Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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giovedì 31 gennaio 2013

2109 - Commento al Vangelo del 31/1/2013


+ Dal Vangelo secondo Marco (4,21-25)
In quel tempo, Gesù diceva : «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Gesù aveva parlato velatamente dell’arma spirituale per entrare nel suo Regno, cioè della divina Parola, ed aveva anche indicato il modo col quale essa avrebbe prodotto il suo frutto nei cuori, poi direttamente agli Apostoli pone due domande apparentemente ovvie ma che contengono una spiegazione da ricordare molto bene.
Gesù indica gli Apostoli come le lampade che non possono rimanere nascoste, indica come lampade anche i Vescovi, i Sacerdoti, i laici, che vivono in piena comunione con Lui e non devono rimanere nascosti. Per nascosti si intende in silenzio, è un silenzio colpevole che ammutolisce fino a far diventare indifferente la persona. Non si ricorda quasi mai, forse mai, di parlare di Gesù e della Madonna ai familiari e ai conoscenti, per invitarli a pregare insieme e a frequentare i Sacramenti.
Ognuno di noi è una lampada, questo dice Gesù dei cristiani, ma non tutte queste lampade sono accese, infatti molte sono spente.
Una lampada spenta emana tristezza e tenebre, vederla senza luce non può che emanare sconforto. Invece si prova un senso di allegria quando si vede una lampada accesa, non è la stessa allegria provata da quanti sono periodicamente abituati ad accendere la candela per la mancanza della corrente elettrica, comunque se consideriamo la lampada accesa sull’altare o accanto al Tabernacolo, proviamo molta gioia.
Perché la lampada accesa e che emana luce ci rimanda alla Luce Divina, ha un senso soprannaturale la lampada accesa.
Gli Apostoli per Gesù erano le lampade del mondo ancora nelle tenebre, essi avevano il compito di portare ovunque la Luce che avevano incontrato per tre anni e che bisognava diffondere ovunque. La Luce dobbiamo diffonderla attraverso la Parola di Dio. Senza la meditazione giornaliera della Bibbia e, quindi, del Vangelo, si rimane sempre nelle tenebre, non si avrà la capacità di guardare la realtà con l’occhio della Fede, il quale vede dove gli uomini non possono vedere.
Come gli Apostoli non potevano rimanere nascosti o silenziosi, così ognuno di noi è chiamato ad essere lampada accesa che emana luce.
I cristiani non hanno idea come si deve mantenere accesa la lampada, certo la maggior parte non lo sa in buonafede perché ha sperato di conoscerlo attraverso le omelie e gli insegnamenti spirituali che si ascoltano periodicamente. La lampada può rimanere accesa se il lucignolo o stoppino è immerso in abbondante liquido di preghiera e di carità. Ho già spiegato che la parola carità non significa essenzialmente elemosina, il significato principale equivale a bontà, amore,  altruismo, compassione, misericordia.
La lampada può rimanere accesa ed emanare una luce meravigliosa che fa brillare ogni aspetto tenebroso nei luoghi dove è accesa, se la persona prega molto e vive di amore. Pregare abbondantemente comporta l’avvicinamento ai Sacramenti, al cambiamento della mentalità perché lo Spirito Santo infonde i suoi doni e trasfigura la persona. Vivere di amore significa fare sempre del bene, pensare bene di tutti, non giudicare mai, aiutare i bisognosi, praticare giornalmente le opere di misericordia.
La preghiera e la carità alimentano la lampada spirituale che deve sempre ardere in noi.
Non pensiamo alle grandi opere sociali come avviene in moltissimi contesti ecclesiali, non pensiamo a continui raduni o conferenze sterili se mancano la preghiera e la carità. È solamente una perdita di tempo, perché chi non è lampada accesa non può assolutamente illuminare i presenti. Tutti rimangono al buio e forse nelle tenebre. Prima ancora delle opere sociali e dei raduni e delle conferenze, devono essere lampade accese per poi illuminare tutto ciò che compiono!
È inammissibile solo pensare di mettere la lampada sotto il moggio o sotto il letto. Il moggio serviva per coprire il grano, era pesante e sembrava quasi un cappello, ed era assurdo pensare di poter mettere la lucerna lì sotto, sarebbe stato stupido ed insignificante. Allo stesso modo non si può mettere la lampada sotto il letto, pensando così di poter illuminare solamente i familiari o le poche amicizie.
I cristiani sono chiamati ad illuminare la società e non solo le case dove vivono, devono essere guida di quanti vivono nell’oscurità di questo mondo avvolto dall’egoismo e da molte aberrazioni umane. I cristiani posseggono un tesoro di Verità da portare ovunque, per illuminare le coscienze spente, fare riflettere quanti sono assopiti e senza speranza, parlare a quelle anime indifferenti di Gesù e del vero senso della vita.
Quante volte abbiamo parlato della nostra Fede agli altri? Usando prudenza e coraggio, dobbiamo mostrare che siamo luce accesa.
Noi stiamo conoscendo meglio il Vangelo con questa newsletter giornaliera, quanto si viene a conoscere si deve utilizzare per illuminare i conoscenti, così si diventa annunziatori della Parola di Dio. I nostri Cenacoli di preghiera devono servire a formare cristiani autentici, cristiani che hanno compreso l’assoluta importanza della vita interiore, che si sviluppa sempre per mezzo della preghiera e della carità.
Ci sono alcune cause che impediscono di progredire nella vita interiore, e che fanno retrocedere addirittura, portando la persona ad abbattersi e a non ritrovare più l’unione con Gesù. Ricordate queste: il disinteresse delle cose di Dio, il disordine interiore, il rifiuto di fare quei sacrifici che Gesù ci chiede.
Il Vangelo oggi termina così: “Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più”. Chi vive male sarà considerato scorretto da Dio e non riceverà doni, mentre chi vive facendo del bene riceverà meriti e grandi aiuti da Dio. Gesù precisa che riceverà molto più di quanto ha fatto di buono.
“Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”, ma come si può togliere qualcosa a chi non ha nulla? Significa che quanto Gesù aveva previsto di donare in futuro, non lo darà più, lo toglie e la persona nulla aveva e nulla avrà a causa della sua cattiva condotta, dei suoi gravi peccati. Invece, chi vive il Vangelo ha già la Grazia se si confessa e riceverà molto altro ancora, in Grazie e benedizioni Divine.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2108 - San Giovanni Bosco


