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lunedì 25 giugno 2018

SC 197 Commento al Vangelo di lunedì 25.06.2018 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

+ Dal Vangelo secondo Matteo (7,1-5)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
È naturale in ogni persona spiritualmente debole, la debolezza di osservare il comportamento degli altri e quasi sempre di giudicarlo, prevalentemente in modo negativo. È l’inclinazione umana a trasportare istintivamente tutte le persone lontane dalla comunione con Gesù, a valutare gli altri senza prima guardarsi dentro.
Si dirà che è secondo natura la debolezza spontanea in molti, è vero, non dimentichiamo comunque che Dio ha donato il Sacramento del Battesimo per l’eliminazione del peccato originale, ha inviato molti Profeti per annunciare chi è Lui, fino a donare al mondo il Figlio per far conoscere l’unica Via che conduce alla felicità e al Paradiso.
Il problema che ci pone oggi Gesù non è secondario nella vita spirituale, in realtà riguarda indistintamente tutti, anche i non credenti. L’atteggiamento disinvolto di molti nell’osservare la pagliuzza nell’occhio altrui senza vedere le travi nei loro occhi, non li rende certamente migliori sotto ogni aspetto.
La debolezza per tutti gli esseri umani che non compiono un vero cammino spirituale è la superbia, essa tende a vedere ingrandite le mancanze altrui e a ridurre e scusare le proprie. Per superare questo grave comportamento che spinge a vivere “fuori di sé”, si deve iniziare con l’evitare i giudizi negativi sugli altri.
“Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi”.
Nessuno è esente della superbia fin dalla nascita, molti rimangono per tutta la vita con questo vizio che viene accresciuto di continuo, tutte le volte che agiscono senza amore. Invece in quanti comprendono l’importanza del rinnegamento e fanno penitenze, la terribile superbia diminuisce, fino a ridursi a poca cosa.
Anche se la superbia rimane presente, chi è elevato nella spiritualità riesce a controllarsi in ogni circostanza. Sa evitare con prontezza i giudizi e se espone qualche situazione è dovuta alla necessità di far conoscere ciò che è utile a chi ascolta.
A causa della nostra personale superbia, si ingrandiscono le mancanze altrui anche minime, mentre per contrasto si tende a minimizzare e a scusare i nostri maggiori difetti. Di più, la superbia tende a proiettare negli altri quel che in realtà sono imperfezioni ed errori propri.
Si deve cercare di acquisire le virtù che si ritiene manchino ai nostri fratelli e non vedremo più i loro difetti, perché saremo noi a non averli.
L’umiltà, al contrario, esercita il suo benefico influsso su quelle virtù che favoriscono una convivenza umana e cristiana.
Solo la persona umile è in condizione di perdonare, di comprendere e di aiutare, perché solo lei è cosciente di aver ricevuto tutto da Dio, e conosce le proprie miserie e sa quanto ha bisogno della misericordia divina.
Ecco che questa persona non giudica con malizia, tratta il suo prossimo con comprensione, scusando e perdonando quando fosse necessario.
D’altra parte, il discernimento di quanti non sono elevati nella vita spirituale, riguardo le azioni altrui sarà sempre assai limitato. Solo Dio, infatti, conosce le intenzioni più intime, legge nei cuori e sa dare a tutte le circostanze che accompagnano un’azione, l’autentico valore.
Possiamo immaginare tutto il male che si arreca alle persone oneste e innocenti, con i racconti falsi e bugiardi che hanno la finalità di renderli inaffidabili, forse per allontanare da esse chi ascolta. A Gesù è successo moltissime volte, così a Padre Pio, a Natuzza Evolo e a tutti quelli che restano nella verità, sia per la loro vita onesta sia per la fedeltà al Vangelo.
Si cade con facilità nel giudizio temerario se si vive nella falsità. Consiste nel comportamento di chi “anche solo tacitamente, ammette come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo”, è scritto nel Catechismo del 1992 al numero 2477. Questo peccato consiste in ciò che comunemente si chiama “pensare male” ma senza alcuna prova morale.
C’è l’intenzione consapevole di danneggiare o distruggere la buona reputazione altrui.
L’atteggiamento corretto è quello di astenersi dal giudicare le intenzioni, è meglio pensare che forse il colpevole non si rende conto di quello che fa, o della sua gravità, che ha avuto una cattiva formazione, o altre giustificazioni simili.
Gesù ha detto di non giudicare, ha anche ammonito dal non giudicare secondo le apparenze ma con giusto giudizio. Così faceva con i farisei.
Dobbiamo imparare a scusare i difetti, palesi e innegabili, di coloro che frequentiamo ogni giorno, né i loro errori devono indurci a privarli della nostra stima. Impariamo da Gesù, che non può scusare completamente il peccato di coloro che Lo stanno crocifiggendo; ne diminuisce la malizia, adducendo l’ignoranza.
Quando non è possibile scusare il peccato, rendiamolo almeno degno di compassione, attribuendo alla causa più comprensibile che si possa pensare, quali l’inconsapevolezza, l’irresponsabilità e la debolezza.
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