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domenica 13 maggio 2012

1512 - Vita di Gesù (paragrafi 380-383)


§ 380. La discussione è giunta ad un bivio, e bisogna decidersi fra i due termini del confronto: da una parte Mosè e la sua opera, dal­l'altra parte Gesù e il suo “regno”. Quale di questi due termini è superiore? Qui sta il nodo della questione, e Gesù l'affronta in pieno: In verità, in verita vi dico, non già Mose' vi ha dato il pane dal cielo, bensi il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane d'iddio infatti e' colui che discende dal cielo e dà vita al mon­do. Il giudizio dato dagli interlocutori è capovolto: dei due termini del confronto Gesù è tanto superiore a Mosè quanto il cielo è superiore alla terra; Gesù, non già Mosè, discende dal cielo e dà vita al mondo, egli è veramente il pane dal cielo. L'esposizione è inter­rotta un istante da un'esclamazione degl'interlocutori: Signore, dacci sempre questo pane!; la quale esclamazione è gemella di quella del­la Samaritana riguardo all'acqua, e dimostra che in un caso e nel­l'altro si pensava ad oggetti materiali. Replicò Gesù: lo sono il pane della vita; chi viene a me non sentirà fame, chi crede in me non sentirà sete giammai. Ma io vi dissi che e mi avete veduto e non credete. Con altre affermazioni di Gesù (Giov., 6, 37-40) si chiu­se questo primo incontro.

§ 381. Dell'incontro e delle affermazioni di Gesù si dovette parlar molto in paese, anche con desiderio di avere spiegazioni in propo­sito e di offrire a Gesù opportunità di darle. Probabilmente i fatti si svolsero come a Nazareth (§ 358), e fu offerta a Gesù occasione di spiegarsi nella prima riunione sinagogale che si tenne in paese, per­ché le nuove dichiarazioni furono fatte da lui insegnando nella sina­goga in Cafarnao (6, 59). Se però è detto, a principio di questa nuova parte del discorso, che i Giudei mormoravano di lui, non è necessario supporre che un gruppo di accaniti Farisei fossero giunti apposta dalla Giudea per dar battaglia a Gesù i Giudei, nello stile di Giovanni, sono in genere i connazionali di Gesù che hanno re­spinto l'insegnamento di lui. Questi Giudei pertanto mormoravano di Gesù perché disse: « Io sono il pane disceso dal cielo »; e dicevano: « Non e' costui Gesu' il figlio di Giuseppe, di cui conosciamo il padre e la madre? Come adesso dice: “Dal cielo sono disceso”?. Gesù, dopo alcune consi­derazioni più ampie, torna sulla precedente questione del pane: Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono nel deserto la man­na e morirono; (invece) questo e' il pane discendente dal cielo, affinché taluno mangi di esso e non muoia. Io sono il pane vivente, il disceso dal cielo: se alcuno mangi di questo pane, vivrà in eterno; e il pane poi che io darò, é la mia carne per la vita del mondo. Al suono di tali parole i Giudei, mal disposti quali erano, avevano da strabiliare ben più che Nicodemo e la Samaritana. Se a questi due antichi interlocutori Gesù aveva parlato di “rinascita dallo Spirito” e di “acqua zampillante in vita eterna”, siffatte espres­sioni potevano a prima vista intendersi in senso simbolico: come in senso simbolico poteva intendersi adesso l'espressione “pane di vi­ta” la prima volta che Gesù l'aveva impiegata ed applicata a se stesso. Ma Gesù non si era limitato a quella prima volta; egli era tornato sopra quella espressione e, quasi per escludere a bella posta l'interpretazione simbolica, aveva affermato che quel pane era “la sua carne” data per la vita del mondo. Questa precisazione non era tollerabile in un parlare metaforico: parlando della sua “carne-pane”, Gesù non si esprimeva simbolicamente. Così ragionarono, con pertetta logica, gli uditori della sinagoga di Cafarnao, i quali perciò si dettero a discuter fra loro: Come può darci costui la (sua) carne da mangiare? Il momento era davvero decisivo e solenne; a Gesù spettava in quel momento di precisare ancor meglio la sua intenzione, esprimendo con limpidezza cristallina se le sue parole dovevano esser interpretate come metaforiche ovvero come piane e reali.