Giovanni Bosco, al secolo Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come Don Bosco, nacque il 16 agosto 1815 al Colle dei Becchi, una località presso Castelnuovo d 'Asti, ora Castelnuovo Don Bosco. Di famiglia povera si preparò, fra stenti ed ostacoli, lavorando e studiando, alla missione che gli era stata indicata attraverso un sogno fatto all'età di nove anni e confermata più volte in seguito, in modo straordinario.
Studiò a Chieri, a pochi chilometri da Torino. Tra le belle chiese di Chieri, Santa Maria della Scala (il duomo) fu la più frequentata da Giovanni Bosco, ogni giorno, mattino e sera. Pregando e riflettendo davanti all'altare della Cappella della Madonna delle Grazie egli decise il suo avvenire.
A 19 anni voleva farsi religioso francescano. Informato della decisione, il parroco di Castelnuovo, don Dassano, avvertì Mamma Margherita con queste parole molte esplicite:
“Cercate di allontanarlo da questa idea. Voi non siete ricca e siete avanti negli anni. Se vostro figlio va in convento, come potrà aiutarvi nella vostra vecchiaia?”. Mamma Margherita si mise addosso uno scialle nero, scese a Chieri e parlò a Giovanni: “Il parroco è venuto a dirmi che vuoi entrare in convento. Sentimi bene. Io voglio che tu ci pensi e con calma. Quando avrai deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia nessuno. La cosa più importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che io ti facessi cambiare idea, perché in avvenire potrei avere bisogno di te. Ma io ti dico. In queste cose tua madre non c'entra. Dio è prima di tutto. Da te io non voglio niente, non mi aspetto niente. Io sono nata povera, sono vissuta povera, e voglio morire povera. Anzi, te lo voglio subito dire: se ti facessi prete e per disgrazia diventassi ricco non metterò mai più piede in casa tua. Ricordatelo bene”.
Giovanni Bosco quelle parole non le avrebbe dimenticate mai. Dopo molta preghiera, ed essersi consultato con amici e con il suo confessore Don Giuseppe Cafasso, entrò in seminario per gli studi della teologia.
Fu poi ordinato sacerdote a Torino nella chiesa dell'Immacolata Concezione il 5 giugno del 1841.
Don Bosco prese con fermezza tre propositi:
“Occupare rigorosamente il tempo. Patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre quando si tratta di salvare le anime. La carità e la dolcezza di San Francesco di Sales mi guideranno in ogni cosa”.
Venuto a Torino, fu subito colpito dallo spettacolo di centinaia di ragazzi e giovani allo sbando, senza guida e lavoro: volle consacrare la sua vita per la loro salvezza.
L'8 dicembre 1841, nella chiesa di S. Francesco d 'Assisi, ebbe l'incontro con il primo dei moltissimi ragazzi che l'avrebbero conosciuto e seguito: Bartolomeo Garelli. Incomincia così l'opera dell'Oratorio, itinerante al principio, poi dalla Pasqua 1846, nella sua sede stabile a Valdocco, Casa Madre di tutte le opere salesiane.
I ragazzi sono già centinaia: studiano e imparano il mestiere nei laboratori che Don Bosco ha costruito per loro. Nella sua opera educativa fu aiutato da sua madre Mamma Margherita, che fece venire dai Becchi, per sostenerlo e perché facesse da mamma a tanti suoi ragazzi che avevano perso i propri genitori.
Nel 1859, poi, invita i suoi primi collaboratori ad unirsi a lui nella“Congregazione Salesiana”: rapidamente si moltiplicheranno ovunque oratori, scuole professionali, collegi, centri vocazionali, parrocchie, missioni.
Nel 1872 fonda l'“Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice” (FMA) che lavoreranno in svariate opere per la gioventù femminile. Cofondatrice e prima superiora fu Maria Domenica Mazzarello (1837-1881) che verrà proclamata santa il 21 giugno 1951, dal Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958).
Ma Don Bosco seppe chiamare anche numerosi laici a condividere con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice la stessa sua ansia educativa.
Fin dal 1869 aveva dato inizio alla “Pia Unione dei Cooperatori” che fanno parte a pieno titolo della Famiglia Salesiana e ne vivono lo spirito prodigandosi nel servizio ecclesiale.
A 72 anni, sfinito dal lavoro, secondo quanto aveva detto: “Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”, Don Bosco muore a Torino-Valdocco, all'alba del 31 gennaio 1888, lasciando al suo successore Don Michele Rua (proclamato beato il 29 ottobre 1972 dal Servo di Dio Paolo VI), 700 religiosi in 64 case disseminate in 6 paesi.
Fu beatificato il 2 giugno 1929 e dichiarato santo da Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti, 1922-1939) il 1° aprile 1934, domenica di Pasqua.
In seguito, molti altri sono venuti a gettare nei solchi semi di vita: San Domenico Savio, il Beato Don Rua, il Beato Don Rinaldi...affinché il terreno continuasse ed essere fertile, anche dopo Don Bosco.
La Famiglia salesiana conta circa 402.500 membri in 130 paesi nei cinque continenti; essi sono divisi in 23 organizzazioni differenti, che sono venute sorgendo lungo gli anni, e che hanno preso ispirazione dal sistema e dal carisma di Don Bosco.
Le tre prime, che sono state create già ai tempi di Don Bosco, sono Le Figlie di Maria Ausiliatrice (14.880), I Cooperatori Salesiani (circa 26.615) e gli Ex-Allievi di Don Bosco (circa 97.357).    (Fonte: CG26 e Dati Statistici, 2008)
Significato del nome Giovanni : "il Signore è benefico, dono del Signore" (ebraico).
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mercoledì 30 gennaio 2013

