidata a fare a meno di Dio, le Chiese sono sempre più vuote e molti cristiani abbandonano la Fede.
Verrà tempo in cui saranno uomini di Chiesa ad indicare l’uomo in cui si è incarnato satana stesso, come il vero Cristo e lo adoreranno, abbandonando definitivamente il vero Signore. Nell’Apocalisse il terzo Angelo afferma quale fine farà chi adorerà l’oppositore di Gesù.
«Chiunque adora la bestia e la sua statua e ne riceve il marchio sulla fronte o sulla mano, berrà il vino dell’ira di Dio che è versato puro nella coppa della sua ira e sarà torturato con fuoco e zolfo al cospetto degli Angeli Santi e dell’Agnello» (Ap 14,9-10).
Una constatazione triste e che va detta, è quella di vedere con prove inequivocabili che nei luoghi dove tutto dovrebbe essere santo e sacro, c’è finzione, ipocrisia, compromessi e lussuria, peccati di ogni genere e scandali.
«Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi…».
Sant’Agostino oltre a scrivere straordinarie opere teologiche, mistiche e filosofiche, non si tirò indietro nel difendere pubblicamente la Chiesa e scrisse opere polemiche che riflettono l’intensa lotta che il Santo intraprese contro le eresie, a cui dedicò parte della sua vita.
Non possiamo restare in silenzio per non subire persecuzioni, questo è il comportamento dei traditori o dei codardi. Con la prudenza viva e la forza che ci dona lo Spirito Santo, dobbiamo annunciare solo la Verità, quella Verità di Cristo che Sant’Agostino cercò in tutte le correnti filosofiche del suo tempo per diversi decenni, fino a trovarla nella Santa Chiesa.
Nella prima parte della vita, Sant’Agostino visse l’ansia inquieta di chi, cercando la strada, commette molti errori. Dopo molte ricerche conobbe l’unica Via e bramava con un fervore intenso di farla conoscere a tutti. È molto utile leggere le «Confessioni».
«Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo…. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace».
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PG 224 Pensiero di martedì 28.8.2018 di Don Pierino Galeone – Servi della Sofferenza

L’amore più grande non ha bisogno di stimoli favorevoli e non teme quelli sfavorevoli e contrari.
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lunedì 27 agosto 2018

Santa Monica

Nacque a Tagaste, antica città della Numidia, nel 331 in una famiglia di buone condizioni economiche e profondamente cristiana; contrariamente al costume del tempo, le fu permesso di studiare e lei ne approfittò per leggere la Sacra Scrittura e meditarla.
Nel pieno della giovinezza fu data in sposa a Patrizio, un modesto proprietario di Tagaste, membro del Consiglio Municipale, non ancora cristiano, buono ed affettuoso ma facile all’ira ed autoritario.
Per il suo carattere, pur amando intensamente Monica, non le risparmiò asprezze e infedeltà; tuttavia Monica riuscì a vincere, con la bontà e la mansuetudine, sia il caratteraccio del marito, sia i pettegolezzi delle ancelle, sia la suscettibilità della suocera.
A 22 anni le nacque il primogenito Agostino, in seguito nascerà un secondo figlio, Navigio ed una figlia di cui s’ignora il nome, ma si sa che si sposò, poi rimasta vedova divenne la badessa del monastero femminile di Ippona.
Le notizie che riportiamo sono tratte dal grande libro, sempre attuale e ricercato anche nei nostri tempi, le “Confessioni”, scritto dal figlio Agostino, che divenne così anche il suo autorevole biografo. Da buona madre diede a tutti con efficacia, una profonda educazione cristiana; dice s. Agostino che egli bevve il nome di Gesù con il latte materno; il bambino appena nato fu iscritto fra i catecumeni, anche se secondo l’usanza del tempo non fu battezzato, in attesa di un’età più adulta; crebbe con l’insegnamento materno della religione cristiana, i cui principi saranno impressi nel suo animo, anche quando era in preda all’errore.
Monica aveva tanto pregato per il marito affinché si ammansisse ed ebbe la consolazione, un anno prima che morisse, di vederlo diventare catecumeno e poi battezzato sul letto di morte nel 369.
Monica aveva 39 anni e dové prendere in mano la direzione della casa e l’amministrazione dei beni, ma la sua preoccupazione maggiore era il figlio Agostino, che se da piccolo era stato un bravo ragazzo, da giovane correva in modo sfrenato dietro i piaceri del mondo, mettendo in dubbio persino la fede cristiana, così radicata in lui dall’infanzia; anzi egli aveva tentato, ma senza successo, di convincere la madre ad abbandonare il cristianesimo per il manicheismo, riuscendoci poi con il fratello Navigio.
Il Manicheismo era una religione orientale fondata nel III secolo d.C. da Mani, che fondeva elementi del cristianesimo e della religione di Zoroastro, suo principio fondamentale era il dualismo, cioè l’opposizione continua di due principi egualmente divini, uno buono e uno cattivo, che dominano il mondo e anche l’animo dell’uomo.
Le vicende della vita di Monica sono strettamente legate a quelle di Agostino, così come le racconta lui stesso; lei rimasta a Tagaste continuò a seguire con trepidazione e con le preghiere il figlio, trasferitosi a Cartagine per gli studi, e che contemporaneamente si dava alla bella vita, convivendo poi con un’ancella cartaginese, dalla quale nel 372, ebbe anche un figlio, Adeodato.
Dopo aver tentato tutti i mezzi per riportarlo sulla buona strada, Monica per ultimo gli proibì di ritornare nella sua casa. Pur amando profondamente sua madre, Agostino non si sentì di cambiare vita, ed essendo terminati con successo gli studi a Cartagine, decise di spostarsi con tutta la famiglia a Roma, capitale dell’impero, di cui la Numidia era una provincia; anche Monica decise di seguirlo, ma lui con uno stratagemma la lasciò a terra a Cartagine, mentre s’imbarcavano per Roma.
Quella notte Monica la passò in lagrime sulla tomba di s. Cipriano; pur essendo stata ingannata, ella non si arrese ed eroicamente continuò la sua opera per la conversione del figlio; nel 385 s’imbarcò anche lei e lo raggiunse a Milano, dove nel frattempo Agostino, disgustato dall’agire contraddittorio dei manichei di Roma, si era trasferito per ricoprire la cattedra di retorica.
Qui Monica ebbe la consolazione di vederlo frequentare la scuola di s. Ambrogio, vescovo di Milano e poi il prepararsi al battesimo con tutta la famiglia, compreso il fratello Navigio e l’amico Alipio; dunque le sue preghiere erano state esaudite; il vescovo di Tagaste le aveva detto: “È impossibile che un figlio di tante lagrime vada perduto”.
Restò al fianco del figlio consigliandolo nei suoi dubbi e infine, nella notte di Pasqua del 387, poté vederlo battezzato insieme a tutti i familiari; ormai cristiano convinto profondamente, Agostino non poteva rimanere nella situazione coniugale esistente; secondo la legge romana, egli non poteva sposare la sua ancella convivente, perché di ceto inferiore e alla fine con il consiglio di Monica, ormai anziana e desiderosa di una sistemazione del figlio, si decise di rimandare, con il suo consenso, l’ancella in Africa, mentre Agostino avrebbe provveduto per lei e per il figlio Adeodato, rimasto con lui a Milano.
A questo punto Monica pensava di poter trovare una sposa cristiana adatta al ruolo, ma Agostino, con sua grande e gradita sorpresa, decise di non sposarsi più, ma di ritornare anche lui in Africa per vivere una vita monastica, anzi fondando un monastero.
Ci fu un periodo di riflessione, fatto in un ritiro a Cassiciaco presso Milano, con i suoi familiari ed amici, discutendo di filosofia e cose spirituali, sempre presente Monica, la quale partecipava con sapienza ai discorsi, al punto che il figlio volle trascrivere nei suoi scritti le parole sapienti della madre, con gran meraviglia di tutti, perché alle donne non era permesso interloquire.
Presa la decisione, partirono insieme con il resto della famiglia, lasciando Milano e diretti a Roma, poi ad Ostia Tiberina, dove affittarono un alloggio, in attesa di una nave in partenza per l’Africa.
Nelle sue ‘Confessioni,’ Agostino narra dei colloqui spirituali con sua madre, che si svolgevano nella quiete della casa di Ostia, ricevendone conforto ed edificazione; ormai più che madre ella era la sorgente del suo cristianesimo; Monica però gli disse anche che non provava più attrattiva per questo mondo, l’unica cosa che desiderava era che il figlio divenisse cristiano, ciò era avvenuto, ma non solo, lo vedeva impegnato verso una vita addirittura di consacrato al servizio di Dio, quindi poteva morire contenta.
Nel giro di cinque-sei giorni, si mise a letto con la febbre, perdendo a volte anche la conoscenza; ai figli costernati, disse di seppellire quel suo corpo dove volevano, senza darsi pena, ma di ricordarsi di lei, dovunque si trovassero, all’altare del Signore. Agostino con le lagrime agli occhi le dava il suo affetto, ripetendo “Tu mi hai generato due volte”.
La malattia (forse malaria) durò nove giorni e il 27 agosto del 387, Monica morì a 56 anni. Donna di grande intuizione e di straordinarie virtù naturali e soprannaturali, si ammirano in lei una particolare forza d’animo, un’acuta intelligenza, una grande sensibilità, raggiungendo nelle riunioni di Cassiciaco l’apice della filosofia.
Rispettosa e paziente con tutti, resisté solo al figlio tanto amato, che voleva condurla al manicheismo; era spesso sostenuta da visioni, che con sicuro istinto, sapeva distinguere quelle celesti da quelle di pura fantasia.
Il suo corpo rimase per secoli, venerato nella chiesa di S. Aurea di Ostia, fino al 9 aprile del 1430, quando le sue reliquie furono traslate a Roma nella chiesa di S. Trifone, oggi di S. Agostino, poste in un artistico sarcofago, scolpito da Isaia da Pisa, sempre nel sec. XV.
Santa Monica, considerata modello e patrona delle madri cristiane, è molto venerata; il suo nome è fra i più diffusi fra le donne. La sua festa si celebra il 27 agosto, il giorno prima di quella del suo grande figlio il vescovo di Ippona s. Agostino, che per una singolare coincidenza, morì il 28 agosto 430.
Antonio Borrelli
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SC 238 Commento al Vangelo di lunedì 27.08.2018 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

