Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

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martedì 31 luglio 2012

1699 - Commento al Vangelo del 31/7/2012


+ Dal Vangelo secondo Matteo (13,36-43)
In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Ieri ho indicato la possibilità della santità data da Dio ad ogni essere umano e certamente i più avvantaggiati sono i cristiani. Anche un grande peccatore convertito può diventare un Santo canonizzato, oggi è proprio la festa liturgica di un grande peccatore e non credente, Sant’Ignazio di Loyola, un uomo che fino all’età di 31 anni aveva condotto un’esistenza dissoluta. Era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca. Non pregava e non conosceva il Vangelo di Gesù.
Dopo essere rimasto ferito in un combattimento, costretto a rimanere a riposo per lungo tempo, gli diedero da leggere la “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea” (vita di Santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298), dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso.
Così inizio la sua ricerca di Dio, volle recarsi a Gerusalemme dalla Spagna, nonostante il suo zoppicare, scoprì che Gesù è l’unico senso della vita e che mai aveva provato una gioia incontenibile e profonda come allora. Cominciò a studiare e a pregare molto, faceva penitenze severe e si dedicò pienamente al Vangelo, tanto da fondare successivamente la Compagnia dei Gesuiti.
Sant’Ignazio si dedicò molto allo studio per conoscere meglio Gesù, amava molto la riflessione come dovrebbe fare ogni persona prudente e cercava in ogni cosa la volontà di Dio. Non cercava la soluzione migliore per compiacere se stesso, i suoi sforzi erano diretti alla conoscenza di ciò che piaceva a Dio, e nulla compiva senza avere chiaro il progetto di Dio.
Fu talmente riflessivo e spirituale da scrivere il capolavoro degli “Esercizi spirituali”, chiamati appunto di Sant’Ignazio.
Da quale punto spirituale era partito il Santo? Da zero, non conosceva nulla e conduceva una vita altamente peccaminosa. La Grazia di Dio ha operato efficacemente in lui, è vero, ma anche l’uomo ha corrisposto e si è disposto all’azione dello Spirito Santo. Non conta solo il desiderio di cercare Gesù, bisogna anche trovarlo come vuole Lui, e dove possiamo trovare Gesù Cristo se non nell’Eucaristia, nella preghiera umile e nella meditazione del Vangelo?
C’è una caratteristica di Sant’Ignazio che voglio ribadire e che è in realtà un elemento distintivo di tutti i Santi e le anime spirituali: la prudenza prima di agire, la riflessione anche per settimane prima di prendere una decisione importante. Le anime superficiali vivono d’istinto e quello che pensano subito dopo lo compiono, perché è assente la prudenza. E dominare l’istinto è un lavoro duro, si tratta di combattere contro se stessi e scegliere la soluzione spirituale.
Ma arrivare a capire la soluzione spirituale richiede dominio di sé e prudenza, quindi, è necessaria una vita di santità.
Chi lotta contro i propri vizi e si sforza di vincere le tentazioni, di sicuro rallegra Gesù e la Madonna, avverte interiormente l’aumento di una forza spirituale che cambia la mentalità e le parole, non ripeterà gli errori gravi del passato, come per esempio quando si semina zizzania in qualsiasi contesto. Oppure quando si porta odio verso qualcuno, si agisce con arroganza e disprezzo della dignità altrui.
Sant’Ignazio oggi ci insegna che è possibile raggiungere la santità di vita se scopriamo veramente Gesù e viviamo il suo Vangelo.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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1698 - Vita di Gesù (paragrafi 455-459)


La donna rattrappita e l'uomo idropico. Questioni conviviali

§ 455. Fecero effetto queste minacce? Divampava l'incendio ac­ceso da quel fuoco che Gesù era venuto a gettare sulla terra? In al­tre parole, si stava attuando il “cambiamento di mente” che ripu­diava il vecchiume formalistico e ricercava lo spirito nuovo? A queste domande Luca non dà una risposta esplicita, ma sembra be­ne che ne dia una implicita mediante un aneddoto ch'egli soggiunge alle narrazioni precedenti, e che mostra come il formalismo rabbi­nico gravasse quale cappa di piombo sugli spiriti e non fosse stato neppure scalfito dalle minacce di Gesù. L'aneddoto è quello della donna rattrappita guarita di sabbato (Luca, 13, 10-17); senonché lo stesso evangelista, indulgendo alla sua predilezione per i quadretti abbinati, poco dopo questo aneddoto fa seguire l'altro somigliantissi mo dell'uomo idropico guarito egualmente di sabbato (14, 1-6). I due quadretti si richiamano logicamente l'un l'altro, come una ripetuta e sfiduciata risposta alle precedenti domande sull'efficacia della predicazione di Gesù, ed è quindi opportuno presentarli affiancati; tutta­via, egualmente dai dati di Luca confrontato con gli altri evangelisti, appare che i due fatti sono cronologicamente staccati, e che la donna fu guarita poco prima della festa della Dedicazione e nella Giudea, l'uomo invece poco dopo quella festa e probabilmente nella Tran­sgiordania. Gesù dunque, durante la sua peregrinazione nella Giudea, si recò di sabbato in una sinagoga e si mise a predicare. Tra i presenti era una donna malata da diciotto anni - forse di artrite o anche di paralisi - e così rattrappita che non poteva in nessun modo alzar la testa e guardare in alto. Vistala, Gesù la chiamò e le disse: Donna, sei disciolta dalla tua malattia; e le impose le mani. Quella, raddrizzatasi all'istante, si dette a ringraziare e glorificare Dio. L'archisinagogo che presiedeva all'adunanza (§ 64) s'indignò per quella guarigione fatta di sabbato; non osando però abbordare direttamente Gesù, se la prese con la folla arringandola stizzito: Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare: in essi dunque venite a farvi curare, e non nel giorno del sabbato! Per quello zelante archisinagogo la guarigione miraco­losa non significava nulla, il sabbato invece - che del resto non era stato violato - significava tutto. Gesù allora rispose a lui e agli altri della mentalità di lui: Ipocriti! ognuno di voi di sabbato non scioglie forse il suo bove o l'asino dalla mangiatoia, e (lo) conduce ad abbe­verare? Infatti, sciogliere o stringere un nodo di fune era compreso in quei 39 gruppi di azioni ch'erano proibite di sabbato (§ 70); ma nella pratica, trattandosi delle bestie domestiche, si provvedeva in una maniera o un altra al loro sostentamento. Messo ciò in chiaro, Gesù argomenta a fortiori concludendo: E costei ch'e' figlia di Abra­mo, e che il Satana legò or diciotto anni, non bisognava che fosse sciolta da questo legame nel giorno di sabbato? Al Satana erano fat­te risalire comunemente malattie di ogni genere (§ 78). Se dunque c'era un giorno più opportuno di tutti per dimostrare la vittoria di Dio sul Satana, cioè del Bene sul Male, era appunto il sabbato, il giorno consacrato a Dio: quindi Gesù, meglio d'ogni altro, era pe­netrato nello spirito del sabbato, operando appunto in esso quella vittoria di Dio sul Satana.