2107 - Commento al Vangelo del 30/1/2013


+ Dal Vangelo secondo Marco (4,1-20)
In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Ieri abbiamo visto con quali difficoltà Gesù iniziò la sua missione, quanta diffidenza e dubbi sulla sua Persona, come l’incomprensione già aumentava non appena cominciò a predicare. I suoi nemici non erano mentalmente liberi, oltre l’orgoglio che li dominava e un avventato pregiudizio, erano succubi dell’influenza satanica. Non se ne accorgevano, tanto che avevano l’ardire di accusare Gesù di agire nel nome di Belzebù, ignorando i miracoli che solo un Uomo mandato da Dio poteva compiere.
Nella sua vita pubblica, Gesù ebbe a patire ininterrotte persecuzioni, diffamazioni e tentativi di aggressioni contro la sua Persona.
Ai suoi seguaci non ha lasciato un’eredità più tranquilla, altrimenti non potrebbero comprendere il loro Maestro.“Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia Parola, osserveranno anche la vostra” (Gv 15,20). “Se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?” (Lc 23,31). 
Apparentemente sembra una vita dolorosa quella dei seguaci di Gesù e lo è veramente a livello di epidermide, un po’ esteriormente, ma interiormente Gesù dà sempre molta forza, pace e gioia ai suoi seguaci che Lo seguono, superando persecuzioni e diffamazioni. I discepoli di Gesù che affrontano incalcolabili nemici per le opere cristiane che svolgono, non si sentono sprovveduti né piangono per quanto patiscono, sono invece sereni perché abbandonati alla volontà di Dio. Gesù li chiama beati.
“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11).
Non fermiamoci però alle persecuzioni e diffamazioni che colpiscono sempre e violentemente quei seguaci che donano completamente la vita a Gesù e vivono esclusivamente per svolgere quello che vuole Lui e che si considerano servi inutili. Guardiamo la Risurrezione di Gesù, guardiamo le migliaia di Grazie che essi ricevono in questa vita per sé e per gli altri, valutiamo la smisurata pace e gioia che li avvolgono.
“Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29). Questa Parola riguarda quelli chiamati da Gesù a svolgere un compito delicato nella sua Chiesa, ma anche tutti i laici possono vivere questa parola pur rimanendo nel mondo, se distaccano il cuore dalle cose materiali. Le usano, ne sono proprietari, ma senza averne alcun affetto passionale. È possibile? Sì, ma con qualche difficoltà. Occorrono sforzi e rinnegamenti.
Approfondendo il Vangelo di ieri, ho riflettuto con crescente dispiacere sullo stato interiore in cui si doveva trovare Gesù quando disputava con scribi e farisei per dimostrare che veniva da Dio ed operava nel Nome dell’Eterno, senza però aggiungere che Lui quale Verbo incarnato era anche Eterno. Non era ancora venuto il tempo di svelare la sua identità. Gesù sapeva molto bene come distillare a goccia a goccia la rivelazione.
Arriviamo al Vangelo di oggi. Sembra facile la spiegazione della parabola, lo è se si valuta solamente dove cade il buon seme, ma voglio farvi riflettere su alcune parole dette da Gesù che mettono veramente in crisi, ci sarebbe da organizzare un dibattito nelle parrocchie per approfondirle. Noi più avanti organizzeremo qui dove vivo, incontri anche per approfondire le parabole e i miracoli di Gesù.
Ecco le parole di Gesù che lasciano molto riflettere, dopo avere garantito che solo agli Apostoli avrebbe spiegato il racconto: “… per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato”.
Se ritornate a leggere le ultime parole, quantomeno dovete provare un po’ di smarrimento: “…perché non si convertano e venga loro perdonato”. Quale spiegazione date a queste micidiali parole? Gesù vuole la conversione di tutti, desidera perdonare quanti si pentono e ricorrono alla Confessione, è morto Crocifisso per la salvezza di tutti. Allora non dipende da Lui donare il perdono a quanti apparentemente sono convertiti, sono loro a non volere il perdono.
In realtà Gesù vuole dire che la mancanza sta nella volontà contraria di quanti non vogliono convertirsi seriamente, ma giocherellano con le cose sacre. Essi non si possono convertire perché volontariamente decidono di non compiere questo passo e Dio li lascia liberi, rispetta la loro volontà. Essi vedevano Gesù ma potevano vederlo dall’angolazione impostata dalla loro mentalità, come preferivano vederlo, con i loro pregiudizi.
Essi ascoltavano Gesù, ma la loro volontà di adesione era disorientata e non coglievano le parole del Signore nel loro corretto significato. Udivano ma non comprendevano. Come anche vedevano ma rimanevano accecati. Essi non volevano accogliere il Vangelo di Gesù, come anche oggi molti cristiani non accolgono l’autentico Vangelo storico e lo manipolano.
Non si spiega solo qui la decisione di Gesù di non far comprendere a tutti le parabole, che erano in realtà paragoni. Gesù aveva un altro fine, altamente nobile e pieno di Amore che gli uomini non riescono assolutamente a concepire.
Gesù sapeva che molti che ascoltavano avevano il cuore insensibile, non accettavano i suoi insegnamenti e con molta probabilità non si sarebbero salvati eternamente, così non li caricava di altre conoscenze per non avere maggiori peccati da espiare nel loro inferno. Era un atto di Amore da parte di Gesù, una delicatezza sottile ma allo stesso tempo dolorosa nel vedere che aveva davanti persone che non accettavano le sue parole.
Invece gli Apostoli vedevano ed ascoltavano, perché avevano donato tutto a Gesù, avevano rinunciato ai piaceri e ricevevano molti premi.
Chi oggi trascura la propria formazione spirituale è responsabile davanti a Dio, non potrà dire che non sapeva. Non ha voluto sapere!
Nella parabola del Seminatore di oggi che conosciamo, Gesù spiega che ci sono quattro generi di campi come anche ci sono quattro generi di spiriti: 
quelli fertili, sono gli spiriti onesti e di buona volontà, veri apostoli dedicati alle cose di Dio;
quelli spinosi, sono gli spiriti incuranti della vita spirituale, con un cuore insensibile e negligenti verso se stessi:
quelli sassosi, sono gli spiriti senza buona terra, pieni di dottrine umane e senza la Legge di Dio. Ricevono la Parola di Dio e la travisano;
quelli pieni di sentieri, sono gli spiriti che sguazzano nei piaceri umani, egoisti e pieni di polvere nera. Il loro dio è il mondo, la sensualità ammanta anche la piccola parte disponibile ad accogliere il seme buono, perché arrivano gli uccelli, cioè, le molte dissipazioni e distruggono subito il seme buono.
Ogni credente si trova in uno di questi quattro campi, senza volere stabilire la giusta collocazione perché dovremmo chiederla a Gesù, cerchiamo di impegnarci ogni giorno facendo qualcosa in più per diventare terreno fertile. Tutti potete gradualmente lasciare i campi non buoni e diventare terreno buono, il terreno in cui Gesù semina la sua Parola ed infonde innumerevoli Grazie.
Preghiamo la Madonna per ricevere da Lei molti aiuti, per estirpare dal cuore i vizi e farlo diventare fertile, terreno che produce opere sante.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2106 - Udienza di Benedetto XVI del 30/1/2013

