La donna rattrappita e l'uomo idropico. Questioni conviviali
§ 455. Fecero effetto queste minacce? Divampava l'incendio acceso da quel fuoco che Gesù era venuto a gettare sulla terra? In altre parole, si stava attuando il “cambiamento di mente” che ripudiava il vecchiume formalistico e ricercava lo spirito nuovo? A queste domande Luca non dà una risposta esplicita, ma sembra bene che ne dia una implicita mediante un aneddoto ch'egli soggiunge alle narrazioni precedenti, e che mostra come il formalismo rabbinico gravasse quale cappa di piombo sugli spiriti e non fosse stato neppure scalfito dalle minacce di Gesù. L'aneddoto è quello della donna rattrappita guarita di sabbato (Luca, 13, 10-17); senonché lo stesso evangelista, indulgendo alla sua predilezione per i quadretti abbinati, poco dopo questo aneddoto fa seguire l'altro somigliantissi mo dell'uomo idropico guarito egualmente di sabbato (14, 1-6). I due quadretti si richiamano logicamente l'un l'altro, come una ripetuta e sfiduciata risposta alle precedenti domande sull'efficacia della predicazione di Gesù, ed è quindi opportuno presentarli affiancati; tuttavia, egualmente dai dati di Luca confrontato con gli altri evangelisti, appare che i due fatti sono cronologicamente staccati, e che la donna fu guarita poco prima della festa della Dedicazione e nella Giudea, l'uomo invece poco dopo quella festa e probabilmente nella Transgiordania. Gesù dunque, durante la sua peregrinazione nella Giudea, si recò di sabbato in una sinagoga e si mise a predicare. Tra i presenti era una donna malata da diciotto anni - forse di artrite o anche di paralisi - e così rattrappita che non poteva in nessun modo alzar la testa e guardare in alto. Vistala, Gesù la chiamò e le disse: Donna, sei disciolta dalla tua malattia; e le impose le mani. Quella, raddrizzatasi all'istante, si dette a ringraziare e glorificare Dio. L'archisinagogo che presiedeva all'adunanza (§ 64) s'indignò per quella guarigione fatta di sabbato; non osando però abbordare direttamente Gesù, se la prese con la folla arringandola stizzito: Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare: in essi dunque venite a farvi curare, e non nel giorno del sabbato! Per quello zelante archisinagogo la guarigione miracolosa non significava nulla, il sabbato invece - che del resto non era stato violato - significava tutto. Gesù allora rispose a lui e agli altri della mentalità di lui: Ipocriti! ognuno di voi di sabbato non scioglie forse il suo bove o l'asino dalla mangiatoia, e (lo) conduce ad abbeverare? Infatti, sciogliere o stringere un nodo di fune era compreso in quei 39 gruppi di azioni ch'erano proibite di sabbato (§ 70); ma nella pratica, trattandosi delle bestie domestiche, si provvedeva in una maniera o un altra al loro sostentamento. Messo ciò in chiaro, Gesù argomenta a fortiori concludendo: E costei ch'e' figlia di Abramo, e che il Satana legò or e diciotto anni, non bisognava che fosse sciolta da questo legame nel giorno di sabbato? Al Satana erano fatte risalire comunemente malattie di ogni genere (§ 78). Se dunque c'era un giorno più opportuno di tutti per dimostrare la vittoria di Dio sul Satana, cioè del Bene sul Male, era appunto il sabbato, il giorno consacrato a Dio: quindi Gesù, meglio d'ogni altro, era penetrato nello spirito del sabbato, operando appunto in esso quella vittoria di Dio sul Satana.
§ 456. Al ragionamento di Gesù la folla assenti cordialmente; quanto ai suoi avversari, Luca dice che rimasero confusi, ma ciò non significa che assentissero al ragionamento. Già vedemmo che l'osservanza rabbinica del sabbato era uno dei piloni su Cui troneggiavano i Farisei e che non doveva mai crollare (§ 431). Anche se i fatti miracolosi smentivano quell'osservanza, ciò non significava nulla si trascurassero i fatti e si bestemmiasse lo Spirito santo (§ § 444, 446), purché rimanesse il sabato farisaico. Il quadretto corrispondente si svolge, non in sinagoga, ma in casa di un insigne Fariseo che ha invitato Gesù a prender cibo da lui. E’ di sabato, e i Farisei stanno spiando. Ecco che un uomo idropico si presenta a Gesù, attirato forse dalla sua fama di taumaturgo e sperando d'esser guarito. Gesù allora si rivolge ai legisti e ai Farisei dicendo: E’ lecito di sabato curare o no? Quelli rimasero in silenzio, sebbene per molti casi la questione fosse già stata trattata e decisa dai dottori della Legge (§ 71). Continuando il silenzio, Gesù tira per mano a sé l'idropico, lo guarisce e lo licenzia; quindi dice ai silenziosi: Chi di voi avendo il figlio o il bove che cada in un pozzo, non lo ritira su subito in giorno di sabbato? - Ma anche questa domanda rimane, secondo Luca, senza risposta. Appare a prima lettura che i due aneddoti sono somigliantissimi; solo che in quello dell'idropico gli avversari di Gesù non si mostrano acrimoniosi e si limitano a tacere. Poiché questo fatto sembra avvenuto in Transgiordania, bisognerebbe concludere che i Farisei e i legisti di quella zona, più remota da Gerusalemme, fossero un po' meno fanatici e gretti di quelli della Giudea, i quali stavano sotto l'immediata influenza della capitale.