§ 456. Al ragionamento di Gesù la folla assenti cordialmente; quan­to ai suoi avversari, Luca dice che rimasero confusi, ma ciò non significa che assentissero al ragionamento. Già vedemmo che l'osser­vanza rabbinica del sabbato era uno dei piloni su Cui troneggiavano i Farisei e che non doveva mai crollare (§ 431). Anche se i fatti mi­racolosi smentivano quell'osservanza, ciò non significava nulla si trascurassero i fatti e si bestemmiasse lo Spirito santo (§ § 444, 446), purché rimanesse il sabato farisaico. Il quadretto corrispondente si svolge, non in sinagoga, ma in casa di un insigne Fariseo che ha invitato Gesù a prender cibo da lui. E’ di sabato, e i Farisei stanno spiando. Ecco che un uomo idropico si presenta a Gesù, attirato forse dalla sua fama di taumaturgo e spe­rando d'esser guarito. Gesù allora si rivolge ai legisti e ai Farisei di­cendo: E’ lecito di sabato curare o no? Quelli rimasero in silenzio, sebbene per molti casi la questione fosse già stata trattata e decisa dai dottori della Legge (§ 71). Continuando il silenzio, Gesù tira per mano a sé l'idropico, lo guarisce e lo licenzia; quindi dice ai silenzio­si: Chi di voi avendo il figlio o il bove che cada in un pozzo, non lo ritira su subito in giorno di sabbato? - Ma anche questa domanda rimane, secondo Luca, senza risposta. Appare a prima lettura che i due aneddoti sono somigliantissimi; solo che in quello dell'idropico gli avversari di Gesù non si mostrano acrimoniosi e si limitano a tacere. Poiché questo fatto sembra avve­nuto in Transgiordania, bisognerebbe concludere che i Farisei e i legisti di quella zona, più remota da Gerusalemme, fossero un po' meno fanatici e gretti di quelli della Giudea, i quali stavano sotto l'immediata influenza della capitale.

§ 457. La mancanza d'acrimonia in questi Farisei d'oltre Giordano appare anche dalla circostanza che il convito si protrasse a lungo e vi furono trattate senza astio varie questioni, cominciando da quella dei primi posti. Quei bravi Farisei non sarebbero stati Farisei se non fossero venuti a diverbio per occupare a mensa i posti più vicini al padron di casa e più onorifici: Quel divano spetta a me! - Spetta invece a me, che sono più degno! - Più degno tu? Chi credi di essere? - Io sono più anziano e più dotto di te; cedimi il posto! - E così di seguito. Per gente che viveva soprattutto di esteriorità, siffatte questioni di eti­chetta erano capitali. Gesù intervenne commentando il diverbio, e volle confondere i litiganti mostrando come la loro vanità non fosse neppure abbastanza sagace nello scegliere i mezzi per trionfare. Disse egli: Quando (tu) sia invitato da alcuno a nozze, non ti adagiare sul primo divano, affinché non (avvenga) per caso che uno piu' degno di te sia invitato da lui, e venuto colui che invitò te e lui ti dica: « Da' posto a costui! » e allora (tu) cominci ad occupare con vergogna l'ultimo posto. Quando invece (tu) sia invitato, va' ad adagiarti all'ultimo posto, affinché quando venga chi ti ha invitato ti dica: « Amico, sali piu' in alto! ». Allora avrai gloria al cospetto di tutti i tuoi commensali: poiché chiunque s’innalza sarà abbassato, e chi s'abbassa sarà innalzato. Confusa in tal modo la vanità degli invitati con la considerazione della loro propria imperizia, restava da mettere a posto l'atteggia­mento dell'invitante, e in genere di tutti gli invitanti che troppo spesso agivano per vanagloria congiunta col tornaconto materiale; inoltre, agli invitati e agli invitanti, la lezione sul convito materiale poteva giovare per una sfera più alta, ricordando loro le norme e i vantaggi di un certo convito spirituale. Perciò Gesù, rivolgendosi al­l'invitante, proseguì: Quando (tu) faccia un pranzo o una cena, non chiamare i tuoi amici nè i tuoi fratelli né i tuoi parenti né ricchi vi­cini, affinché non (avvenga) per caso che pure essi ti invitino alla loro volta, e tu abbia il contraccambio. Ma quando (tu) faccia un ricevimento, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e beato sarai, perché non hanno da contraccambiarti! Il contraccambio infatti ti sarà dato nella resurrezione dei giusti. Strettamente affine a questa norma è quella contenuta nel logion ignoto ai quattro vangeli ma attribuito a Gesù da S. Paolo: E cosa piu' beata dare che ricevere (§ 98). La base comune a tutte queste norme è sempre quella dei Discorso della montagna, cioè una sanzione non terrena ma ultraterrena (§ 319): qui essa è chiamata resurrezione dei giusti, altrove regno dei cieli oppure venuta del figlio dell'uomo, ma è in sostanza la stessa base che sorregge tutto l'edificio della dottrina di Gesù, mentre tolta que­sta base l'edificio crolla e la dottrina non ha più senso. Erano perfettamente logici e conseguenziari gli antichi pagani di cui parla S. Paolo, i quali, dal momento che negavano questa base ultraterrena alla dottrina di Gesù (cfr. Atti, 17, 32), trovavano che la stessa dot­trina era una stoltezza (I Corinti, 1, 23). Ancora oggi, le posizioni dialettiche non sono affatto mutate, e la dottrina di Gesù è ancora definita o stolta o divina, a seconda che si respinge o si accetta quella sua base.

§ 458. Con l'idea della ricompensa ultraterrena quegli invitati era­no stati sollevati - come appunto voleva Gesù - al pensiero di un convito spirituale. Allora uno di essi esclamò: Beato chi mangerà ci­bo nel regno d'iddio! Gesù prese occasione per presentare il regno di Dio quale un convito servendosi di una parabola, la quale è riporta­ta sia da Luca (14, 16-24) sia da Matteo (22, 2-14). Le due recen­sioni sono differenti fra loro in parecchi accessori, ma soprattutto perché quella di Matteo ha per aggiunta uno sviluppo abbastanza lungo (22, 11-14) che non trova corrispondenza nella recensione di Luca. Recitò Gesù una sola volta la parabola nella forma più am­pia di Matteo, che poi fu accorciata da Luca? Oppure la recitò nella forma più corta di Luca, che poi fu ampliata da Matteo con un frammento di altra parabola affine? Oppure la recitò più volte in forme diverse? Si è molto discusso su queste domande; la risposta più probabile sembra essere che Gesù abbia impiegato più volte nelle sue parabole questo tema generico del convito - come del resto face­vano anche i rabbini - pur con mire alquanto diverse secondo le circostanze. La recensione pertanto di Matteo risulterebbe dalla fu­sione di due parabole conviviali di Gesù: la prima (22, 2-10) corri­sponde sostanzialmente a quella di Luca; la seconda (22, 11-14) sa­rebbe soltanto la parte conclusiva di un'altra parabola, il cui ante­fatto manca perché nella redazione odierna si giudicò che la somigliante parabola di Luca lo sostituisse bastevolmente. Nella recen­sione lucana la parabola è la seguente.