Io credo in Dio: il Padre onnipotente 

Cari fratelli e sorelle, 

nella catechesi di mercoledì scorso ci siamo soffermati sulle parole iniziali del Credo: “Io credo in Dio”. Ma la professione di fede specifica questa affermazione: Dio è il Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Vorrei dunque riflettere ora con voi sulla prima, fondamentale definizione di Dio che il Credo ci presenta: Egli è Padre.
Non è sempre facile oggi parlare di paternità. Soprattutto nel mondo occidentale, le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all'interno del vivere quotidiano sono alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli. La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento. Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia. 
Ma la rivelazione biblica aiuta a superare queste difficoltà parlandoci di un Dio che ci mostra che cosa significhi veramente essere “padre”; ed è soprattutto il Vangelo che ci rivela questo volto di Dio come Padre che ama fino al dono del proprio Figlio per la salvezza dell’umanità. Il riferimento alla figura paterna aiuta dunque a comprendere qualcosa dell’amore di Dio che però rimane infinitamente più grande, più fedele, più totale di quello di qualsiasi uomo. «Chi di voi, – dice Gesù per mostrare ai discepoli il volto del Padre – al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono» (Mt 7,9-11; cfr Lc 11,11-13). Dio ci è Padre perché ci ha benedetti e scelti prima della creazione del mondo (cfr Ef 1,3-6), ci ha resi realmente suoi figli in Gesù (cfr 1Gv 3,1). E, come Padre, Dio accompagna con amore la nostra esistenza, donandoci la sua Parola, il suo insegnamento, la sua grazia, il suo Spirito. 
Egli - come rivela Gesù - è il Padre che nutre gli uccelli del cielo senza che essi debbano seminare e mietere, e riveste di colori meravigliosi i fiori dei campi, con vesti più belle di quelle del re Salomone (cfr Mt 6,26-32; Lc 12,24-28); e noi – aggiunge Gesù - valiamo ben più dei fiori e degli uccelli del cielo! E se Egli è così buono da far «sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e … piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45), potremo sempre, senza paura e con totale fiducia, affidarci al suo perdono di Padre quando sbagliamo strada. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (cfr Lc 15,11ss), dona gratuitamente a coloro che chiedono (cfr Mt 18,19; Mc 11,24; Gv 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fa vivere in eterno (cfr Gv 6,32.51.58). 
Perciò l’orante del Salmo 27, circondato dai nemici, assediato da malvagi e calunniatori, mentre cerca aiuto dal Signore e lo invoca, può dare la sua testimonianza piena di fede affermando: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (v. 10). Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità. «Perché il suo amore è per sempre», come continua a ripetere in modo litanico, ad ogni versetto, il Salmo 136 ripercorrendo la storia della salvezza. L’amore di Dio Padre non viene mai meno, non si stanca di noi; è amore che dona fino all'estremo, fino a sacrificio del Figlio. La fede ci dona questa certezza, che diventa una roccia sicura nella costruzione della nostra vita: noi possiamo affrontare tutti i momenti di difficoltà e di pericolo, l’esperienza del buio della crisi e del tempo del dolore, sorretti dalla fiducia che Dio non ci lascia soli ed è sempre vicino, per salvarci e portarci alla vita eterna. 
È nel Signore Gesù che si mostra in pienezza il volto benevolo del Padre che è nei cieli. È conoscendo Lui che possiamo conoscere anche il Padre (cfr Gv 8,19; 14,7), è vedendo Lui che possiamo vedere il Padre, perché Egli è nel Padre e il Padre è in Lui (cfr Gv 14,9.11). Egli è «immagine del Dio invisibile» come lo definisce l’inno della Lettera ai Colossesi, «primogenito di tutta la creazione… primogenito di quelli che risorgono dai morti», «per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» e la riconciliazione di tutte le cose, «avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cfr Col 1,13-20). 
La fede in Dio Padre chiede di credere nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito, riconoscendo nella Croce che salva lo svelarsi definitivo dell’amore divino. Dio ci è Padre dandoci il suo Figlio; Dio ci è Padre perdonando il nostro peccato e portandoci alla gioia della vita risorta; Dio ci è Padre donandoci lo Spirito che ci rende figli e ci permette di chiamarlo, in verità, «Abbà, Padre» (cfr Rm 8,15). Perciò Gesù, insegnandoci a pregare, ci invita a dire “Padre nostro” (Mt 6,9-13; cfr Lc 11,2-4). 
La paternità di Dio, allora, è amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto. Il Salmo 103, il grande canto della misericordia divina, proclama: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso coloro che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (vv. 13-14). E’ proprio la nostra piccolezza, la nostra debole natura umana, la nostra fragilità che diventa appello alla misericordia del Signore perché manifesti la sua grandezza e tenerezza di Padre aiutandoci, perdonandoci e salvandoci. 
E Dio risponde al nostro appello, inviando il suo Figlio, che muore e risorge per noi; entra nella nostra fragilità e opera ciò che da solo l’uomo non avrebbe mai potuto operare: prende su di Sé il peccato del mondo, come agnello innocente, e ci riapre la strada verso la comunione con Dio, ci rende veri figli di Dio. È lì, nel Mistero pasquale, che si rivela in tutta la sua luminosità il volto definitivo del Padre. Ed è lì, sulla Croce gloriosa, che avviene la manifestazione piena della grandezza di Dio come “Padre onnipotente”. 
Ma potremmo chiederci: come è possibile pensare a un Dio onnipotente guardando alla Croce di Cristo? A questo potere del male, che arriva fino al punto di uccidere il Figlio di Dio? Noi vorremmo certamente un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio “onnipotente” che risolva i problemi, che intervenga per evitarci le difficoltà, che vinca le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore. Così, oggi diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente altrimenti non potrebbe esserci così tanta sofferenza, tanto male nel mondo. In realtà, davanti al male e alla sofferenza, per molti, per noi, diventa problematico, difficile, credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza “magica” e nelle sue illusorie promesse. 
Ma la fede in Dio onnipotente ci spinge a percorrere sentieri ben differenti: imparare a conoscere che il pensiero di Dio è diverso dal nostro, che le vie di Dio sono diverse dalle nostre (cfr Is 55,8) e anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza automatica o arbitraria, ma è segnata da una libertà amorosa e paterna. In realtà, Dio, creando creature libere, dando libertà, ha rinunciato a una parte del suo potere, lasciando il potere della nostra libertà. Così Egli ama e rispetta la risposta libera di amore alla sua chiamata. Come Padre, Dio desidera che noi diventiamo suoi figli e viviamo come tali nel suo Figlio, in comunione, in piena familiarità con Lui. La sua onnipotenza non si esprime nella violenza, non si esprime nella distruzione di ogni potere avverso come noi desideriamo, ma si esprime nell'amore, nella misericordia, nel perdono, nell'accettare la nostra libertà e nell'instancabile appello alla conversione del cuore, in un atteggiamento solo apparentemente debole – Dio sembra debole, se pensiamo a Gesù Cristo che prega, che si fa uccidere. Un atteggiamento apparentemente debole, fatto di pazienza, di mitezza e di amore, dimostra che questo è il vero modo di essere potente! Questa è la potenza di Dio! E questa potenza vincerà! Il saggio del Libro della Sapienza così si rivolge a Dio: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi; chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono… Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (11,23-24a.26). 
Solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. Dio aspetta la nostra conversione. L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti, tanto che «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all'odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall'amore di Dio; allora la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita. Dio Padre risuscita il Figlio: la morte, la grande nemica (cfr 1 Cor 15,26), è inghiottita e privata del suo veleno (cfr 1 Cor 15,54-55), e noi, liberati dal peccato, possiamo accedere alla nostra realtà di figli di Dio. 
Quindi, quando diciamo “Io credo in Dio Padre onnipotente”, noi esprimiamo la nostra fede nella potenza dell’amore di Dio che nel suo Figlio morto e risorto sconfigge l’odio, il male, il peccato e ci apre alla vita eterna, quella dei figli che desiderano essere per sempre nella “Casa del Padre”. Dire «Io credo in Dio Padre onnipotente», nella sua potenza, nel suo modo di essere Padre, è sempre un atto di fede, di conversione, di trasformazione del nostro pensiero, di tutto il nostro affetto, di tutto il nostro modo di vivere. 
Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di sostenere la nostra fede, di aiutarci a trovare veramente la fede e di darci la forza di annunciare Cristo crocifisso e risorto e di testimoniarlo nell'amore a Dio e al prossimo. E Dio ci conceda di accogliere il dono della nostra filiazione, per vivere in pienezza le realtà del Credo, nell'abbandono fiducioso all'amore del Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza che è la vera onnipotenza e salva.
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2105 - Santa Giacinta Marescotti