§ 457. La mancanza d'acrimonia in questi Farisei d'oltre Giordano appare anche dalla circostanza che il convito si protrasse a lungo e vi furono trattate senza astio varie questioni, cominciando da quella dei primi posti. Quei bravi Farisei non sarebbero stati Farisei se non fossero venuti a diverbio per occupare a mensa i posti più vicini al padron di casa e più onorifici: Quel divano spetta a me! - Spetta invece a me, che sono più degno! - Più degno tu? Chi credi di essere? - Io sono più anziano e più dotto di te; cedimi il posto! - E così di seguito. Per gente che viveva soprattutto di esteriorità, siffatte questioni di etichetta erano capitali. Gesù intervenne commentando il diverbio, e volle confondere i litiganti mostrando come la loro vanità non fosse neppure abbastanza sagace nello scegliere i mezzi per trionfare. Disse egli: Quando (tu) sia invitato da alcuno a nozze, non ti adagiare sul primo divano, affinché non (avvenga) per caso che uno piu' degno di te sia invitato da lui, e venuto colui che invitò te e lui ti dica: « Da' posto a costui! » e allora (tu) cominci ad occupare con vergogna l'ultimo posto. Quando invece (tu) sia invitato, va' ad adagiarti all'ultimo posto, affinché quando venga chi ti ha invitato ti dica: « Amico, sali piu' in alto! ». Allora avrai gloria al cospetto di tutti i tuoi commensali: poiché chiunque s’innalza sarà abbassato, e chi s'abbassa sarà innalzato. Confusa in tal modo la vanità degli invitati con la considerazione della loro propria imperizia, restava da mettere a posto l'atteggiamento dell'invitante, e in genere di tutti gli invitanti che troppo spesso agivano per vanagloria congiunta col tornaconto materiale; inoltre, agli invitati e agli invitanti, la lezione sul convito materiale poteva giovare per una sfera più alta, ricordando loro le norme e i vantaggi di un certo convito spirituale. Perciò Gesù, rivolgendosi all'invitante, proseguì: Quando (tu) faccia un pranzo o una cena, non chiamare i tuoi amici nè i tuoi fratelli né i tuoi parenti né ricchi vicini, affinché non (avvenga) per caso che pure essi ti invitino alla loro volta, e tu abbia il contraccambio. Ma quando (tu) faccia un ricevimento, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e beato sarai, perché non hanno da contraccambiarti! Il contraccambio infatti ti sarà dato nella resurrezione dei giusti. Strettamente affine a questa norma è quella contenuta nel logion ignoto ai quattro vangeli ma attribuito a Gesù da S. Paolo: E cosa piu' beata dare che ricevere (§ 98). La base comune a tutte queste norme è sempre quella dei Discorso della montagna, cioè una sanzione non terrena ma ultraterrena (§ 319): qui essa è chiamata resurrezione dei giusti, altrove regno dei cieli oppure venuta del figlio dell'uomo, ma è in sostanza la stessa base che sorregge tutto l'edificio della dottrina di Gesù, mentre tolta questa base l'edificio crolla e la dottrina non ha più senso. Erano perfettamente logici e conseguenziari gli antichi pagani di cui parla S. Paolo, i quali, dal momento che negavano questa base ultraterrena alla dottrina di Gesù (cfr. Atti, 17, 32), trovavano che la stessa dottrina era una stoltezza (I Corinti, 1, 23). Ancora oggi, le posizioni dialettiche non sono affatto mutate, e la dottrina di Gesù è ancora definita o stolta o divina, a seconda che si respinge o si accetta quella sua base.
§ 458. Con l'idea della ricompensa ultraterrena quegli invitati erano stati sollevati - come appunto voleva Gesù - al pensiero di un convito spirituale. Allora uno di essi esclamò: Beato chi mangerà cibo nel regno d'iddio! Gesù prese occasione per presentare il regno di Dio quale un convito servendosi di una parabola, la quale è riportata sia da Luca (14, 16-24) sia da Matteo (22, 2-14). Le due recensioni sono differenti fra loro in parecchi accessori, ma soprattutto perché quella di Matteo ha per aggiunta uno sviluppo abbastanza lungo (22, 11-14) che non trova corrispondenza nella recensione di Luca. Recitò Gesù una sola volta la parabola nella forma più ampia di Matteo, che poi fu accorciata da Luca? Oppure la recitò nella forma più corta di Luca, che poi fu ampliata da Matteo con un frammento di altra parabola affine? Oppure la recitò più volte in forme diverse? Si è molto discusso su queste domande; la risposta più probabile sembra essere che Gesù abbia impiegato più volte nelle sue parabole questo tema generico del convito - come del resto facevano anche i rabbini - pur con mire alquanto diverse secondo le circostanze. La recensione pertanto di Matteo risulterebbe dalla fusione di due parabole conviviali di Gesù: la prima (22, 2-10) corrisponde sostanzialmente a quella di Luca; la seconda (22, 11-14) sarebbe soltanto la parte conclusiva di un'altra parabola, il cui antefatto manca perché nella redazione odierna si giudicò che la somigliante parabola di Luca lo sostituisse bastevolmente. Nella recensione lucana la parabola è la seguente.
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