§ 459. Un uomo fece una gran cena e invitò molti. All'ora oppor­tuna spedì il suo servo agli invitati pregandoli di venire perché ogni cosa era pronta; senonché tutti cominciarono ad addurre pretesti per non venire. Uno disse: Ho comprato un campo, e devo andare ad esaminarlo; scusami! - Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi, e vado a provarli; scusami! - Un terzo si sbrigò con poche parole: Ho preso moglie, e quindi non ne parliamo nemmeno! - Ottenute tali risposte, il servo le riportò al padrone. Costui allora si adirò, e dette ordine al servo: Va' per le piazze e le strade della città, e fa' entrare al banchetto poveri, storpi, ciechi e zoppi! - L'or­dine fu eseguito, e il servo ne informò il padrone aggiungendo: Quei disgraziati sono entrati, ma ci sono ancora posti vuoti. - Il padrone allora replicò: Esci ancora per la campagna, e fà entrare quanti tro­verai lungo i sentieri e le siepi; perché la mia casa dovrà essere gre­mita di quei disgraziati, mentre nessuno degli invitati di prima gu­sterà la mia cena! Evidentemente il convito simboleggia il regno di Dio, gl'invitati riluttanti sono i Giudei, e i poveri che li sostituiscono sono i Gentili: ciò che appare anche meglio dalla recensione di Matteo. Luca termina qui; ma in Matteo la scena ha il seguito già accenna­to. Riempita la sala di quei miserabili, l'invitante (il quale in Mat­teo è un re che fa il convito di nozze a suo figlio) viene in persona nella sala a vedere i commensali. Ad un tratto scorge fra essi un tale che non ha indossato la prescritta veste nuziale (della quale, tuttavia, non è stato fatto cenno in precedenza). Il re perciò gli dice: Amico, come mai sei entrato qui senza avere la veste nuziale? - Quello tace confuso. Allora il re ordina agli inservienti: Legategli mani e pie­di, e gettatelo nella tenebra esteriore: ivi sarà pianto e stridor di denti! - Gesù infine concluse dicendo: Molti infatti sono chiamati, pochi tuttavia eletti. La parte finale di questo tratto singolare esce già dalla sfera simbo­lica e si riferisce direttamente all'oggetto vero della parabola (“pian­to e stridor di denti”). Inoltre esso aggiunge un elemento nuovo al­la parabola comune a Luca e Matteo, ed è che non tutti i nuovi in­vitati sono degni del convito, ma solo quelli che hanno la veste nu­ziale: fuori di allegoria, non tutti i Gentili che hanno sostituito i Giudei nel regno del Messia sono degni del regno, ma solo quelli che hanno le opportune disposizioni spirituali. Gesù, infatti, già ave­va ammonito Nicodemo che se alcuno non sia nato da acqua e (da) Spirito, non può entrare nel regno d'iddio (§ 288); questa rinascita intema era la condizione essenziale per entrare legittimamente nel convito messianico. L'esclamazione del commensale di Gesù: Beato chi mangerà cibo nel regno d'Iddio! era stata anche un'interrogazione, cercando in qualche maniera di sapere chi avrebbe goduto di quella beatitudine. Gesù ha risposto all'interrogazione mostrando chi avrebbe respinto e chi accettato l'invito al convito messianico, e fra quelli che l'avrei ben accettato chi se ne sarebbe mostrato degno e chi indegno.
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1697 - Sant'Ignazio di Loyola, Sacerdote e fondatore


Ignazio di Loyola, in spagnolo Íñigo López de Loyola, nacque il 24 dicembre 1491 nel castello di Loyola, nei paesi baschi. È l'ultimo di 13 figli di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona. Ignazio aveva solo sette anni quando morì sua madre.
Nel 1506, orfano anche di padre, è ad Arévalo, paggio al servizio di un parente, Juan Velázquez de Cuéllar, tesoriere (contador mayor) del re Ferdinando il Cattolico, e, come cortigiano, in quel periodo ebbe uno stile di vita dissoluto. Avendo ricevuto un’educazione cavalleresca, nel 1517, Ignazio prese servizio nell'esercito.
Il 20 maggio 1521, durante l'assedio della fortezza di Pamplona da parte dei Francesi, Ignazio rimane gravemente ferito alle gambe da una palla di cannone e viene ricondotto a Loyola. Durante la lunga degenza, ebbe l'occasione di leggere numerosi testi religiosi dedicati, in particolare, alla vita di Gesù e dei santi. Venne travolto dal desiderio di cambiare la sua vita e trascorrere un'esistenza basata sul proprio lavoro ed ispirata a S. Francesco d'Assisi e ad altre grandi figure spirituali.
Nel 1522 Ignazio si reca prima a Aranzazu (santuario vicino a Loyola) e poi a Montserrat (poco distante da Barcellona), presso l'abbazia benedettina, dove fa la confessione generale della sua vita. Alla vigilia della festa dell'Annunciazione, trascorre tutta la notte in preghiera in una singolare "veglia d'armi". Quindi depone i suoi abiti cavallereschi e, vestito da pellegrino, parte per Manresa (Catalogna), dove conduce per più di un anno una vita di preghiera e penitenza. Ignazio comincia a scrivere gli Esercizi Spirituali (Ejercicios espirituales). Presso il fiume Cardoner "riceve una grande illuminazione", da cui esce profondamente trasformato.
Nel 1523 arriva a Barcellona, da dove vorrebbe imbarcarsi per Gerusalemme. Si imbarca invece per Gaeta e da qui si dirige verso Roma dove incontra il Pp Adriano VI (Adriaan Florenszoon Boeyens, 1522-1523), che benedice il suo prossimo pellegrinaggio nei luoghi santi. Da Venezia parte per la Terra Santa. Visita Gerusalemme, il Santo Sepolcro, Betania, Betlemme, il Giordano, il Monte degli olivi, e vorrebbe fermarsi in quei luoghi, ma deve rinunciare al suo progetto perché il superiore dei Francescani glielo proibisce.
Nel 1528 si iscrisse all'Università di Parigi, dove rimase sette anni, ampliando la sua cultura letteraria e teologica, e cercando di interessare gli altri studenti agli Esercizi Spirituali.
Entro il 1534 ebbe sei “seguaci” - Peter Faber (francese), Francis Xavier, Alfonso Salmeron, James Lainez, Nicholas Bobadilla (spagnoli), e Simao Rodrigues (portoghese).
Il 15 agosto del 1534, Ignazio e gli altri sei studenti si incontrarono a Montmartre, vicino Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà e castità e fondando la "Società di Gesù", allo scopo di eseguire lavoro missionario e di ospitalità a Gerusalemme o andare in qualsiasi luogo il Papa avesse ordinato loro.
Nel 1537 si recarono in Italia in cerca dell'approvazione papale per il loro ordine religioso. Papa Paolo III (Alessandro Farnese, 1534-1549) li lodò e consentì loro di essere ordinati sacerdoti.
Vennero ordinati a Venezia dal vescovo di Arbe (ora Rab, in Croazia) il 24 giugno. Si dedicarono alla preghiera ed ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto tra l'imperatore, Venezia, il Papa e l'Impero Ottomano rendevano impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme.
Con Faber e Lainez, Ignazio si diresse a Roma nell'ottobre del 1538 per far approvare dal papa la costituzione del nuovo ordine. Una congregazione di cardinali si dimostrò favorevole al testo preparato da Ignazio e Pp Paolo III confermò l'ordine con la bolla papale “Regimini militantis ecclesiae” (27 settembre 1540), limitando, però, il numero dei suoi membri a sessanta. Questa limitazione venne rimossa tramite una successiva bolla, la “Iniunctum nobis”, del 14 marzo 1543. L'ultima e definitiva approvazione della Compagnia di Gesù è stata data nel 1550 con la bolla “Exposcit debitum” di Pp Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi Dal Monte, 1550-1555).
Ignazio venne scelto come primo Preposito Generale e inviò i suoi compagni come missionari in giro per tutto il mondo per creare scuole, istituti, collegi e seminari.
Nel 1548, Ignazio fondò a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso “Primum ac Prototypum Collegium” ovvero “Messanense Collegium Prototypum Societatis”, e, quindi, prototipo di tutti gli altri collegi di insegnamento che i gesuiti fonderanno con successo nel mondo facendo dell'insegnamento la marca distintiva dell'ordine.
La regola di Ignazio diventò il motto non ufficiale dei gesuiti: “Ad Maiorem Dei Gloriam”. Tra il 1553 ed il 1555, Ignazio dettò al suo segretario, padre Gonçalves da Câmara, la storia della sua vita. Questa autobiografia, essenziale per la comprensione dei suoi Esercizi Spirituali, rimase però segreta per oltre 150 anni negli archivi dell'ordine, fino a che il testo non venne pubblicato negli “Acta Sanctorum”.
Rimasto a Roma per volere del papa, Ignazio coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e ad una cirrosi epatica mal curate; limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa. Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
 