Santa Monica

+ Dal Vangelo secondo Matteo (23,13-22)
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il Regno dei Cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il Tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
I guai lanciati da Gesù a scribi e farisei indicano l’irrimediabilità della loro condotta di vita. Eppure si consideravano i puri e perfetti di Israele, gli unici che potevano insegnare e addirittura anche correggere gli ebrei. Invece davanti a Dio erano solo dei disgraziati.
Una grande antitesi tra ciò che pensavano di essere e la realtà cruda, un inganno che commettevano contro tante persone in buonafede e convinte di seguire la vera religione. La domanda che pongo per darvi la risposta e farvi riflettere è la seguente: scribi e farisei erano consapevoli della loro corruzione e della manipolazione delle Scritture?
La risposta esatta su essi la conosce solo Dio, io indico lo stato d’animo dei grandi peccatori cristiani che seguono Gesù Cristo con le labbra mentre i loro cuori adorano tutt’altro. Molti cristiani abbandonano la preghiera e la Santa Messa perché l’aridità li svuota e non sanno cosa fare, così non sentono più alcun interesse verso Dio e non Lo adorano più.
Se considero i peccatori che in passato pregavano e hanno perduto il gusto della preghiera, quei cristiani che vivono senza più voler dare conto a Dio delle loro opere e scelte, essi si sono stabilizzati nella mentalità in cui trovano più appagamento ma è quella del peccato e sono convinti di fare bene. È solo un’illusione.
Sono come ciechi che non vedono più il Bene e conoscono solo la strada della corruzione.
«Guai a voi, guide cieche. (…) Ciechi! (…) Ipocriti».
Questo succede a tutti quei cristiani che hanno abbandonato l’osservanza dei Comandamenti e non si curano più della vita spirituale. Può, quindi, succedere ai laici ma anche ai cardinali, vescovi e sacerdoti. Nessuno è escluso, anzi, più si è ricevuto dal Signore più grande è la responsabilità davanti a Lui.
La carriera all’interno della Chiesa è uno dei punti centrali e decisivi per il traviamento di persone che in passato pregavano e magari facevano penitenze, poi, quando Dio chiede ad essi di camminare da «soli», non reagiscono alle difficoltà che non avevano ancora sperimentato e molti cadono rovinosamente. Non tutti si rialzano, non sono molti quelli che ricominciano una vita santa.
Per risvegliarsi dall’intontimento spirituale causato dalla vita irregolare, occorre la Grazia di Dio ed è un vero miracolo quando un peccatore rientra in sé e lascia la corruzione, ma è ancora più grande il miracolo se questo avviene in un sacerdote o un prelato.
Alle volte neanche i ritiri spirituali riescono a scuotere i grandi peccatori, quelli che si sono determinati a vivere nell’immoralità sotto ogni aspetto. Ascoltano catechesi e pregano nei ritiri organizzati dalle diocesi, ma sono presenti solo fisicamente, molti cuori sono rimasti altrove e molto spesso, nei luoghi di peccato e di complotti contro la stessa Chiesa.
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il Regno dei Cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare». 
È enorme la responsabilità di quanti sono chiamati a testimoniare Gesù Cristo nella Chiesa Cattolica e invece Lo tradiscono dopo avere perduto la Fede, o perdono la Fede perché iniziano a frequentare organizzazioni, dove non si obbedisce più a Dio né si osservano i suoi Comandamenti.
Ognuno di noi deve diventare come Santa Monica, la madre di Sant’Agostino, donna di intensa Fede e di continua preghiera. Dobbiamo pensare di avere anche noi non solo un figlio come avvenne a lei, ma tanti fratelli peccatori sparsi nel mondo, bisognosi anche di una sola Ave Maria per salvarsi eternamente.
Una sola Ave Maria recitata con amore e fiducia può far scaturire più conversioni: la Vergine Santa aggiunge le sue preghiere e le offre a suo Figlio.
Tutto è possibile quando si prega con amore, umiltà, di frequente e con grande fiducia.
L’assidua, fiduciosa e potente preghiera di Santa Monica ottenne una Grazia insperata umanamente, come la conversione del figlio filosofo e sempre alla ricerca della verità. Noi conosciamo la Verità, è Gesù Cristo. Testimoniamolo con la vita e preghiamo per la conversione di quanti non seguono più fedelmente il Signore.
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SC 237 Commento al Vangelo di domenica 26.08.2018 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