Giacinta, al secolo Clarice, figlia del Conte Marcantonio Marescotti e di donna Ottavia Orsini, nasce a Vignanello (VT) il 6 marzo 1585.
Assieme alle sue due sorelle Ginevra e Ortensia, studia  al Convento di San Bernardino a Viterbo; al termine degli studi Ginevra rimane in convento e prende il nome di Suor Immacolata.
Clarice e Ortensia sono introdotte nelle migliori case; Clarice è molto attratta dal giovane Paolo Capizucchi ma egli chiede la mano della sorella minore Ortensia.Clarice ne rimane sconvolta e dopo qualche settimana decide di raggiungere la sorella Suor Immacolata a San Bernardino.
Qui prende il nome di Giacinta, ma senza farsi monaca: sceglie lo stato di terziaria francescana, che non comporta clausura stretta. Anziché vivere in una cella, si fa arredare un intero appartamento nello stile delle sue stanze a Vignanello, ed è servita da due giovani novizie.
Conduce una vita mondana e licenziosa fino al 1615, quando, in seguito ad una malattia, entrò in una crisi spirituale: si ritrovò sola e gridò forte “O Dio ti supplico, dai un senso alla mia vita, dammi la speranza, dammi la salvezza!”
Il giorno dopo venne a trovarla il Padre confessore e la notte seguente Suor Giacinta trascorse l'intera notte pregando, e provò una serenità ultraterrena. Si convertì e si diede ad esercizi di penitenza e di perfezione cristiana.
Per Suor Giacinta cominciano ventiquattro anni straordinari e durissimi: povertà totale e continue penitenze, con asprezze oggi poco comprensibili, ma che rivelano energie nuove e sorprendenti. Dalle due camerette raffinate lei passa a una cella derelitta per vivere di privazioni ma al tempo stesso, di lì, compie un’opera singolare di “riconquista”.
Personaggi lontani dalla fede vi tornano per opera sua, e si fanno suoi collaboratori nell’aiuto ad ammalati e poveri. Un aiuto che Giacinta la penitente vuole sistematico, regolare, per opera di persone fortemente motivate.
Questa mistica si fa organizzatrice di istituti assistenziali; aiutata dal cittadino Francesco Pacini fece nascere una confraternita laicale, detta dei “Sacconi”(dal sacco che i confratelli indossano nel loro servizio), col fine di elemosine e di soccorsi ai poveri, malati e detenuti. Dedicò il resto della sua vita ad aiutare il prossimo.
Non sono molti quelli che la conoscono di persona. Ma subito dopo la sua morte, avvenuta il 30 gennaio 1640, tutta Viterbo corre alla chiesa dove è esposta la salma e tutti si portano via un pezzetto del suo abito, sicché bisognerà rivestirla tre volte.
Il corpo è nella chiesa del Monastero di San Bernardino, a Viterbo.
 