Fu beatificato il 27 luglio 1609 da Pp Paolo V (Camillo Borghese, 1605-1621) e proclamato santo il 12 marzo 1622 da Pp Gregorio XV (Alessandro Ludovisi, 1621-1623).
 
Il 23 luglio 1637 il suo corpo fu collocato in un'urna di bronzo dorato, nella Cappella di sant'Ignazio della Chiesa del Gesù in Roma. La statua del Santo, in argento, è opera di Pierre Legros. La festa religiosa viene celebrata il 31 luglio, giorno del suo “dies natalis”.
 
Significato del nome Ignazio : «di fuoco,igneo» (latino).
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lunedì 30 luglio 2012

1696 - Commento al Vangelo del 30/7/2012


+ Dal Vangelo secondo Matteo (13,31-35)
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Molti Santi canonizzati e moltissimi cristiani, Santi davanti a Dio, in questi duemila anni di storia cristiana all’inizio del loro cammino di conversione erano spiritualmente piccoli come il granello di senape, erano tanti granelli di senape ignorati dai superbi e dai migliori, invisibili a coloro che considerano la vita come un continuo momento di esibizione per esaltare… le proprie miserie.
Tutti i Santi che preghiamo, all’inizio del cammino di santità erano impreparati, giorno dopo giorno si sono trasfigurati.
Quindi, la santità è accessibile a tutti, anche a coloro che in questo momento odiano Gesù o ad altri che non frequentano i Sacramenti, comunque ogni essere umano che conosce Gesù può raggiungere elevati stati di santità. Non vogliamo intendere solamente quella che viene pubblicamente riconosciuta in alcune anime particolari, il riferimento è a coloro che conducono una vita cristiana autentica e si sforzano di vincere ogni tentazione.
Oggi c’è molta confusione anche verso questo aspetto, la santità da un lato è ridicolizzata dai teologi modernisti e dai loro seguaci che hanno ascoltato le lezioni nelle facoltà di teologia, dall’altro lato all’interno della Chiesa si verificano situazioni di esaltazione forzata, c’è una vera gara tra chi vede di più Gesù e chi la Madonna, chi riceve messaggi e chi ispirazioni, chi si considera profeta e chi è convinto di saperne una più di Dio…
Cos’è allora la santità di vita? La santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta.
Lo ha affermato anche il Concilio Vaticano II, quindi i modernisti che hanno manipolato questo Concilio, considerano la santità come qualcosa di superato perché tutti siamo salvi… Non c’è motivo di pregare molto e di fare penitenze…
Queste affermazioni sono dei modernisti che stanno rovinando centinaia di milioni di buoni cattolici, per questola Madonna continua ad apparire a Medjugorje e a ripetere l’autentico insegnamento del Magistero della Chiesa. Tornerò su Medjugorje, prima voglio completare il discorso sulla santità che è la carità pienamente vissuta.
Nella teologia morale, la santità è la vocazione propria della vita cristiana che si realizza compiendo con amore i doveri del proprio stato.
Ma veniamo al significato di carità: intesa non come elemosina: “La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio”, così spiega il Catechismo della Chiesa. Carità quindi significa amore, chi agisce senza carità non è in comunione con Dio. Non può esserlo. Rileggiamo l’inno alla carità di San Paolo, la sua definizione è un ineguagliabile quadro:
“La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,4-7).
Sono arrivato alla carità parlando della santità di vita, possibile esclusivamente ai credenti che percorrono un autentico cammino spirituale. Senza letture spirituali, senza onestà intellettuale e la vittoria sui giudizi e senza la profonda preghiera giornaliera, non ci si solleverà mai da terra, si rimarrà sempre molto legati alla terra. Esteriormente possiamo assumere atteggiamenti spirituali, ma conta ciò che siamo dentro, questo guarda Gesù e non l’apparenza.
Per questa ragione innumerevoli volte vi ho indicato di leggere e meditare attentamente i messaggi di Medjugorje. Oltre a questo motivo, da molti anni considero per molti pellegrini che si recano proprio a Medjugorje, una gita turistica e nulla più, non rimane null’altro in essi se non la gioia del viaggio. La mia insistenza sui messaggi ha avuto sempre questi due motivi e continuo a ribadire la necessità di meditare i messaggi per conoscere la Madonna e comprendere meglio le apparizioni di Medjugorje.
È importante il pellegrinaggio in un Santuario mariano, in questi tempi si indica prevalentemente Medjugorje perché sono in corso le apparizioni, e il pellegrinaggio lì riesce bene se la guida è preparata e spirituale, soprattutto se è distaccata da altri interessi, ma considero altamente spirituale la Grotta di Lourdes e la Cappellina di Fatima. Non tanto per la loro indiscussa e riconosciuta credibilità, in questi due luoghi c’è un’atmosfera più spirituale, i pellegrini vi si recano con maggiore partecipazione e spinti spesso da situazioni di malattia.
Trascorrere anche mezza giornata a Fatima o a Lourdes è emozionante e toccante. Ma la Madonna vi ascolta in ogni luogo.
Per diventare lievito che fermenta, abbiamo bisogno della Madonna.
Ognuno di noi diventi lievito immerso nel mondo per la sua santificazione.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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1695 - San Pietro Crisologo, Vescovo