XXI Domenica del Tempo Ordinario 

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (6,60-69)
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’Uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che Io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che Lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a Me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con Lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
La domanda che Gesù pone agli Apostoli vuole sollecitare un’adesione esplicita. Dopo l’annuncio dell’Eucaristia nella sinagoga di Cafarnao, molti discepoli hanno abbandonato Gesù perché le sue parole sul mistero eucaristico sono parse loro dure da accettare.
Il Signore, dunque, si volge a coloro che Lo avevano seguito giorno dopo giorno, chiedendo:«Volete andarvene anche voi?».
E Pietro, a nome di tutti, gli risponde: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio?». Gli Apostoli rispondono ancora di sì a Cristo.
Che sarebbe stato di loro senza Gesù?
Dove avrebbero orientato i loro passi?
Chi avrebbe colmato le ansie del loro cuore?
La vita senza Gesù, allora e oggi, non ha senso.
Invece prende un altro senso per quelli che rifiutano il Signore e obbediscono a quanti sono i bestemmiatori di Dio, quelli riuniti in organizzazioni segrete e vogliono distruggere il Cristianesimo. Sono numerosi e potenti, una grande organizzazione ecclesiale anche se divisa in gruppi.
Il fine è identico come anche l’affiliazione: trasformare la sana dottrina dell’unica Chiesa fondata da Gesù Cristo.
Non c’è stata alcuna necessità da parte di Gesù di ripetere a loro: «Volete andarvene anche voi?».Essi con il cuore si trovano dalla parte opposta di Gesù, ma pronunciano ancora il Nome Santissimo di Gesù per non perdere privilegi e potere.
Approfondite sui quotidiani nazionali online cosa sta avvenendo all’interno della Chiesa in questi giorni, non emergono solo le lotte intestine all’interno della Curia vaticana, c’è molto altro che ognuno però deve capire, non è sufficiente leggere.
Occorre discernere bene per arrivare alla verità riguardo la crisi dentro la Chiesa, una crisi nata per la supremazia tra le cordate presenti, anche per realizzare il piano di protestantizzare l’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo, la nostra.
Ieri in Irlanda papa Francesco ha nuovamente condannato i molti preti pedofili che hanno causato scandali in questa Nazione, ha detto che «abbiamo fallito», quindi che la Chiesa Cattolica è un fallimento ed è da trasformare. In che modo se non si parla più di Gesù e del Vangelo storico?
La stessa ripetizione degli abusi dei preti pedofili è una grandissima pubblicità negativa contro la stessa Chiesa, è la dichiarazione incessante, permanente, insistente che la Chiesa è fatta solo da disgraziati preti pedofili.
Non sarebbe il caso di cominciare a parlare dei parroci che si sacrificano tutto l’anno, dei Sacerdoti missionari che affrontano incalcolabili difficoltà per salvare le anime nelle zone più impraticabili, di innumerevoli Sacerdoti e Religiosi che aiutano i poveri per davvero, dei Consacrati che pregano e vivono nella totale dimenticanza personale, conducendo una vita di privazioni?
Invece di ripetere scuse pubbliche per i preti pedofili in ogni Nazione che visita, forse papa Francesco dovrebbe annunciare con vigore e concentrato esclusivamente sull'annuncio che la salvezza è solo in Gesù Cristo e che sua Madre è la Mediatrice di tutte le Grazie.
Molti cattolici sono confusi e li comprendo, oggi poi si sono aggiunte le accuse pubbliche che l’ex Nunzio apostolico negli Stati Uniti rivolge al papa e chiede le dimissioni proprio di papa Francesco, per avere coperto per cinque anni, dal 2013 ad oggi, un cardinale americano pedofilo, sul quale esistono centinaia di prove e, afferma Mons. Viganò, ha «corrotto generazioni di seminaristi e di sacerdoti e papa Benedetto gli ha imposto di ritirarsi ad una vita di preghiera e di penitenza».
Sul web si trovano centinaia di articoli pubblicati oggi, viene scritto che nella Chiesa regna il caos e la lobby omosessuale comanda in ogni settore della Curia vaticana, prende decisioni non secondo Dio, ma secondo compromessi di ogni sorta e che la corruzione all’interno della Chiesa convince molti a non credere in Dio.
Gli articoli sulla corruzione nella Chiesa allontanano i cattolici e confondono anche i più buoni, se non pregano molto e sono senza discernimento.
Prima dell’affermazione di Gesù agli Apostoli: «Volete andarvene anche voi?», molti discepoli avevano abbandonato il Signore e questo denota la mancanza di Fede in Lui, e Gesù li lascia andare, erano e sono liberi di scegliere altro. Gesù si trattiene con i suoi più intimi, e vuole la conferma della loro amicizia e fiducia incondizionate.
La risposta di Pietro raccoglieva la convinzione degli altri: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio». Dove vanno quei cardinali e vescovi senza Gesù, citati nel dossier da Mons. Viganò? Hanno scelto altro che purtroppo per loro si oppone ai Comandamenti, anzi, è altro che annulla i Comandamenti.
Sono così ottenebrati dal peccato, dalla lussuria, dal potere, dalla immoralità da non capire più che Dio esiste e c’è l’inferno, ma sono molto accorti nel quietare la loro coscienza insegnando che l’inferno non esiste o se esiste, è vuoto…
Se non lo affermano nelle omelie o nei documenti, lo dicono privatamente a molti e lo insinuano nella trasformazione della sana dottrina.
Già in questa vita vivono il loro inferno, anche se mostrano sorrisi e affabilità, buone maniere e prestigio, ma è la loro vita a condannarli.
Dire di sì a Gesù in ogni circostanza significa anche dire di no ad altre strade, altre possibilità. Egli solo è l’Amico, solamente Lui ha parole di vita eterna.
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PG 223 Pensiero di lunedì 27.8.2018 di Don Pierino Galeone – Servi della Sofferenza