Fu beatificata da Papa Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini, 1724-1730) nel 1726 e proclamata santa da Papa Pio VII (Barnaba Chiaramonti, 1800-1823) nel 1807.
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martedì 29 gennaio 2013

2104 - Commento al Vangelo del 29/1/2013


+ Dal Vangelo secondo Marco (3,31-35)
In quel tempo, giunsero la Madre di Gesù e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a Lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua Madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma Egli rispose loro: «Chi è mia Madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a Lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Quando dissero a Gesù che la Madre e i parenti stavano fuori e Lo cercavano, Gesù stava concludendo un discorso molto forte con gli scribi e i farisei, molto agitati contro Lui e decisi a stroncarne la predicazione. Ieri abbiamo letto che avevano accusato Gesù di guarire nel nome di satana, “Costui non è che un Belzebù, perché i demoni Lo ubbidiscono. Il grande Belzebù suo padre lo aiuta, ed Egli caccia i demoni non con altro che con l'opera di Belzebù principe dei demoni”.
Non c’era un dialogo sereno, i nemici di Gesù tiravano fuori teorie false per minimizzare e ridicolizzare il Signore davanti alla popolazione di Cafarnao, per delegittimarlo e farlo allontanare da lì. Questo è stato uno degli attacchi più violenti contro Gesù, aveva iniziato da poco tempo la predicazione nei paesi vicini e molti miracoli aveva compiuto un po’ ovunque. La paura di scribi e farisei era quella di perdere il controllo sulla popolazione e di trovarsi dinanzi un Uomo mandato da Dio.
L’episodio narrato oggi nel Vangelo avviene a Cafarnao, nella casa utilizzata da Gesù e dagli Apostoli subito dopo l’investitura avvenuta sul monte e come ci dice San Marco nei versetti precedenti a quelli di oggi: “Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che Egli volle ed essi andarono da Lui. Ne costituì Dodici che stessero con Lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,13-15).
C’è un particolare importante da conoscere per comprendere l’affermazione detta da Gesù mentre discuteva con i suoi nemici, ed era costretto a spiegare che Lui vinceva satana e i diavoli, ma non ne era assolutamente complice. Una spiegazione sicuramente convincente, ma non per i suoi nemici, i quali, anche se non avevano più argomenti per accusarlo, lo stesso seminavano stupide diffamazioni per allontanare quanti invece credevano alle sue sante parole.
Lo stesso avveniva a San Francesco e a Padre Pio, stimmatizzati e grandi Santi resi conformi al Signore anche nelle ferite, i loro nemici non pensavano ad altro che a seminare zizzanie e diffamazioni diaboliche per allontanare quanti li avvicinavano. Anche in questo caso erano questi nemici dei Santi ad essere posseduti dai diavoli, quantomeno pienamente influenzati dallo spirito satanico.
Gesù, quindi, nonostante le spiegazioni chiare e convincenti, risultava sempre un folle per gli scribi e i farisei, un Uomo che aveva perduto il senno, ma non spiegavano i miracoli compiuti da Lui, non riuscivano a capire la sapienza profonda che manifestava in ogni discorso.
In questa fase iniziale della sua vita pubblica, Gesù era considerato un folle anche da alcuni cugini intimi, Giuseppe e Simone, figli di Alfeo e fratello di San Giuseppe. Invece Giuda Taddeo, altro figlio di Alfeo già seguiva Gesù, mentre i suoi fratelli e cugini di Gesù, consideravano insensato e fuori di sé il Signore.
Così si spiega quanto è scritto nel Vangelo: “Ecco, tua Madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano”.
Perché San Marco scrive che cercavano Gesù? Già questa ricerca di Gesù fa capire che qualcosa non andava tra i suoi parenti.
La Madonna non era andata spontaneamente a Cafarnao per riprendere suo Figlio, era stata obbligata dai deliri e dalle allucinazioni dei suoi nipoti ad andare con essi, perché a Nazareth non facevano altro che accusare Gesù, dicevano agli altri parenti che era impazzito ed imprudente, irresponsabile. La predicazione del cugino Gesù e i grandi miracoli che compiva per essi erano manifestazioni della sua follia, ma anche loro non spiegavano come potevano avvenire.
La frase riportata sopra: “Ecco, tua Madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano”, si inserisce proprio alla fine dell’esposizione della difesa di Gesù delle sue opere e degli esorcismi che faceva nel Nome di Dio. Certo, Lui già affermava che era venuto il Regno di Dio in mezzo al popolo e che Lui era stato inviato dal Padre Eterno, quindi, affermava parole forti, ma cosa poteva dire? Doveva forse tacere il motivo della sua predicazione e non manifestare la sua vera identità? Allora perché era venuto in mezzo a noi?