Pietro nasce ad Imola verso il 380; fu diacono di questa città e poi diacono e vescovo di Ravenna che, durante il suo episcopato, divenne metropoli ecclesiastica.
Pietro è uno dei più grandi pastori del suo tempo: predicatore famoso, e autore di stupendi sermoni pieni di pietà, si meritò il soprannome di “Chrysologus”, cioè “parola d’oro” e da Pp Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini, 1724-1730), nel 1729, il titolo diDottore della Chiesa.
Pietro visse l'ideale del vescovo che aveva tracciato in uno dei sermoni: “Essere in Cristo il libero servo di tutti”.
Nella sua vita c’è un momento ovviamente importantissimo per lui: quello della consacrazione a vescovo di Ravenna, tra il 431 e 433. Ma è importante pure tutto ciò che circonda l’evento. Innanzitutto c’è il papa in persona a consacrarlo: S. Sisto III , cioè l’uomo della pace religiosa dopo dissidi, scontri ed iniziative scismatiche, ispirate alle dottrine di Nestorio.
Quando Pietro tiene il suo primo discorso da vescovo, ad ascoltarlo, col papa, c’è anche Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, sorella dell’imperatore Onorio e ora madre e tutrice dell’imperatore Valentiniano III. E poi, intorno al vescovo, c’è Ravenna che ora è la capitale dell’impero, cerniera tra Oriente e Occidente. Ravenna, che manda e riceve corrieri da ogni parte, e quasi sempre con notizie tristi, perché l’impero è giunto alle sue ultime convulsioni.
In questa capitale e con questo clima, il vescovo Pietro guida la sua Chiesa con saggezza nel comando ma anche con un vivo interesse per le sorti materiali dei suoi fedeli, fornendo la città di un ricco acquedotto e promuovendo una vasta rete di carità.
Nella sua vita le date certe sono assai poche, ma la sua identità di uomo e di vescovo viene fuori chiaramente dai documenti che possediamo e dalle sue “parole d’oro” che ritroviamo nei circa 180 sermoni suoi che ci sono pervenuti. Inoltre, “la sua attività di predicatore ci ha lasciato soprattutto una documentazione inestimabile sulla liturgia di Ravenna e sulla cultura di questa città” (B. Studer). Una città che è formicolante crocevia di problemi e di incontri.
A trovare Pietro viene uno dei vescovi più illustri del tempo, Germano di Auxerre, che poi muore proprio a Ravenna nel 448, assistito da lui. Dall’Oriente lo consulta l’influente e discusso archimandrita Eutiche, in conflitto dottrinale col patriarca di Costantinopoli e con gran parte del clero circa le due nature in Gesù Cristo. Il vescovo di Ravenna gli risponde rimandandolo alla decisione del papa (che ora è Leone I) “per mezzo del quale il beato Pietro continua a insegnare, a coloro che la cercano, la verità della fede”.
 
Felice, vescovo di Ravenna dal 707 al 717, mise assieme una raccolta delle sue omelie, per un totale di centosessantotto; alcune di esse sono delle interpolazioni. Altre omelie scritte da Pietro sono invece incluse in altre raccolte sotto nomi diversi. In gran parte esse sono spiegazioni brevi e concise dei testi biblici. Pietro Crisologo spiegò in maniera molto bella il mistero dell’Incarnazione, le eresie di Ario e di Eutiche, il Simbolo apostolico; ha inoltre dedicato una serie di omelie alla Vergine Maria e a S. Giovanni Battista.
Gli studi di A. Olivar ci permettono oggi di avere un'idea sufficientemente precisa degli scritti autentici di Pietro Crisologo. Questi sono composti da una lettera, centosessantotto sermoni della Collectio Feliciana (sec. VIII) e quindici sermoni vari. Il Rotolo di Ravenna, così come altri scritti, non può essere attribuito a lui.
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1694 - Vita di Gesù (paragrafi 453-454)


Il segno di contraddizione. Urgenza del cambiamento di mente

§ 453. Insegnamenti di questo genere rovesciano la stratificazione dei pensieri umani. Non erano le elucubrazioni dei casuisti Parisei sull'uovo fatto dalla gallina di sabbato (§ 251) e sulle sciacquature di mani e di stoviglie prima di mangiare: era un incendio che metteva tutto a soqquadro in quel mondo concettuale giudaico, e che più tardi propagherà le sue fiamme anche in altri mondi. Lo riconobbe Gesù stesso, proclamando dopo le precedenti dichiarazioni: Un fuoco venni a gettare sulla terra, e che voglio se e' già acceso? Se è un fuoco, sarà una prova attraverso cui passeran­no i seguaci di Gesù. Vi passerà anzi, per primo, Gesù stesso: Ma d'un battesimo ho da esser battezzato, e come sono angustiato fino a che sia compiuto! Il metaforico battesimo di Gesù segnerà il divam­pare palese del fuoco; ma battesimo e fuoco sono ambedue una prova, il primo per Gesù, l'altro per tutta la terra. La prova della terra apporterà su essa, non già pace e concordia, ma guerra e discordia. Continua infatti Gesù descrivendo gli effetti della sua dottrina sulla terra: avverranno scissioni e lotte in una famiglia di cinque persone, e tre si schiereranno contro due, e due contro tre; il padre si metterà contro il figlio e viceversa, la madre contro la figlia e viceversa, la suocera contro la nuora e viceversa. Prima, tutti erano d'accordo; ma penetrato che sia in quelle cinque persone il messaggio di Gesù, è penetrata fra esse la discordia, perché alcuni lo benedicono e altri lo maledicono (Luca, 12, 49-53). Già il vecchio del Tempio, più di trenta anni prima, aveva contemplato Gesù quale segno contraddetto (§ 250): la persona di Gesù e la sua dottrina saranno il segno di contraddizione per tutto il genere umano. Anche qui lo storico odierno può facilmente riscontrare se queste idee espres­se venti secoli fa abbiano reale riscontro nei fatti storici di allora e dei secoli seguenti fino ad oggi. Intanto Farisei e Sadducei, mescolati con le turbe, seguivano passo passo Gesù mirando al loro scopo di raccogliere prove contro di lui. Gesù ne trasse occasione per rivolgere esortazioni in comune ad essi ed alle turbe. I giorni passano, gli eventi precipitano, e costoro invece di provvedere ai loro supremi interessi si arrovellano per ostaco­lare il regno di Dio. Ma non vedono essi ciò che accade attorno a loro? Non riconoscono i segni dei nuovi tempi morali? I segni dei tempi materiali essi sanno ben riconoscere quando di sera scorgono una nuvola che viene su da ponente, dicono subito che verrà la piog­gia; quando invece soffia vento da mezzogiorno, dicono che farà caldo; così infatti avviene. E dai segni morali manifestatisi da Gio­vanni il Battista in poi non scorgono essi, ipocriti, che è venuto il tempo di rinnovamento spirituale e di « cambiamento di mente » (§ 266)? Il vecchiume sarà inesorabilmente abolito; e vi sono ancora dei ciechi che non scorgono la novità che si attua, e pretendono ri manere attaccati al vecchiume? Aprano gli occhi, vedano, e giudichino essi stessi ciò ch'è necessario prima che sia troppo tardi (Luca, 12, 54-57).