Tutto quello che sei e che fai sia sempre per la gloria di Dio.
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PG 222 Pensiero di domenica 26.8.2018 di Don Pierino Galeone – Servi della Sofferenza

La preghiera, anche se ti fa attendere, ti offre sempre le soluzioni migliori che, a sorpresa, ti danno gioia.
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sabato 25 agosto 2018

MD 17 Messaggio del 25 agosto 2018 a Marija

Cari figli, questo è tempo di grazia. 
Figlioli, pregate di più, parlate di meno e lasciate che Dio vi guidi sulla via della conversione. 
Io sono con voi e vi amo con il mio amore materno. 
Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
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San Ludovico (Luigi IX)


Il re santo
Luigi, secondo figlio conosciuto di Luigi, figlio primogenito ed erede del re di Francia Filippo II Augusto, e della moglie di Luigi, Bianca di Castiglia, nasce molto probabilmente nel 1214 a Poissy il 25 del mese di aprile. Ed ecco che già da questa semplice nota biografica possiamo cogliere un indizio della personalità del futuro santo, egli, infatti, amava farsi chiamare “Luigi di Poissy”, non tanto perché era abitudine dei grandi personaggi dell’epoca aggiungere al proprio nome il luogo di nascita, ma perché, da buon cristiano, riteneva che la sua vera nascita fosse avvenuta il giorno del suo Battesimo a Poissy.
Se l’anno di nascita non fu ritenuto dai biografi contemporanei degno di particolare nota, lo fu, invece, il giorno come attesta il carissimo amico di san Luigi, Joinville, in piena conformità con l’abitudine medievale di ricavare presagi per la vita dalle caratteristiche del giorno della nascita di una persona: “Secondo che gli ho inteso dire, nacque egli il giorno di San Marco Evangelista, dopo la Pasqua. In questo giorno si portano croci in processione in molti luoghi e in Francia sono chiamate croci nere. E ciò fu quasi una profezia della gran copia di persone che morirono in quelle due crociate, cioè in quella d’Egitto e nell’altra in cui egli stesso morì a Cartagine; chè molti grandi lutti vi furono in questo mondo, e molte grandi gioie vi sono ora in paradiso, per coloro che in quei due pellegrinaggi morirono da veri crociati” (Joinville, Histoire de Saint Louis).
Nonostante Luigi, a soli quattro anni, sia divenuto erede al trono subentrando alla morte del fratello maggiore Filippo, non ci sono notizie di lui fino almeno al 1226; certamente è stato educato in modo particolarmente accurato inizialmente da parte della madre e poi, in età militare, dal padre (secondo la massima enunciata da Giovanni di Salisbury nel suo Policraticus: “Rex illitteratus quasi asinus coronatus” cioè: un re illetterato non è che un asino coronato). È certo anche che di una parte considerevole della sua educazione si sia occupato il nonno Filippo Augusto, il quale, dopo la prestigiosa vittoria di Bouvines, si era ritirato dalla pratica dell’arte della guerra. Luigi può, quindi, fregiarsi anche di un piccolo primato: quello di essere il primo re di Francia ad aver conosciuto il proprio nonno, cosa che avrà un alto valore per il senso dinastico del futuro re. Una particolare attenzione nel panorama educativo del futuro re è stata certamente riservata all’educazione religiosa e morale al fine di esercitare la funzione regia, proteggere la Chiesa e seguirne i consigli. L’ambiente che circondava il giovane Luigi svolge una funzione determinante per la fioritura della sua esemplare vita cristiana, non bisogna, infatti, dimenticare che la madre, Bianca di Castiglia, sarà anch’essa proclamata santa e la sorella, Isabella di Francia, beata.
Alla morte di Filippo Augusto, molti contemporanei tentano di riconoscere nella sua persona un santo grazie ai racconti orali dei prodigi che avevano accompagnato tanto la sua nascita (tra cui la comparsa di una cometa) quanto la sua morte (per lo più guarigioni). Ma nel Duecento avviene, in seno alla Chiesa, un cambiamento radicale nella concezione della santità e il papa Innocenzo III ne prende atto formalmente regolarizzando i processi di canonizzazione, in particolare, stabilendo che i miracoli da considerare in tale processo sono solo quelli avvenuti post mortem e dichiarando la santità della vita quotidiana quale nuovo imprescindibile criterio. Per questo motivo, Luigi riuscirà dove il nonno fallì a causa della sua vita coniugale ritenuta scandalosa da Roma e può essere a buon diritto definito un santo moderno.
Il re cristiano
Del mondo di San Luigi, è importante tenerlo presente, fa parte, insieme alla Francia, la “Christianitas”: egli governa da sovrano la prima ed è una delle teste della seconda che ingloba anche il suo regno. La Cristianità si riferisce essenzialmente all’Europa che nel XIII secolo stava vivendo un particolare momento di sviluppo economico: san Luigi sarà anche il primo re di Francia a battere una moneta d’oro, lo Scudo, nel 1226, pratica cessata da Carlo Magno in poi.
All’epoca di san Luigi, la Cristianità è ancora turbata dalle lotte tra papato e impero, ma il vero interesse politico è tutto rivolto all’irresistibile ascesa delle monarchie nazionali. Anche in questo campo san Luigi sarà in grado di far compiere all’amministrazione dello stato alcuni decisivi passi verso il consolidamento della monarchia francese: essa diventerà uno stato moderno unito attorno alla persona del suo re. L’eredità che il nonno Filippo Augusto lascia al giovane san Luigi è notevole sotto ogni aspetto, vale la pena, però, di approfondire quello dell’eredità morale fondata sullo sviluppo della “religione regia”. Attraverso la consacrazione, il deposito dei regalia nell’abbazia di Saint Denis e i nuovi riti funebri la monarchia e la persona del monarca vanno assumendo un carattere spiccatamente sacro. Lo stesso papa Innocenzo III nel 1202 con la decretale Per venerabilem dichiara che il re di Francia non riconosce alcun superiore nella sfera temporale e con Luigi IX si definisce che il re di Francia deriva il suo potere “solo da Dio e da se stesso”.
