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lunedì 25 giugno 2012

1610 - Vita di Gesù (paragrafi 409-412)


§ 409. Alla rinfusa, poi, in quei giorni impiegati nella formazione spirituale dei discepoli Gesù impartiva loro altre norme, man mano che se ne presentava l'occasione(Marco, 9, 41 segg., e paralleli): Chi darà un bicchier d'acqua ai discepoli di Gesù in quanto tali, non rimarrà senza ricompensa. Chi scandalizza uno di coloro che credendo in Gesù sono ridiven­tati piccoli come bambini, sarà meglio per lui che legatagli con una corda al collo una mola asinaria sia gettato in mare; a questo ser­vizio si prestava benissimo la mola inferiore (delle due pietre che formavano la macina da grano mossa da asini), la quale pietra era bucata per far scorrere in basso la farina, e attraverso il foro sa­rebbe passata la corda. Si deve far attenzione a non disprezzare uno dei piccoli in ispirito, perché i loro angeli tutelari contemplano sempre il volto del Padre celeste. Se un fratello ha mancato, sia ripreso in segreto a quattr'occhi: se ascolta, è stato guadagnato un fratello. Se non ascolta, si prendano uno o due testimoni per regolarsi conforme alla prescrizione della Legge mosaica (Deuteronomio, 19, 15-17). Se ancora non ascolta, sia deferito alla Chiesa; e se non ascolta neppure la Chiesa, sia considerato com'è considerato nel giudaismo un pagano e un pubblicano, ossia come un estraneo alla comune vita spirituale. Però quanto gli Apostoli, costituenti la Chiesa, legheranno o scioglie­ranno sulla terra sarà anche legato o sciolto in cielo (§ 397). Quando due concordino sulla terra a chiedere qualche cosa, sarà loro concessa dal Padre celeste. Poiché dove siano congregati due o tre in nome di Gesù, anche Gesù è in mezzo a loro. La primitiva catechesi, trasmettendoci queste sentenze, mostrò di scorgere in esse le norme che dovevano regolare la vita sociale dei seguaci di Gesù e lo stampo su cui doveva plasmarsi la Chiesa del­le prime generazioni. Ma la norma di denunziare il fratello colpevole e pervicace risve­gliò nel cervello di Pietro una difficoltà: Signore, quante volte pec­cherà contro di me il mio fratello e io gli rimettero'? Fino a sette volte? Il numero sette era tipico e sacro nel giudaismo, e qui Pietro si mostra ancora magnanimo, giacché nel secolo appresso Rabbi Jehuda sentenzierà che Dio perdona fino alla terza volta ma non la quarta (loma, 86 b, Bar.; allusione ad Amos, 2, 4). Con tutto ciò la magnanimità di Pietro sembra pusillanimità a Gesù, il quale re­plica: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette! cifra convenzionale per indicare una quantità illimitata. Secondo Pietro, infatti, il precetto del Discorso della montagna di offrire l'altra guancia a chi dia uno schiaffo doveva valere solo sette volte, e all'ottavo schiaffo il precetto era abolito; invece, secondo l'ora­tore del Discorso della montagna, l'ottavo schiaffo era sempre il primo e quindi il precetto era sempre valido. E perché mai?

§ 410. Il perché fu spiegato da Gesù con una parabola. C'era un potente re che un bel giorno volle fare il bilancio di cassa, e per­ciò chiamò alla resa dei conti i suoi ministri. Fra i primi si presentò uno che doveva consegnare ben 10.000 talenti: somma addirittura spaventosa, e specialmente per quei tempi, giacché equivarrebbe a più di 60 milioni di lire in oro. Il debitore naturalmente non aveva tal somma; e allora il re, per ricuperarne almeno una minima parte, ordinò che si vendessero sia il debitore con la moglie e i figli come schiavi, sia tutti i suoi possedimenti. In sostanza, la sentenza era benigna per quei tempi, perché al debitore e ai suoi familiari era lasciata ancora la vita, mentre il re perdeva la massima parte del suo credito. Ma a udire quella decisione il debitore si gettò ai piedi del re, implorando non tanto con la solita teatralità orientale quan­to con la sincerità dell'uomo rovinato per sempre: Sii longanime con me, e ti restituirò ogni cosa! Il re, ch'era di cuore molto buo­no, ne ebbe compassione, e senz'altro rimandò libero il debitore rimettendogli l'intero debito. - L'uomo tornava davvero a respirare e ad esser uomo: era scampato dalla schiavitù, e per di più aveva guadagnato ben 10.000 talenti! Senonché, appunto questa fierezza l'accecò. Uscito dalla terribile e fortunata udienza, egli s'imbatté in un suo collega che gli era debitore di cento denari, somma di poco più che 100 lire in oro; appena lo vede, gli salta addosso, lo prende per il collo da soffo­carlo quasi, e si dà a gridare: “Pagami il tuo debito!” Il povero collega gli si getta ai piedi esclamando: Sii longanime con me, e ti restituirò! Ma quello non dette ascolto, e lo fece mettere in prigione fino a che avesse pagato. Il fatto addolorò gli altri impiegati di corte, che lo riferirono al re. Allora il re fece chiamare il debitore graziato e gli disse: “Servo malvagio! Io ti ho rimesso tutto quel­l'enorme debito perché ti raccomandasti; e non dovevi, dunque, an­che tu aver compassione del tuo collega?”. E, adiratissimo, il re lo fece consegnare, non già ai soliti carcerieri, ma ai torturatori fino a che non avesse pagato l'intero debito. E Gesù concluse: Gasù anche il mio Padre celeste farà con voi, se non ri­mettiate ciascuno al suo fratello dai vostri cuori. Pare che questa volta gli Apostoli non chiedessero a Gesù la spie­gazione della parabola, tanto era chiara. Il re è Dio; la spaventosa somma condonata dal re al ministro sono le mancanze condonate da Dio all'uomo; la trascurabile somma brutalmente richiesta dal oollega al collega sono i piccoli torti di uomo ad uomo. Cosicché ed è questo l'insegnamento conclusivo della parabola - il perdono di Dio all'uomo esige imperiosamente il perdono dell'uomo all'uo­mo. E quanto Gesù aveva già concluso nel Pater noster: Rimetti a noi i debiti nostri come anche noi rimettemmo ai nostri debitori.