Gesù non poteva assolutamente essere imprudente né irresponsabile, erano e sono i malvagi ed indiavolati a vederlo sotto questa ottica. Come hanno considerato allo stesso modo in passato San Francesco quando si convertì ed iniziò la sua incredibile vita penitente, ed anche Padre Pio dopo che ricevette le stimmate. In effetti, Padre Pio per tutta la vita ricevette accuse false e diffamazioni che uscivano dal cuore di satana. Le accuse più delicate che rivolgevano a Padre Pio riguardavano la follia, l’esaltazione, il denaro, l’inganno delle stimmate.
Se la spiegazione fatta da Gesù sulle sue opere era stata precisa e più ancora esauriente per scribi e farisei, non ne erano assolutamente convinti i suoi cugini Giuseppe e Simone, appunto arrivati a Cafarnao con la Vergine Santissima e altri parenti per prendere Gesù e riportarlo a Nazareth, perché secondo loro aveva bisogno di cure e di calmarsi, come se fosse stato un esaurito, psichicamente debilitato. Se fosse esistita l’ambulanza l’avrebbero chiamata, se fossero state presenti le forze dell’ordine, i cugini avrebbero chiesto di intervenire con il trattamento sanitario obbligatorio per calmare il povero Gesù.
Vedete come si sbagliano quanti non hanno il discernimento e non posseggono una Fede matura?
Passiamo al momento dell’annuncio della presenza della Madre e dei parenti. Quando dicono a Gesù dell’arrivo dei suoi cugini, Egli vedendo la Madre, sicuramente affranta per la reale esaltazione ed insensatezza dei nipoti e cugini di Gesù, afferma che “chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”. Gesù non sminuisce assolutamente la figura della Madre perché solo Ella viveva nella Volontà di Dio, e Lui e sua Madre lo sapevano molto bene, al contrario vuole invitare tutti a vivere come figli di Dio, considerando al tempo stesso sua Madre come il modello di Discepola fedelissima.
Non possiamo minimamente pensare ad una sconfessione di sua Madre, ma Gesù mostra ai suoi nemici scribi e farisei presenti, che Lui non considera più vincolanti i legami umani ma deve preoccuparsi solamente di predicare la volontà del Padre. E sua Madre conosceva benissimo chi era Gesù e cosa stava compiendo, sapeva perfettamente gli insegnamenti del Figlio perché ne aveva ampiamente istruita proprio la Madre nella casetta di Nazareth.
Per la Madonna non era assolutamente una sorpresa quanto faceva e diceva Gesù, Lui aveva dato inizio alla predicazione.
Potevano mai i suoi cugini intuire la Divinità di Gesù e capire il vero motivo che Lo spingeva a parlare in quel modo e ad operare portentosi miracoli? Però, un loro fratello aveva creduto in Gesù, Giuda Taddeo aveva messo da parte i ragionamenti umani e si era fidato di Dio. Nel cugino Gesù “vedeva” la presenza di Dio e credeva.
Questo ci fa capire che l’orgoglio non fa progredire nel cammino di santità, paralizza la vita spirituale e porta la persona ad assimilare lo spirito negativo, si ritrova pensieri controversi e non ha mai la lucidità per intuire la verità. Mentre la purezza di Giuda Taddeo gli ha permesso di dissentire dalle accuse dei suoi fratelli carnali contro Gesù, di agire liberamente e di seguire la Verità.
L’insegnamento che se ne trae da questo difficile brano evangelico, si trova in questi atteggiamenti davvero eroici di Gesù: la sicurezza, l’irremovibilità e il coraggio. Gesù è stato grandissimo nei momenti più difficili che per noi appaiono impensabili da sostenere. È difficile per noi umani agire con una smisurata dose di coraggio nelle cose che riguardano la Fede, se non siamo molto vicini a Gesù, se non Lo frequentiamo ogni giorno e non viviamo nel suo Cuore.
È follia per molti cristiani esporsi nel difendere la loro Fede davanti a quanti l’avversano. E dov'è la coerenza e il coraggio?
Gesù oggi ci insegna il valore della coerenza e del coraggio anche davanti a difficoltà apparentemente insuperabili. Ci dice che non si possono amare i familiari più di Lui, ma amarli in Lui, amarli con il suo Amore. A questa spiritualità certamente più elevata si giunge solo se si percorre il cammino del rinnegamento e della vera preghiera. Non è possibile seguire Gesù e allo stesso tempo amare gli altri con un amore più grande. Quanto amore rimane per Gesù? Pochissimo.
Chi più ama Gesù e Lo mette al centro della vita, ama più intensamente il marito, la moglie, i figli, i genitori, ecc, perché li ama in Gesù.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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2103 - Sant'Afraate, il «Saggio»