La storia della Cristianità del XIII secolo è caratterizzata dalle numerose eresie pauperiste di cui la più pervasiva è l’eresia catara, nota in Francia con il nome di “eresia degli aubigeois (albigesi)”. Il grande fermento religioso di questo secolo è, però, ben più allargato e comprende almeno altre due manifestazioni importantissime rimaste, tuttavia, nell’ortodossia. La prima è la nascita di nuovi ordini religiosi che rispondono ai nuovi bisogni spirituali dei fedeli e tentano di reagire alla decadenza del monachesimo: sono i nuovi Ordini Mendicanti che intendono portare la pratica della vita cristiana nella vita quotidiana degli uomini delle città e fanno della predicazione la loro arma. Il maggior impulso a questa nascita avviene per opera dei due santi Domenico di Calaruega, fondatore dei frati Predicatori, e Francesco d’Assisi, fondatore dei frati Minori. Determinante nella vita di san Luigi sarà la presenza degli Ordini Mendicanti, tanto che sarà non senza malizia definito “il re degli Ordini Mendicanti” e in qualcuno nascerà il sincero sospetto che voglia egli stesso farsi frate mendicante. L’altra manifestazione del grande movimento religioso del XIII secolo è l’ascesa dei laici all’interno della Chiesa, soprattutto attraverso la fondazione dei cosiddetti “Terz’ordini laicali” degli Ordini Mendicanti. Di conseguenza, anche la santità, che precedentemente pareva essere monopolio di chierici e monaci, si estende anche ai laici, uomini e donne. Se sant’Omobono, un mercante di Cremona, è il primo laico canonizzato nel 1199 da Innocenzo III solo due anni dopo la morte, san Luigi è sicuramente il più famoso.
Il re fanciullo
Il 3 novembre 1226, durante la crociata contro il conte di Tolosa, protettore degli eretici, Luigi VIII muore a Montpensier lasciando un primogenito la cui tenera età pone immediatamente dei seri problemi dinastici, soprattutto considerando che Luigi VIII ha un fratellastro venticinquenne alleato con gli immancabili baroni poco sottomessi all’autorità regia. Ma Bianca di Castiglia, la cui reggenza è confermata da un documento firmato dai vescovi più importanti del regno e depositato nel “Tresor des charter” (l’archivio regio), una volta sepolto Luigi VIII si dedica interamente alla difesa e all’affermazione di suo figlio, il re fanciullo, al mantenimento e al rafforzamento della potenza della monarchia francese.
Alla guida della Francia c’è, come non accadeva da un secolo e mezzo, un dodicenne e un sentimento d’angoscia si diffonde in tutto il regno. Bisogna, infatti, considerare che la funzione principale di un re medievale è quella di mettere in rapporto con la divinità la società di cui è capo. Ora, un fanciullo, per quanto re legittimo e unto, è un fragile intermediario, tanto più che l’infanzia nel Medioevo è concepita soltanto come un non-valore; l’infanzia dell’uomo modello del Medioevo, il santo, viene negata: un futuro santo manifesta la sua santità mostrandosi precocemente adulto. Né la legge dello stato né il diritto canonico stabilivano leggi riguardo alla maggiore età e la consuetudine la fissava a ventuno anni, eccezion fatta proprio per i sovrani che la raggiungevano a quattordici. Nel caso di san Luigi, la forza e il desiderio di governare di Bianca di Castiglia è molto probabile che lo abbiano fatto attendere, inoltre c’è un periodo di passaggio in cui è chiaro dagli atti che entrambi siano sullo stesso piano. Ma alla fine del 1226, Luigi è, per quanto precipitosamente, consacrato re.
L’attività di governo per Luigi inizia subito con alcune questioni della massima urgenza ma ben presto tutto barcolla: il sovrano è un fanciullo e sua madre una donna straniera, così un numero importante di baroni si riunisce a Corbeil e decide di impadronirsi del giovane re, non per detronizzarlo ma per governare in suo nome al posto di sua madre e dei suoi consiglieri aggiudicandosi, inoltre, terre e ricchezze. Ma ecco che per la prima volta il popolo di Parigi si stringe attorno al suo re scortandolo e proteggendolo dai suoi attentatori. Un secondo tentativo di impadronirsi della mente del re avviene in modo più sottile allorché gli stessi baroni iniziano a diffondere false dicerie sui presunti cattivi costumi morali di Bianca di Castiglia. I primi anni di regno di Luigi, che gli storici si limitano a presentare come anni di rischi e difficoltà, sono anche per il giovane re anni di progressi decisivi del potere regio e del suo prestigio personale grazie, soprattutto, alla sapiente presenza del re in molte operazioni militari vincenti.
Nel 1234, ottavo anno di regno, Luigi sposa, in seguito ad un accordo tra i genitori, Margherita, figlia primogenita di Raimondo Breringhieri V conte di Provenza. Luigi e Margherita sono parenti di quarto grado, ma il papa Gregorio IX concede loro la dispensa a causa della “urgente ed evidente utilità” di un unione che contribuirà a riportare la pace in una terra sconvolta dalle eresie e dalla guerra contro gli eretici. Il matrimonio viene celebrato dal vescovo di Valence e zio di Margherita Guglielmo di Savoia a Sens, facilmente raggiungibile da Parigi e dalla Provenza, il 27 maggio, vigilia della domenica che precede l’Ascensione.
Sappiamo, da una confidenza fatta molto tempo dopo dalla regina Margherita, che il giovane sposo regale non toccò sua moglie nella prima notte di nozze, rispettando, come gli sposi cristiani molto pii, le “tre notti di Tobia” raccomandate dalla Chiesa sulla scorta dell’esempio di Tobia nell’Antico Testamento. I figli iniziano a coronare il matrimonio solo sei anni dopo, saranno undici di cui, però, solo sette sopravvivranno al padre.

