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martedì 24 aprile 2018

SC 135 Commento al Vangelo di martedì 24.04.2018 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (10,22-30)
Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel Tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se Tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Succede anche a molti cattolici porsi domande sull'esistenza di Dio e questo in un momento di debolezza ci può stare, ma la Fede immediatamente li deve risollevare dal dubbio. Questi cattolici vengono compresi da Dio perché vede la loro debole Fede e li aiuta. Il dubbio si vince con la preghiera più umile e devota, con la meditazione del Vangelo.
Invece i giudei erano prevenuti contro Gesù, nonostante i miracoli strabilianti non volevano accettare il suo essere Figlio di Dio. Gli dicevano: Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se Tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”. Una domanda insensata e priva di onestà. Essi sapevano bene come si era presentato Gesù, e risponde a loro ripetendo nuovamente quanto già aveva detto.
“Ve l’ho detto, e non credete; le opere che Io compio nel Nome del Padre mio, queste danno testimonianza di Me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e Io le conosco ed esse mi seguono”.
La risposta è completa e chiarificatrice: quei giudei nutrivano dubbi perché non erano seguaci del Cristo, anche se le loro parole volevano dimostrare il contrario. Il dubbio assale i più deboli e gli scettici, trovano “conforto” rimescolando le loro incertezze per giustificare i loro numerosi peccati.
Il cristiano può commettere molti peccati e causa danni pericolosi a se stesso, non a Dio, e i peccati gravi e ricercati con affetto contribuiscono ad aumentare in lui una decadenza morale che alimenta l’aridità spirituale che fa perdere il contatto con Gesù, quindi, non avverte più la necessità e la gioia della preghiera.
Mentre offende Dio e danneggia se stesso, il peccatore si rende pure responsabile della cattiva testimonianza e degli influssi negativi legati al suo comportamento. Anche quando il peccato è interiore, produce comunque un peggioramento della condizione umana e costituisce una diminuzione di quel contributo che ogni uomo è chiamato a dare al progresso spirituale della comunità umana.
Oltre a tutto ciò, i peccati dei singoli consolidano quelle forme di peccato sociale che sono appunto frutto dell’accumulazione di molte colpe personali. Le vere responsabilità restano ovviamente delle persone, dato che la struttura sociale in quanto tale non è soggetto di atti morali.
Scriveva San Giovanni Paolo II nell'Esortazione post-sinodale, Reconciliatio et poenitentia: “Il peccato, in senso vero e proprio, è sempre un atto della persona, perché è un atto di libertà di un singolo uomo, e non propriamente di un gruppo o di una comunità. Quest'uomo può essere condizionato, premuto, spinto da non pochi né lievi fattori esterni, come anche può essere soggetto a tendenze, tare, abitudini legate alla sua condizione personale.
In non pochi casi tali fattori esterni e interni possono attenuare, in maggiore o minore misura, la sua libertà e, quindi, la sua responsabilità e colpevolezza. Ma è una verità di fede, confermata anche dalla nostra esperienza e ragione, che la persona umana è libera.
Non si può ignorare questa verità, per scaricare su realtà esterne -le strutture, i sistemi, gli altri- il peccato dei singoli. Oltretutto, sarebbe questo un cancellare la dignità e la libertà della persona, che si rivelano -sia pure negativamente e disastrosamente- anche in tale responsabilità per il peccato commesso. Perciò, in ogni uomo non c'è nulla di tanto personale e intrasferibile quanto il merito della virtù o la responsabilità della colpa”.
La mancata cura della propria vita spirituale svuota di continuo sia il cristiano che il non credente e toglie man mano il bene che possedevano, i valori morali o solamente umani che praticava il non credente. Senza Gesù la vita è un’agonia anche per i ricchi, sono principalmente i ricchi ad avere maggiori preoccupazioni e a smarrire con maggiore facilità la pace interiore, ma hanno sempre la possibilità di ricominciare il cammino e di trovare la vera pace che dona il Signore.
Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8,36).
L’anima non si vede ma si avverte quando la tristezza invade la persona, e solo in una direzione si dirige la persona che non prega e non pensa all’anima: scivola verso i bassi istinti, i suoi pensieri sono sempre opposti alla realtà, si inorgoglisce e diventa categorico nelle sue opinioni, è abbattuto e non riesce a gioire con sincerità.
L’anima non si vede ed è presente in tutta la persona, ma oggi chi si preoccupa dell’anima?
Chi riflette che è immortale e continuerà a vivere dopo la morte e il disfacimento del corpo?
Tutti gli uomini hanno sempre la possibilità di convertirsi e di diventare anche Santi, finché sono pellegrini in questo mondo.
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