§ 454. Un paio di fatti di cronaca offrirono di lì a poco occasione per tornare sullo stesso argomento. A Gesù, galileo, fu riferita in quei giorni la strage che il procuratore romano Pilato aveva fatta di cer­ti Galilei mentre offrivano sacrifizi nel Tempio (§ 26). Gesù allora, riferendosi alla vecchia opinione ebraica secondo cui il male materiale era sempre punizione di un male morale (§ 428), rispose: E cre­dete voi forse che quei Galilei rimasti uccisi fossero peccatori più di tutti gli altri Galilei, essendo capitata loro questa sorte? Tutt'altro; vi dico infatti che se non « cambierete di mente », tutti nella stessa guisa perirete. Col fatto recentissimo ne ricollegò poi Gesù un altro, avvenuto poco prima egualmente a Gerusalemme; ivi nel quartiere del Sibe (§ 428), cioè alla periferia dell'abitato, era crollata improv­visamente una torre che faceva parte del sistema difensivo della città, del quale scavi recenti hanno rimesso in luce varie tracce: crol­lando, la torre aveva travolto ed ucciso diciotto persone. Ebbene - soggiunse Gesù - credete voi che quei diciotto infelici fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti? Tutt'altro; vi dico infatti che se non abbiate “cambiato di mente”, tutti egualmente perirete (Lu­ca, 13, 1-5). Qual è la fine qui minacciata agli impenitenti. Si osservi come am­bedue i fatti citati quali esempi contengano una fine violenta, perché le vittime di Pilato muoiono di spada e le vittime della torre muoio­no schiacciate: erano le morti ordinarie nelle guerre e negli assedi di allora, e basta leggere la Guerra giudaica di Flavio Giuseppe per tro­vare ad ogni pagina morti di spada o di schiacciamento (oltreché di fame) durante tutto l'assedio di Gerusalemme. Qui dunque si minac­cia una fine tra violenze abitualmente guerresche, alle quali invece non era stato fatto alcun cenno nelle precedenti parabole dei servi che aspettano la venuta del padrone. Là infatti si trattava di un fatto assolutamente inevitabile, sebbene da attuarsi in un tempo ignoto, cioè della “venuta” del figlio dell'uomo il quale fisserà a ciascuno la propria sorte; qui invece la fine violenta è senz'altro evitabile, ba­stando a tale scopo ricorrere al “cambiamento di mente”. Le parole di Gesù sono nettissime nel loro dilemma O non cambierete di mente, e allora tutti perirete come nei due esempi; oppure cambie­rete di mente, e allora vi sottrarrete alla fine violenta degli esempi. Senza alcun dubbio il “cambiamento di mente” rappresenta qui lo scopo della missione di Gesù; questa missione è presentata come un'ultima dilazione offerta da Dio al prediletto popolo giudaico affinché si converta; in caso negativo, le minacce si eseguiranno. Tutto ciò è chiaramente confermato nella breve parabola soggiunta subito da Gesù. C'era un uomo il quale aveva nella sua vigna un albero di fichi che non faceva frutto. Disse pertanto al vignaiuolo: Son già tre anni che vengo a cercar frutti da quest'albero e non ne trovo; perciò taglialo via, giacché non dà frutto e isterilisce anche il terreno attorno! Ma il vignaiuolo intercedette: Padrone, lascialo stare ancora quest'anno. Io zapperò torno torno alle radici, ci met­terò letame, e poi vedremo: se darà frutto, bene; altrimenti, dopo quest'ultima prova, lo taglierai via! (Luca, 13, 643). Il simbolismo è trasparente. Già rilevammo che i tre anni di sterilità dell'albero sembrano alludere alla durata della vita pubblica di Ge­sù (§ 178), della quale allora correva appunto il terzo anno; ma checché sia di ciò, è chiaro che l'albero rappresenta il giudaismo, il padrone della vigna Dio, il vignaiuolo Gesù stesso. Ritorna quindi la minaccia di prima: in quest'ultima dilazione concessa all'albero, o esso darà frutti, ovvero finirà sotto i colpi d'accetta.
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domenica 29 luglio 2012

1693 - Commento al Vangelo del 29/7/2012, domenica 17^ t.ord.