Il re devoto
Molti sono gli aspetti per cui san Luigi si è facilmente prestato ad essere definito “il re devoto”, di seguito ne analizzerò solo alcuni tra i più significativi.
Già Filippo Augusto e ancor più san Luigi intuiscono l’importanza per la monarchia francese di avere a Parigi, nonostante non sia ancora una vera capitale, un focolaio di studi superiori che sia in grado di apportare gloria, sapere e alti funzionari chierici e laici alla regalità. I re di Francia non hanno ancora in quell’epoca una vera e propria politica universitaria, tuttavia, capiscono che, come Roma era la capitale politica della Cristianità, così Parigi poteva esserne la capitale intellettuale in quanto sede della facoltà di teologia.
Moderno e tradizionale allo stesso tempo si presenta l’atteggiamento di san Luigi nei confronti dell’Impero: pur nel solco della tradizione capetingia, ormai affrancata dalla giurisdizione imperiale, san Luigi manterrà sempre un devoto rispetto per la figura dell’Imperatore, all’epoca Federico II, perché da buon medievale si sente membro di un corpo, la Cristianità, che ha due teste: il Papa e l’Imperatore. La possibilità di mantenere questo equilibrio reverenziale nei confronti dell’assodata bicefalia della Cristianità è permessa anche dal fatto che da tempo, ormai, tanto l’Impero quanto la Chiesa non possono più vantare diritti o poteri giuridici nel regno di Francia, come già descritto. Inoltre, Luigi IX mette in atto per molto tempo e in molti modi diversi una grande opera di pacificazione nei confronti delle due massime autorità della Cristianità.
I dissidi che san Luigi si trova ad affrontare con i vescovi di Reims e, soprattutto, di Beauvais, ci mostrano un re che, pur nella sua personale religiosità e sottomissione alla Chiesa, tanto da essere chiamato dai contemporanei “il re devoto”, nelle questioni temporali che riguardano lo Stato è inflessibile sostenitore dei diritti e doveri di quest’ultimo, fulgido esempio sempre attuale di quanto sia possibile mantenere il giusto equilibrio tra la religione e la politica.
E proprio l’aspetto della devozione che preannuncia il futuro san Luigi si rivela non solo nel suo personale interessamento, riferito esplicitamente dall’amico Joinville, nella costruzione dell’abbazia di Royaumont, dando compimento ad una delle ultime volontà del defunto Luigi VIII che aveva lasciato un’ingente somma a tal fine, ma anche nel lavoro manuale che, come alcune biografie riferiscono, il re prodigò in tale iniziativa coinvolgendo anche i fratelli e alcuni cavalieri del suo seguito. In realtà, il padre aveva indicato anche quale avrebbe dovuto essere l’Ordine religioso affidatario della struttura, ma l’attrazione che il monachesimo riformato cistercense esercita su Luigi e che tornerà altre volte nella sua vita sarà più forte.
È innegabile che nella Cristianità del XIII secolo una grande manifestazione di devozione e, pari tempo, fonte di grande prestigio è il possesso di insigni reliquie e anche per san Luigi si presenta ben presto la possibilità di ottenerne alcune davvero molto preziose allorché, nel 1237, Baldovino, il giovane imperatore dell’Impero Latino di Costantinopoli viene in Francia per cercare aiuto contro i greci che volevano riprendersi la loro capitale. Egli, proprio mentre si trova presso la corte francese, viene raggiunto dalla notizia che i baroni dell’Impero Latino, in preda alla necessità di denaro, hanno deciso di vendere la più preziosa reliquia conservata a Costantinopoli: la Corona di spine di Gesù. Il re di Francia e sua madre si infiammano subito si santo zelo per ottenrla: emblema di umiltà, la Corona di spine è, nonostante tutto, una corona, cioè una reliquia con una forte caratterizzazione regale. Essa incarna quella regalità sofferente e umile che è diventata l’immagine di Cristo nella devozione del XIII secolo e che l’immaginario collettivo trasferisce sul capo del re, immagine di Gesù sulla terra. Tra molti perigli e trattative la sacra Reliquia giunge nei pressi della Francia e, come cinque anni prima era corso incontro alla fidanzata, Luigi ora corre a ricevere il sacro acquisto; egli porta con sé la madre, i fratelli, molti vescovi e cavalieri; l’incontro avviene a Villeneuve-l’Archeveque: i testimoni oculari spenderanno in seguito pagine e pagine per descrivere l’intensa emozione dimostrata dai reali. Segue poi la processione penitenziale che accompagna la Reliquia nella cattedrale di Sens: sono il re e suo fratello Roberto, a piedi nudi e con una sola tunica, a trasportare la cassa. Di là, dopo la rituale esposizione, riprende il viaggio verso Parigi dove viene esposta nella cattedrale di Notre Dame e poi definitivamente deposta nella cappella palatina di Saint Nicolas.Poiché il bisogno di denaro da parte dell’imperatore di Costantinopoli continua, Luigi ben presto completa, non senza grandi spese, la sua collezione di reliquie della Beata Passione (parti della Croce, la sacra Spugna, il ferro della Lancia di Longino). La cappella del palazzo reale si dimostra ben presto indegna di accogliere e custodire simili tesori, Luigi si rende conto che occorre una chiesa che possa essere essa stessa un reliquario glorioso e, a questo scopo, inizia la costruzione della Sainte Chapelle. Già nel 1243 papa Innocenzo IV concede alcuni privilegi alla futura cappella, nel 1246 Luigi fonda un collegio di canonici che ne assicurino l’officiatura e nel 1248 alcune risorse dello Stato vengono destinate alla sua manutenzione. La consacrazione solenne, alla presenza del re, avviene il 26 aprile 1248, due mesi prima che Luigi parta per la crociata. Fin dall’epoca di Luigi IX la cappella era considerata un capolavoro dell’arte gotica.
Un altro evento devozionale del regno di san Luigi degno di una speciale nota è il famoso smarrimento e ritrovamento dell’insigne reliquia del Santo Chiodo presso Saint Denis: durante una solenne ostensione, tale reliquia va misteriosamente perduta e le cronache si prodigano a descrivere tanto la disperazione di san Luigi, manifestata anche dalla sua personale ricerca, quanto la sua somma gioia dopo il casuale rinvenimento. Va, anzitutto, ricordato che nel Medioevo nell’animo dei più semplici come in quello dei più saggi e potenti esiste, incrollabile, la credenza nella virtù sacra di taluni oggetti che garantiscono la prosperità di un regno e la cui perdita occasionale può presagirne inequivocabilmente la rovina: il giovane Luigi condivide e stimola la religiosità più profonda del suo popolo e comincia a costruire la sua immagine e la sua politica sull’espressione pubblica e intensa di questi sentimenti. Nel suo entourage, tuttavia, quelle manifestazioni di devozione sono ritenute eccessive e indegne di un re che deve sempre dimostrare un grande senso della misura e dare esempio di ragionevolezza. Ma per Luigi non c’è alcun problema intimo: egli vuol essere, al tempo stesso e senza contraddizione, re di Francia cosciente dei suoi doveri, compresi quelli che concernono apparenza e simbologia, e buon cristiano, il quale, per essere di buon esempio e assicurare la salvezza sua e del suo popolo, deve manifestare la sua fede secondo le antiche e nuove pratiche con un comportamento sensibile.
Un episodio apparentemente irrilevante della vita di san Luigi ma che risulta importante per capire la sua spiritualità di re santo si verifica nel momento in cui i mongoli sembrano invadere l’Europa da est. Dalle lettere che invia alla madre, emerge un santo escatologico che vede in essi l’invasione dei popoli di Gog e Magog annunciati dall’Apocalisse come preludio alla fine del mondo. San Luigi aspira a due possibili destini: il martirio o la fine del mondo, egli si affida confidente a Dio ed è pronto ad abbracciare entrambi.
Tutto il regno di san Luigi sarà segnato da una forte discordanza tra la sua personale pietà e l’opinione pubblica; forse anche il re stesso avrà qualche periodo di dubbio, in particolare dopo il fallimento della crociata, ma ne uscirà sempre più convinto di trovarsi sulla retta via nella necessaria fusione delle sue due principali occupazioni: il bene del regno e del popolo e la sua salvezza personale, che in quanto re, coinvolge inevitabilmente quella di tutto il popolo. In un’epoca in cui non occupare il proprio posto secondo lo status dato da Dio a ciascuno è cosa assolutamente scandalosa, è percepito come problematico un re a più riprese definito re-monaco o re-frate, ma, alla fine, la soluzione giusta sarà trovata dalla maggioranza dell’opinione pubblica e sancita dalla Chiesa: egli sarà un re-santo, un re laico e santo.