§ 411. A questo tempo, cominciando dalla Pasqua della prima moltiplicazione dei pani (§ 372), erano trascorsi parecchi mesi e giun­geva oramai l'autunno dell'anno 29; dall'inizio del ministero pub­blico di Gesù era passato più d'un anno e mezzo, circa una ven­tina di mesi. Stando ai dati espliciti dei vangeli, l'operosità di tutti questi mesi era stata impiegata soltanto nella Galilea, salvo il viag­gio a Gerusalemme (§ 384) e l'altro viaggio nella Fenicia e a set­tentrione della Palestina (§ 389). Purtroppo, facendo un bilancio secondo i calcoli umani, risultava un forte deficit nel risultato di quell'operosità. I compaesani di Na­zareth avevano decretato l'ostracismo al predicatore della « buona novella » (§ 359). Le borgate presso il lago, che sembravano le pre­ferite da lui, erano accorse attorno al taumaturgo, si, ma per ottener luce ai loro ciechi, udito ai loro sordi, vita ai loro morti, pane ai loro stomachi: quando invece si era trattato di accettare il “cam­biamento di mente” e il capovolgimento spirituale richiesti dal taumaturgo, gli accorsi avevano in massima parte rifiutato, e la se­menta da lui sparsa era caduta o sui sentieri calpestati o sul pietrame o fra le spine (§ 365). Che cosa era germogliato dalla sua seminatura? Oltre al manipolo dei discepoli - anche questi lonta­nissimi da una piena maturazione - si potrà ragionevolmente sup­porre che molto scarsi dovevano essere coloro che in tutta la Galilea aderivano sinceramente alla “buona novella”. Umanamente dun­que era, o sembrava, un bilancio fallimentare. Gesù lo sentì. Il suo cuore ne fu attristato; tanto più che non c'era tempo per insistere ancora, dovendo egli allontanarsi per tentare altrove. Che cosa avrebbe potuto egli fare nel passato fra quei Galilei, e specialmente fra le borgate prossime al lago, per ottener una messe più abbondante? Nulla. E se la messe era stata scarsis­sima, il danno non era forse di quelle borgate da lui tanto amate? Cosicché dal suo cuore, uno di quei giorni, eruppe il rimpianto e la deplorazione: Guai a te Ghorozain! Guai a te Bethsaida! Giac­che', se in Tiro e Sidone fossero avvenuti i portenti avvenuti in voi, da lungo tempo in sacco e cenere avrebbero fatto penitenza! Senonche' vi dico, per Tiro e Sidone vi sarà piu' tollerabile (sorte) nel giorno del giudizio che per voi! E tu Cafarnao, forseché fino al cielo sarai innalzata? Fino agà Inferi sarai abbassata! Giacchè se in Sodoma fossero avvenuti i portenti avvenuti in te, sussiste­rebbe fino ad oggi! Senonché vi dico che per la terra di Sodoma vi sarà piu' tollerabile (sorte) nel giorno del giudizio che per te.

§ 412. Delle borgate galilee qui nominate conosciamo bene Beth­saida e Cafarnao; ma Chorozain non appare altrove, ed è ricor­data soltanto qui in tutti i vangeli. Questa inaspettata menzione è altamente istruttiva, perché mostra quanto lacunose siano le informazioni trasmesseci dagli evangelisti circa i fatti di Gesù; se adesso Gesù nomina Chorozain individualmente per una partico­lare deplorazione, ciò mostra che nel passato la borgata era stata oggetto di amorevoli cure non meno di Bethsaida e di Cafarnao: eppure di queste cure noi non sappiamo assolutamente nulla. L'Onomastico di Eusebio dice che Chorozain distava due miglia da Cafarnao. Infatti a circa tre chilometri a nord di Cafarnao è il luogo chiamato oggi Keraze (o Kerazie), ove recentemente è stata riportata alla luce l'antica sinagoga costruita di pietra di basalto e con decorazioni analoghe a quelle della sinagoga di Cafarnao (§§ 285, 336): un'iscrizione aramaica conservata ivi nel seggio dell'archigogo ricorda per gratitudine un Judan figlio di Ismael, benemerito della costruzione dell'edificio. Oggi, come già ai tempi di Eusebio, tut­to il luogo è deserto. In tempi tardivi questa borgata, nominata nei vangeli soltanto per esser maledetta, attirò la fantasia popolare cri­stiana la quale, dopo averci riflettuto sopra parecchi secoli, sen­tenziò che essa sarebbe stata la patria dell'Anticristo. 
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