+ Dal Vangelo secondo Giovanni (6,1-15)
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo. 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Dopo avere ricordato domenica scorsa Santa Maria Maddalena o Maria di Magdala, sorella di Lazzaro e Marta, oggi è la festa proprio di Santa Marta e del fratello San Lazzaro. Sono i tre fratelli di Betania molto vicini a Gesù per l’amore profondo che nutrivano per Lui. Come sappiamo Santa Maria Maddalena scoprì Gesù dopo diversi anni di vita immorale. Invece ricordiamo Santa Marta molto indaffarata nella grande casa di Betania, intenta a dare ordini ai domestici e a preoccuparsi eccessivamente delle cose umane, trascurando un po’ la preghiera.
La sua preoccupazione, comunque, era dettata da un grande senso di responsabilità e non da una ricerca di ricevere applausi, non si preoccupava di apparire brava cuoca o matrona perfetta. Era una donna molto buona e con una grande Fede in Gesù. Leggiamo due frasi che mostrano in una l’invito di Gesù a saper conciliare preghiera e lavoro, mentre nell’altra frase Marta mostra a Gesù una grande Fede in Lui dopo la morte del fratello Lazzaro.
«Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”» (Lc 10,41-42).
«Marta disse a Gesù: “Signore, se Tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli Te la concederà”» (Gv 11,21-22).
A questo punto mi piace raccontare il seguito di questa professione di Fede di Marta e trascrivere le imperiose parole di Gesù a Lazzaro morto da ben quattro giorni: “Gesù gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì dal sepolcro, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: “Scioglietelo e lasciatelo andare”» (Gv 11,43-44).
Quando il Sacerdote dà l’assoluzione al penitente al termine della Confessione, Gesù lo libera dai peccati, annulla tutti i peccati e comanda ai peccati confessati umilmente dal peccatore: “Scioglietelo e lasciatelo andare”.
Questa introduzione anche se interessante ha ridotto lo spazio da dedicare al Vangelo di oggi che considero molto profondo. Ma cosa non è bello nel Vangelo storico di Gesù? Ogni sua parola, ogni sua azione, ogni suo miracolo e le parabole, infiammano il cuore di amore ed aprono squarci di luce soprannaturale che ristora ed incanta.
Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci lo ha potuto compiere solo Gesù, Uomo e Dio, mentre i falsi profeti dell’antichità e dell’era moderna non hanno mai compiuto nulla di straordinario. Prendiamo ad esempio Sai Baba morto nel 2011, egli affermava di essere la manifestazione di Dio, quindi Dio Padre incarnato in lui, ma in vita non ha fatto mai un miracolo come viene inteso dagli onesti, cioè, la sospensione della legge fisica.
Sai Baba era un illusionista seguito da milioni di adepti, anche italiani facoltosi che gli portavano valigie piene di denaro per aggraziarsi questo falso profeta. Molti ex aderenti alla sua sètta hanno testimoniato che Sai Baba era un pervertito sessuale e che sbagliava profezie, l’ultima fu l’anno della sua morte che aveva indicato nel 2022. Morì invece 11 anni prima.
Vi chiedo: uno che si definiva un purnavatar, cioè l'avatar integrale, la definitiva manifestazione di “Dio”, capace di superare e di dare compimento alle precedenti rivelazioni, ancora imperfette, come quelle di Gesù Cristo o di Rama Krishna, doveva morire e sbagliare pure l’anno della morte?
Per non parlare di Maometto, quando gli chiesero di compiere un miracolo per dimostrare la sua missione divina, prima si chiuse in casa per molti giorni, poi ripose: “Io stesso sono un miracolo…”. Barzellette!
Sai Baba e Maometto non hanno mai compiuto un minuscolo miracolo, neanche l’accenno di qualcosa di soprannaturale, perché necessitava ad essi la presenza dello Spirito di Dio che solo Gesù possedeva in pienezza, anche nella moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ritorniamo a questo intrigante miracolo.
Sono due le frasi centrali del Vangelo di questa domenica:
«Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Diceva così per metterlo alla prova; Egli infatti sapeva quello che stava per compiere».
“Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”.
Ciò che colpisce i lettori attenti è l’assoluta dimenticanza del cibo e della stanchezza di migliaia di persone che ascoltavano Gesù, non pensavano più alle necessità del fisico perché le parole di Gesù e la sua presenza conquistavano tutte. Le folle non si preoccupavano del cibo ma però c’era Uno che si preoccupava dei loro bisogni alimentari, Gesù prestava attenzione a tutto ciò che gli succedeva intorno, conosceva bene le reali necessità di ogni singola persona. Persone che Lo avevano seguito per giorni erano in balia della fame, della sete, del riposo, eppure non se ne preoccupavano, ma Gesù si preoccupava di tutti loro.
Gesù è molto attento alle situazioni umane di coloro che affidano a Lui la loro vita, di quanti si preoccupano della condizione dell’anima e si sforzano di osservare i Comandamenti. Gesù è sempre presente accanto a voi che pregate ogni giorno, ma per Lui agire deve trovare purità d’intenzione e onestà intellettuale. Gesù non agisce dove si pecca intenzionalmente o si servono due e più padroni.
Abbiamo letto nel racconto alla Valtorta che i pani e i pesci si moltiplicavano all’interno dei cesti e più i discepoli ne distribuivano più i cesti si riempivano, tanto che la moltitudine delle persone ne mangiò abbondantemente fino a saziarsi. Gesù anche in questa circostanza ha manifestato la sua magnanimità con l’abbondanza. Così dobbiamo agire noi, non solo dobbiamo accorgerci delle necessità degli altri, dobbiamo anche essere generosi e disinteressati nel fare del bene. Dio ci ricompenserà mille volte di più.
La seconda frase presa in considerazione, è l’affermazione di Gesù di raccogliere i pezzi avanzati. Si badi che le migliaia di persone avevano mangiato abbondantemente, “quando furono saziati” rimasero addirittura incalcolabili pezzi di pane e molti pesci, e non dobbiamo dimenticare che erano apparsi dal nulla. Quando si parla della moltiplicazione dei pani e dei pesci chi si pone la domanda: ma da dove vengono? Questo è il dilemma per molti, ma Dio crea tutto dal nulla, può far trovare improvvisamente su una tavola o in altro posto, il miglior pane del mondo e in miliardi di pezzi. A Lui tutto è possibile.
Raccogliere i pezzi avanzati è anche l’invito a dare valore alle cose piccole, che sembrano insignificanti mentre in realtà se si uniscono formano una grande opera. Raccogliere i pezzi avanzati è l’invito a dare importanza alle cose che sembrano ininfluenti, inutili, marginali. Invece l’ordine nella persona si completa con tante piccole azioni fatte bene, con amore, affabilità, pazienza, cordialità.
La nostra giornata è fatta di cose che spesso non hanno rilievo, tantissime cose apparentemente insignificanti compiute bene e per amore di Gesù, diventano virtù e atti eroici. D’altronde, la santità o perfezione umana si forma giorno per giorno, con un insieme di ripetuti piccoli atti virtuosi che diventano nel tempo grandi atti eroici!
Chi è fedele nel poco riesce a rimanere fedele anche nelle prove più impegnative e dolorose!
È evidente che senza la vera preghiera, le ore e le giornate sembrano spesso noiose, ripetitive, senza senso, si arriva a cadere nella routine. Per il seguace di Gesù non è così, egli riesce a dare significato ad ogni ora, ogni giornata, perché è l’amore a determinare la gioia e la pace interiore, arrivando a possederle stabilmente.
Raccogliere i pezzi avanzati significa pure che Gesù ogni giorno ci attende con le mani aperte per mettere tutte quelle piccole opere che abbiamo compiuto nel suo Nome e per suo Amore. Gesù in ogni istante ci chiede qualcosa, anche una preghierina, un gesto di amore verso il prossimo, la pratica di una virtù piccola o grande.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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1692 - Santa Marta di Betania