Il re crociato
Nel 1244, san Luigi cade in un forte attacco di una malattia che già lo perseguitava da tempo ed arriva a perdere conoscenza tanto che molti lo credono morto e la regina madre invia a Pontoise, dove egli si trova, le Reliquie reali affinché il re le possa toccare. Appena ripreso da quello stato e appena è in grado di parlare, racconta sempre l’amico Joinville, chiede soltanto di diventare crociato. Le reazioni all’annuncio di questo voto sono di diversa natura, come, del resto, in quel secolo era in fase di mutamento lo spirito stesso con cui si affrontava l’argomento delle crociate dopo che i numerosi fallimenti avevano portato ad un forte scoraggiamento nella classe politica. Un trovatore, invece, interpreta l’entusiasmo popolare per un san Luigi crociato e, nei testi della sua propaganda si meraviglia che un uomo “leale e integro, esempio di saggezza e di rettitudine” che conduce “una vita santa, linda, pura, senza peccato e senza macchia” si sia fatto crociato quando i più intraprendevano le crociate per fare penitenza. Ma per Luigi, che spinge all’estremo la fede che gli è stata inculcata, la crociata non è che il coronamento della retta condotta di un principe cristiano. Così, il 12 giugno 1248, Luigi va a Saint Denis a prendere l’orifiamma, la tracolla e il bordone dalle mani del cardinale legato, segni della sua intima convinzione dell’identità tra crociata e pellegrinaggio. Poi si reca a piedi nudi e seguito da una grande processione di popolo all’abbazia reale di Saint Antoin de Champs e, prima di partire, nomina sua madre reggente del regno. Da notare il lavoro silenzioso e paziente di questa santa regina che per tutta la vita ha degnamente preparato e sostituito nelle necessità il figlio al timone del regno di Francia. La partenza da Parigi segna anche, nella vita di san Luigi, una svolta che colpisce molto gli appartenenti al suo entourage. Le norme regolatrici della crociata ingiungono ai crociati la modestia nel vestire; si può facilmente immaginare che il rigoroso Luigi rispettò e fece rispettare quelle prescrizioni, ma Luigi, per quanto riguarda la sua persona, non si accontenta di applicare rigorosamente le prescrizioni della Chiesa e, secondo la sua abitudine, va molto oltre conservando tale austerità anche al ritorno dalla crociata fino alla morte. Questa rinuncia è il segno di una svolta nella vita di san Luigi, il passaggio da un genere di vita e di governo semplicemente conformi alle raccomandazioni della Chiesa a una condotta personale e politica autenticamente religiosa, da un semplice conformismo ad un vero ordine morale.
La crociata si apre in Egitto con alcune piccole vittorie ma ben presto sopraggiungono le sconfitte e Luigi stesso viene fatto prigioniero dai musulmani e questa è la disgrazia peggiore per un re, ancor più lo è per un re cristiano essere fatto prigioniero dagli infedeli. Alla liberazione, avvenuta un mese dopo la cattura, il cappellano reale racconta la dignità e il coraggio dimostrati dal re durante la prigionia: Luigi pensa anzitutto agli altri crociati prigionieri, rifiuta qualsiasi dichiarazione contraria alla propria fede cristiana e sfida perciò la tortura e la morte. Anche quando viene a sapere che i suoi sono riusciti a frodare i musulmani versando un cifra inferiore rispetto a quella pattuita per il suo riscatto, si infuria, convinto che la sua parola debba essere sempre mantenuta e onorata anche se prestata a dei miscredenti.La crociata termina con un nulla di fatto e, mentre si trova in Terra Santa, Luigi vede svanire anche un altro dei suoi più grandi sogni: la conversione dei mongoli. Infatti, i missionari da lui inviati al gran Khan ritornano sconfitti. Infine, è un terribile evento a mettere fine alla sua permanenza in Terrasanta: nella primavera del 1253, Luigi riceve la notizia della morte dell’amata madre che era deceduta il 27 novembre del 1252. L’amico Joinville racconta le scomposte manifestazioni di dolore che accompagnano l’apprensione della notizia da parte di san Luigi e i rimproveri da parte dei contemporanei per l’esagerata reazione.
Ma qualche cosa, sebbene a livello spirituale, san Luigi la sa guadagnare da queste dolorose sconfitte. Infatti, discutendo con i suoi interlocutori musulmani, pur continuando a detestare la loro falsa religione, si rende conto che il dialogo con questi ultimi è possibile; inoltre, è in grado di imparare qualcosa di utile dai musulmani, infatti, tornato in patria, è il primo re che costruisce una biblioteca di manoscritti di opere religiose sul modello di quella del sultano.