§ 382. La limpidezza cristallina si ebbe. Gesù, udita la discussione degli uditori, soggiunse: In verità, in verità vi dico, se non man­giate la carne del figlio dell'uomo e beviate il sangue di lui, non avete vita in voi stessi. Chi mangia la mia carne e beve il mio san­gue ha vita eterna, e io lo risusciterò all'estremo giorno. La carne mia infatti è vero nutrimento, e il sangue mio è vera bevanda; chi mangia la mia carne e beve il mio sangue in me rimane, e io in lui. Come inviò me il Padre vivente e io vivo per il Padre, (così) anche chi mangia me, egli pure vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non (avverrà) come (a) i padri (vostri che) mangiarono (manna) e morirono: chi mangia questo pane, vivrà in eterno. Ascoltate queste spiegazioni, gli uditori non ebbero più il minimo dubbio; né, in realtà, avrebbero potuto averlo. Le parole ascoltate saranno statedure quanto si vuole, ma più chiare e precise di cosi' non potevano essere; Gesù aveva nettamente e ripetutamente affer­mato che la sua carne era vero cibo e il suo sangue vera bevanda, e che per avere vita eterna bisognava mangiare di quella carne e bere di quel sangue. Non era possibile equivocare. Non equivoca­rono infatti gli ostili Giudei, che videro confermata la loro prima interpretazione; non equivocarono neppure molti dei discepoli stessi di Gesù, che trovarono scandalo in quelle parole. Molti pertanto dei discepoli di lui, avendo ascoltato, dissero:”Duro è questo di­scorso; chi può ascoltarlo?”. L'aggettivo duro qui vale quasi per “ripugnante”, “stomachevole”, tanto che non si può ascoltarlo senza un certo ribrezzo. Evidentemente si era pensato ad un ban­chetto da antropofagi. Gesù in realtà non aveva precisato la maniera in cui si sarebbe mangiata la sua carne e bevuto il suo sangue; ma perfino davanti alla possibilità dell'interpretazione antropofaga e dello scandalo, egli non retrocedette d'un sol passo e non ritirò una sola parola. Sa­pendo che i suoi discepoli mormorano di ciò, disse loro: Ciò vi scan­dalizza? Se dunque contempliate il figlio dell'uomo che risale dov'e­ra prima? Lo spirito è il vivificante, la carne non giova a nulla; i detti ch'io ho parlati a voi sono spirito sono vita. L'ultimo pe­riodo fu ritenuto sufficiente da Gesù per dissipare il timore del ban­chetto da antropofagi: i suoi detti erano spirito e vita. Ma gli stessi detti conservavano il loro pieno valore letterale, senza traslati me­taforici; l'indispensabile era aver fede in lui, e l'ultimo argomento di tale fede sarebbe stato contemplare il figlio dell'uomo risalente al cielo, donde era disceso quale pane vivente. Pane celestiale, carne celestiale. Chi avesse avuto tale fede, avrebbe visto in che maniera si poteva veramente mangiar la carne di lui e bere il suo sangue senza ombra di antropofagia.

§ 383. La reazione dei discepoli al discorso udito, nonostante le spiegazioni aggiuntevi da Gesù, non fu soltanto 
verbale: da questo (tempo in poi) molti dei suoi discepoli si ritrassero addietro e non camminavano piu' con lui. Avvenne dunque una defezione, che al­lontanò da Gesù molti dei suoi discepoli; i dodici apostoli invece rimasero fedeli. Un giorno, quando la defezione era già assai pro­gredita, Gesu' disse ai dodici:”Anche voi forse volete andarvene?”. Gli rispose Simone Pietro: « Signore, da chi andremo? Parole di vita eterna (tu) hai; e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo d'Iddio » (Giovanni, 6, 67-69). Non è fortuita in uno scrittore quale Giovanni quella consecuzione di pensiero, secondo cui i dodici avevano creduto e poi conosciuto. Su questo argomento Giovanni non torna più, e l'annunzio del pane di vita non risulta attuato in tutto il resto del suo vangelo, perché egli sarà il solo evangelista che non racconterà l'istituzione dell'Eu­caristia alla vigilia della morte di Gesù. Ma appunto in questa sua omissione sta la più chiara indicazione che l'annunzio è stato at­tuato nella forma spirituale predetta. Giovanni omette l'istituzione dell'Eucaristia perché già narrata da tutti e tre i Sinottici e già notissima agli uditori della sua catechesi (§ 165); ha invece narra­to l'annunzio, perché i Sinottici l'avevano omesso (§ 164).
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