Marta è la sorella di Maria e di Lazzaro di Betania, un villaggio a circa tre chilometri da Gerusalemme. Nella loro casa ospitale Gesù amava sostare durante la predicazione in Giudea. In occasione di una di queste visite compare per la prima volta Marta. Il Vangelo ce la presenta come la donna di casa, sollecita e indaffarata per accogliere degnamente il gradito ospite, mentre la sorella Maria preferisce starsene quieta in ascolto delle parole del Maestro. Non ci stupisce quindi il rimprovero che Marta muove a Maria: "Signore, non t'importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". 
L'amabile risposta di Gesù può suonare come rimprovero alla fattiva massaia: "Marta, Marta, tu t'inquieti e ti affanni per molte cose; una sola è necessaria: Maria invece ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta". Ma rimprovero non è, commenta S. Agostino: "Marta, tu non hai scelto il male; Maria ha però scelto meglio di te". Ciononostante Maria, considerata il modello evangelico delle anime contemplative già da S. Basilio e S. Gregorio Magno, non sembra che figuri nel calendario liturgico: la santità di questa dolce figura di donna è fuori discussione, poiché le è stata confermata dalle stesse parole di Cristo; ma è Marta soltanto, e non Maria né Lazzaro, a comparire nel calendario universale, quasi a ripagarla delle sollecite attenzioni verso la persona del Salvatore e per proporla alle donne cristiane come modello di operosità. L'avvilita e incompresa professione di massaia è riscattata da questa santa fattiva di nome Marta, che vuol dire semplicemente "signora". 
Marta ricompare nel Vangelo nel drammatico episodio della risurrezione di Lazzaro, dove implicitamente domanda il miracolo con una semplice e stupenda professione di fede nella onnipotenza del Salvatore, nella risurrezione dei morti e nella divinità di Cristo, e durante un banchetto al quale partecipa lo stesso Lazzaro, da poco risuscitato, e anche questa volta ci si presenta in veste di donna tuttofare. La lezione impartitale dal Maestro non riguardava, evidentemente, la sua encomiabile laboriosità, ma l'eccesso di affanno per le cose materiali a scapito della vita interiore. Sugli anni successivi della santa non abbiamo alcuna notizia storicamente accertabile, pur abbondando i racconti leggendari. 
I primi a dedicare una celebrazione liturgica a S. Marta furono i francescani, nel 1262, il 29 luglio, cioè otto giorni dopo la festa di S. Maria Maddalena, impropriamente identificata con sua sorella Maria. 
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sabato 28 luglio 2012

1691 - Commento al Vangelo del 28/7/2012


+ Dal Vangelo secondo Matteo (13,24-30)
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Come nei campi che si coltivano anche nel campo del mondo la zizzania cresce insieme al buon grano e molto spesso è la zizzania a padroneggiare, a vendere ipocrisia, a causare la rovina di persone, di famiglie, di dignità.
Per sua propria definizione la zizzania danneggia sempre qualcosa e qualcuno, nel campo ha la maledizione di danneggiare le coltivazioni, nelle relazioni sociali o in questa società la zizzania è una malattia morale che arreca molto spesso danni irreparabili. La zizzania è una disgrazia sia per chi la diffonde sia per chi ne  è colpito. Mentre chi ne rimane colpito è vittima davanti a Dio e riceverà abbondanti consolazioni e Grazie, chi invece è carnefice si attira la condanna di Dio.
La zizzania è conosciuta come un’erba che cresce spontanea nei campi di grano e causa esclusivamente rovine, è anche la malerba presente nella persona agitata e distrugge la sua vita spirituale.
La zizzania è una rovina, il modo per mettere discordia, inserire grave dissenso verso qualcuno o qualcosa. Mettere zizzania tra le persone e suscitare litigi o fatti anche peggiori, è sicuramente un’azione diabolica. I diavoli agiscono così, essi vogliono la rovina dell’umanità cominciando da ogni singola persona, senza tralasciare alcuna opportunità che viene data da quanti non riescono a controllare la lingua, la quale, diventa più tagliente di una spada e più velenosa di un serpente.
La zizzania è velenosa come la vipera di Russel, il serpente più letale al mondo, capace di uccidere diecimila persone l’anno.
Vediamo da dove nasce questa zizzania. Nel terreno la trovi mescolata con il buon grano, proprio come le cattive persone si mescolano in mezzo a quelle oneste. Questo esiste da quando esiste il mondo, infatti, Caino uccise il fratello Abele, ed erano tutti e due figli di Adamo ed Eva, le prime creature esistenti sulla terra.
La Genesi racconta che Caino era un contadino e offrì i frutti della terra al Signore il quale non li considerò buoni e non li accettò. Suo fratello Abele, un pastore, offrì pure i suoi doni al Signore il quale li accettò. Evidentemente Dio accettava le buone opere di Abele e rifiutava le malvagità di Caino, il quale non accettò la decisione di Dio e mise zizzania nel suo cuore disperato e tra i suoi.
L’assoluta mancanza di tranquillità causò a Caino un violento attacco di gelosia, così decise di condurre il fratello Abele in un campo e lo uccise. Dio aveva visto tutto ma volle pure provarlo, chiedendogli notizie su suo fratello, ma Caino rispose con la frase diventata famosissima: “Sono forse io il custode di mio fratello?”.
Allora la zizzania nasce dove c’è qualcosa di malvagio, di ingannevole, di deprimente. La persona insoddisfatta o incapace di controllare la volontà, maliziosa e piena di pensieri che circolano nella mente senza saperne la provenienza, spesso utilizza la lingua per causare intenzionalmente litigi, separazioni tra sposi ed amici, per distruggere la dignità altrui, per emarginare qualcuno e prenderne il posto.
La zizzania è ben diversa dal giudizio, alle volte il giudizio viene espresso come valutazione anche se sbagliata. Invece la zizzania vuole colpire una persona per danneggiarla, vuole mangiare la sua dignità, denigrandola in modo subdolo per farla cadere in disgrazia, o all’interno della famiglia, di una comunità religiosa, tra gli amici, nell’ambiente di lavoro.
Se valutiamo la parabola della zizzania ci accorgiamo che questa erba “letale” cerca di rovinare la crescita del buon grano, ma la cosa che deve far riflettere è che la zizzania non la riconosci subito, infatti si mimetizza con il buon grano, ed è per questa ragione che Gesù insegna che non si deve tagliare mentre cresce il grano.
Verrà il tempo della mietitura, Gesù inevitabilmente interverrà per dare premi ai buoni e condanne ai cattivi.
C’è sempre un nemico che semina la zizzania in mezzo al grano, il nemico può essere satana oppure quelli che non amano.
La sofferenza in coloro che hanno patito diffamazioni e ingiustizie in famiglia, al lavoro, tra gli amici, a causa della zizzania è enorme, perché oltre le conseguenze dannose che possono arrecare le insinuazioni, hanno anche la sorpresa di conoscere, per esempio, che un parente “semina” la morte della loro dignità, per causare strani litigi tra persone che si volevano bene.
Ho usato il termine insinuazioni perché lo considero quello più diabolico utilizzato anche dai seminatori di zizzania. Non dicono un’accusa verso qualcuno in modo chiaro, dicono poche parole per lasciare intendere chissà cosa… “Se tu sapessi”. “Non sai cosa ha commesso quella donna sposata”. “Chissà dove trova tutti quei soldi quella famiglia per vivere agiatamente”. “Non sai cosa mi ha detto di te quella persona X”. “Non ti dico quello che ho visto fare a quella donna (o quell’uomo)”.
Insinuazioni simili se ne possono raccontare migliaia al giorno, ma se non hanno fondamento e se non c’è alcuna ragione per pronunciarle, sono peccati mortali. Perché l’insinuazione è l’arte di non dire, lasciando intendere di non poter dire cose gravissime. L’insinuazione è una maldicenza non esplicita, è una maliziosa allusione per gettare il sospetto su qualcuno.
L’insinuazione non è meno grave della zizzania, è l’anticipazione, la preparazione a espressioni più gravi ma inesistenti.
Chi semina zizzanie diventa nemico di se stesso e nemico di Gesù, dell’Amore che ama tutti indistintamente.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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Medaglia di San Benedetto