Catechesi di BENEDETTO XVI (Mercoledì, 21 novembre 2007)
 
Cari fratelli e sorelle,
nella nostra escursione nel mondo dei Padri della Chiesa, vorrei oggi guidarvi in una parte poco conosciuta di questo universo della fede, cioè nei territori in cui sono fiorite le Chiese di lingua semitica, non ancora influenzate dal pensiero greco. Queste Chiese, lungo il IV secolo, si sviluppano nel vicino Oriente, dalla Terra Santa al Libano e alla Mesopotamia. In quel secolo, che è un periodo di formazione a livello ecclesiale e letterario, tali comunità conoscono l’affermarsi del fenomeno ascetico-monastico con caratteristiche autoctone, che non subiscono l’influsso del monachesimo egiziano. Le comunità siriache del IV secolo rappresentano quindi il mondo semitico da cui è uscita la Bibbia stessa, e sono espressione di un cristianesimo, la cui formulazione teologica non è ancora entrata in contatto con correnti culturali diverse, ma vive in forme proprie di pensiero. Sono Chiese in cui l’ascetismo sotto varie forme eremitiche (eremiti nel deserto, nelle caverne, reclusi, stiliti), e il monachesimo sotto forme di vita comunitaria, esercitano un ruolo di vitale importanza nello sviluppo del pensiero teologico e spirituale.
Vorrei presentare questo mondo attraverso la grande figura di Afraate, conosciuto anche col soprannome di «Saggio», uno dei personaggi più importanti e allo stesso tempo più enigmatici del cristianesimo siriaco del IV secolo. Originario della regione di Ninive-Mossul, oggi in Iraq, visse nella prima metà del IV secolo. Abbiamo poche notizie sulla sua vita; intrattenne comunque rapporti stretti con gli ambienti ascetico-monastici della Chiesa siriaca, di cui ci ha conservato notizie nella sua opera e a cui dedica parte della sua riflessione. Secondo alcune fonti fu anzi a capo di un monastero, e infine fu anche consacrato Vescovo. Scrisse 23 discorsi conosciuti con il nome di Esposizioni oDimostrazioni, in cui tratta diversi temi di vita cristiana, come la fede, l’amore, il digiuno, l’umiltà, la preghiera, la stessa vita ascetica e anche il rapporto tra giudaismo e cristianesimo, tra Antico e Nuovo Testamento. Scrive in uno stile semplice, con delle frasi brevi e con parallelismi a volte contrastanti; riesce tuttavia a tessere un discorso coerente con uno sviluppo ben articolato dei vari argomenti che affronta.
Afraate era originario di una comunità ecclesiale che si trovava alla frontiera tra il giudaismo ed il cristianesimo. Era una comunità molto legata alla Chiesa-madre di Gerusalemme, e i suoi Vescovi venivano scelti tradizionalmente fra i cosiddetti «familiari» di Giacomo, il «fratello del Signore» (cfr Mc 6,3): erano cioè persone collegate per sangue e per fede alla Chiesa gerosolimitana. La lingua di Afraate è quella siriaca, una lingua quindi semitica come l’ebraico dell’Antico Testamento e come l’aramaico parlato dallo stesso Gesù. La comunità ecclesiale, in cui si trovò a vivere Afraate, era una comunità che cercava di restare fedele alla tradizione giudeo-cristiana, di cui si sentiva figlia. Essa manteneva perciò uno stretto rapporto con il mondo ebraico e con i suoi Libri sacri. Significativamente Afraate si definisce «discepolo della Sacra Scrittura» dell’Antico e del Nuovo Testamento (Esposizione 22,26), che considera sua unica fonte di ispirazione, ricorrendovi in modo così abbondante, da farne il centro della sua riflessione.
Diversi sono gli argomenti che Afraate sviluppa nelle sue Esposizioni. Fedele alla tradizione siriaca, spesso presenta la salvezza operata da Cristo come una guarigione e, quindi, Cristo stesso come medico. Il peccato, invece, è visto come una ferita, che solo la penitenza può risanare: «Un uomo che è stato ferito in battaglia, dice Afraate, non ha vergogna di mettersi nelle mani di un saggio medico…; allo stesso modo, chi è stato ferito da Satana non deve vergognarsi di riconoscere la sua colpa e di allontanarsi da essa, domandando la medicina della penitenza» (Esposizione 7,3). Un altro aspetto importante nell’opera di Afraate è il suo insegnamento sulla preghiera e, in modo speciale, su Cristo come maestro di preghiera. Il cristiano prega seguendo l’insegnamento di Gesù e il suo esempio di orante: «Il nostro Salvatore ha insegnato a pregare così, dicendo: “Prega nel segreto Colui che è nascosto, ma che vede tutto”; e ancora: “Entra nella tua camera e prega il tuo Padre nel segreto, e il Padre che vede nel segreto ti ricompenserà” (Mt 6,6)… Quello che il nostro Salvatore vuol mostrare è che Dio conosce i desideri e i pensieri del cuore» (Esposizione 4,10).
Per Afraate la vita cristiana è incentrata nell’imitazione di Cristo, nel prendere il suo giogo e nel seguirlo sulla via del Vangelo. Una delle virtù che più conviene al discepolo di Cristo è l’umiltà. Essa non è un aspetto secondario nella vita spirituale del cristiano: la natura dell’uomo è umile, ed è Dio che la esalta alla sua stessa gloria. L’umiltà, osserva Afraate, non è un valore negativo: «Se la radice dell’uomo è piantata nella terra, i suoi frutti salgono davanti al Signore della grandezza» (Esposizione 9,14). Restando umile, anche nella realtà terrena in cui vive, il cristiano può entrare in relazione col Signore: «L’umile è umile, ma il suo cuore si innalza ad altezze eccelse. Gli occhi del suo volto osservano la terra e gli occhi della mente l’altezza eccelsa» (Esposizione 9,2).
La visione che Afraate ha dell’uomo e della sua realtà corporale è molto positiva: il corpo umano, sull’esempio di Cristo umile, è chiamato alla bellezza, alla gioia, alla luce. «Dio si avvicina all’uomo che ama – egli osserva – ed è giusto amare l’umiltà e restare nella condizione di umiltà. Gli umili sono semplici, pazienti, amati, integri, retti, esperti nel bene, prudenti, sereni, sapienti, quieti, pacifici, misericordiosi, pronti a convertirsi, benevoli, profondi, ponderati, belli e desiderabili» (Esposizione 9,14). Spesso in Afraate la vita cristiana viene presentata in una chiara dimensione ascetica e spirituale: la fede ne è la base, il fondamento; essa fa dell’uomo un tempio dove Cristo stesso abita. La fede quindi rende possibile una carità sincera, che si esprime nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Un altro aspetto importante in Afraate è il digiuno, che è da lui inteso in senso ampio. Egli parla del digiuno dal cibo come di pratica necessaria per essere caritatevoli e vergini, del digiuno costituito dalla continenza in vista della santità, del digiuno dalle parole vane o detestabili, del digiuno dalla collera, del digiuno dalla proprietà di beni in vista del ministero, del digiuno dal sonno per attendere alla preghiera.
 
Cari fratelli e sorelle, ritorniamo ancora – per concludere – all’insegnamento di Afraate sulla preghiera. Secondo questo antico «Saggio», la preghiera si realizza quando Cristo abita nel cuore del cristiano, e lo invita a un impegno coerente di carità verso il prossimo. Scrive infatti:
 «Da’ sollievo agli affranti, visita i malati,
sii sollecito verso i poveri: questa è la preghiera.
La preghiera è buona, e le sue opere sono belle.
La preghiera è accetta, quando dà sollievo al prossimo.
La preghiera è ascoltata,
quando in essa si trova anche il perdono delle offese.
La preghiera è forte,
quando è piena della forza di Dio» (Esposizione 4,14-16). 
 
Con queste parole Afraate ci invita a una preghiera che diventa vita cristiana, vita realizzata, vita penetrata dalla fede, dall’apertura a Dio e, così, dall’amore per il prossimo.
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Medaglia di San Benedetto