Il re escatologico
Premeditato o improvvisato, l’incontro tra Ugo di Digne, appartenente alla corrente rigorista degli Spirituali francescani, e il re santo avrà grande importanza nella vita di quest’ultimo. In preda allo sconforto per gli eventi appena elencati, san Luigi ne ricerca le cause e si domanda cosa debba fare per piacere a Dio, assicurare la propria salvezza e quella del suo popolo e servire la Chiesa, Ugo gli mostrerà la via: far regnare sulla terra la giustizia nella prospettiva del momento in cui “i tempi saranno compiuti”, promuovere una città terrestre evangelica, in breve, diventare un re escatologico. Questa proposta, che probabilmente interpretava i desideri profondi di Luigi, diventerà il programma dell’ultimo periodo del suo regno.
Joinville testimonia il passaggio dalla semplicità all’austerità che contrassegna la vita di san Luigi dopo il ritorno dalla Terrasanta e il suo confessore, consigliere e primo biografo, Goffredo di Beaulieu, ne racconta i sentimenti in modo mirabile: “Dopo il suo felice ritorno in Francia, i testimoni della sua vita e i confidenti della sua coscienza videro fino a qual punto egli cercò di essere devoto verso Dio, giusto verso i suoi sudditi, misericordioso verso gli infelici, umile verso se stesso e come fece ogni sforzo per progredire in tutte le virtù. Come l’oro è superiore in valore all’argento, così il suo nuovo modo di vivere, portato con sé dalla Terrasanta, superava in santità la sua vita precedente; eppure in gioventù, egli era sempre stato buono, innocente ed esemplare”.
Tutto questo fervore si riflette nelle sue decisioni politiche e in ogni ordinanza regia non trascura di aggiungere provvedimenti riguardanti la moralità, tra cui misure repressive della bestemmia, del gioco, della prostituzione, della frequentazione delle taverne, prescrizioni contro gli ebrei e la propagazione del principio della presunzione d’innocenza per gli imputati richiamando i giudici all’esempio del Giudice supremo, Dio di giustizia e di misericordia. Oltre alla giustizia, l’altro dovere che si impone ad un re cristiano è la pace e Luigi saprà essere arbitro oltre i confini del suo regno dando l’esempio a molti, tanto da arrivare ad essere definito “arbitro e pacificatore della Cristianità”.
Nel 1267, Luigi decide di intraprendere una nuova crociata e da inizio ad un nuovo periodo di preparazione e purificazione emanando nuove leggi contro la bestemmie, reato equiparato alla lesa maestà, e gli ebrei e facendo intensificare la predicazione. Partito come nel 1248, il 14 marzo 1270, l’esercito sbarca a Tunisi per raggiungere l’Egitto, ma la via di Tunisi si rivela ben presto una vera e propria Via Crucis. Sfumata la possibilità di convertire l’Emiro musulmano che si rivela immediatamente illusoria ancorché san Luigi non vi voglia rinunciare e, di nuovo, il flagello del Mediterraneo, l’epidemia di tifo, si abbatte sull’esercito regio. Dopo suo figlio Giovanni Tristano, anche san Luigi muore il 25 agosto assistito dal suo inseparabile confessore. È lui che racconta che sul letto di morte, pur sentendo la fine avvicinarsi, san Luigi non ha altra preoccupazione che le cose di Dio e l’esaltazione della fede cristiana. Così, a fatica e a bassa voce, proferisce le sue ultime parole: “Cerchiamo, per l’amor di Dio, di far predicare e di introdurre la fede cattolica a Tunisi”. Benché la forza del suo corpo e della sua voce si affievoliscano a poco a poco, egli non cessa di chiedere i suffragi dei Santi a cui era più devoto, in particolare san Dionigi patrono del suo regno. Più volte mormora le ultime parole della preghiera a san Dionigi: “Noi ti preghiamo, Signore, per l’amore che abbiamo per te, di darci la grazia di disprezzare i beni terreni e di non temere le avversità”. Poi ripete l’inizio della preghiera a san Giacomo: “Sii, o Signore, il santificatore e il custode del tuo popolo”. Ancora il Beaulieu riferisce che Luigi muore all’ora stessa della morte del Signore su un letto “di ceneri sparse in forma di croce”. Così il re-Cristo muore nell’eterno presente della morte salvatrice di Gesù. Secondo una certa tradizione, egli avrebbe mormorato nella notte precedente alla sua morte: “Andremo a Gerusalemme”.
La bara con le ossa di Luigi IX, debitamente trattate, viene portata ed esposta a Parigi nella chiesa di Notre Dame e i funerali hanno luogo a Saint Denis il 22 maggio, quasi nove mesi dopo la morte del re. Attorno ai sacri resti, i visceri in Sicilia e lo scheletro a Saint Denis, si verificano numerosi miracoli sin da subito, ma ormai la fama non è più sufficiente per creare dei santi, la curia romana si è riservata tale diritto ed inizia il processo di canonizzazione la cui prima iniziativa risale a papa Gregorio X. Sarà però papa Bonifacio VIII con la bolla Gloria, laus a pronunciare la canonizzazione solenne di Luigi IX e a fissarne la festa nel giorno della sua morte, il 25 agosto.
Ed è così che il re, nato sotto il sego del lutto e morto in terra straniera e infedele, fa il suo ingresso nella gloria eterna.
Emanuele Borserini
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Medaglia di San Benedetto