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domenica 6 maggio 2012

1496 - Vita di Gesù (paragrafi 372-375)

DALLA SECONDA PASQUA FINO ALL'ULTIMA FESTA DEI TABERNACOLI 


La prima moltiplicazione dei pani 


§ 372. Durante gli avvenimenti fin qui visti era passato del ternpo, e si doveva stare allora a circa la metà di marzo; perciò era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei (Giovanni, 6, 4), cioè quella dell'anno 29, seconda Pasqua del ministero pubblico di Gesù (§ 177). A questo punto, quasi contemporaneamente, giungono a Gesù gli Apostoli di ritorno dalla loro missione (§ 354) e la notizia della morte di Giovanni il Battista (§ 355). I primi, oltre ad essere spos­sati dalle fatiche sostenute, erano così assillati da folle accorrenti a loro che neppur di mangiare avevano tempo (Marco, 6, 31). D'al­tra parte la tragica fine di Giovanni aveva profondamente attristato Gesù. In conseguenza quindi d'ambedue i fatti, egli prese con sé i reduci dalla missione e si allontanò con loro da Cafarnao in cerca di riposo per essi e di solitudine per sé, e partirono in barca per un luogo deserto in disparte (Marco, 6, 32) che stava nei pressi di una città chiamata Bethsaida (Luca, 9, 10, greco). Era la città che poco prima il tetrarca Filippo aveva ricostruita interamente chia­mandola Giulia (Bethsaida-Giulia) in omaggio alla famigerata figlia di Augusto (§ 19); era anche la patria delle due coppie di fratelli, Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni (§ 279). Il luogo sembrava adatto. Non apparteneva alla giurisdizione di Antipa ma a quella di Filippo, e quindi Antipa non avrebbe potuto agire contro di Gesù del quale già era sospettoso come di un Gio­vanni risuscitato (§ 357); inoltre la città, situata di là dal Giordano poco sopra il suo sbocco nel lago, aveva più ad oriente una vasta estensione quasi disabitata che poteva offrire solitudine e riposo; infine dai pressi di Cafarnao, attraversando il lago obliquamente, si sarebbe raggiunto dopo breve navigazione il posto designato. Ma la partenza di Gesù con il suo gruppo fu notata dalle folle di Cafarnao, le quali dalla direzione presa dalla barca capirono facil­mente qual era la mèta; allora molti presero la via di terra, risa­lendo lungo la curva settentrionale del lago e attraversando il Giordano nel punto dove il fiume entra nel lago, e così riuscirono a prevenire la barca di Gesù. Quando egli scese a terra nella solitudine d'oltre Bethsaida-Giulia trovò le turbe che già l'attendevano. Probabilmente, durante il viaggio a piedi, i volenterosi partiti da Ca­farnao erano cresciuti di numero; nell'imminenza infatti della Pa­squa tutta la regione era già percorsa da carovane dirette a Geru­salemme e composte di Galilei orientali, i quali colsero quell'occa­sione per ascoltare di nuovo Gesù che non vedevano da qualche tempo. L'incontro con tanta folla fece subito svanire il progetto di solitu­dine e di riposo; tanto più che Gesù, appena vide i volenterosi ac­corsi, si impietosi su di essi e si dette a guarire miracolosamente gli infermi e parlare a tutti del regno di Dio. Frattanto le ore passa­vano; il gruppo di Gesù doveva esser partito da Cafarnao di buon mattino e nella stessa mattinata aveva approdato alla sponda opposta: ma l'incontro con le turbe, le implorazioni dei malati e degli infelici, le loro guarigioni, i discorsi sul regno, avevano consumato l'intera giornata e già si era fatta molta ora (Marco, 6, 35). Le turbe, dimentiche di tutto, non si stancavano né si staccavano da Gesù; però i pratici Apostoli s'avvicinarono a Gesù e gli fecero osservare che il posto era solitario, l'ora tarda, e quindi sarebbe stato opportuno licenziare le turbe affinché si sparpagliassero nelle borgate più vicine per trovarsi un po' di vitto e di alloggio. Gesù rispose: Date voi (stessi) da mangiare a loro! La risposta appariva molto strana: prima di tutto non c'era pane, e poi forse non c'era neppure denaro sufficiente per comprarlo; Fi­lippo, fatto un calcolo sommario, fece osservare un po' ironicamente che neppure se ci fosse stato pane per la rilevante somma di due­cento denari d'argento (più di duecento lire oro) sarebbe bastato per darne appena un boccone a ciascuno. Gesù non rispose ai calcoli di Filippo, ma cambiando tono chiese: Quanti pani avete? Rispose Andrea fratello di Pietro: C'e' qui un ragazzetto che ha cinque pani d'orzo e due pesci; anch'egli però volle aggiungere all'informazione un serio richiamo alla realtà: ma che è ciò per tanti? Ma neanche ai calcoli di Andrea replicò Gesù. 


 § 373. Tutt'attorno si stendeva a perdita d'occhio la prateria, in pieno rigoglìo alla stagione pasquale d'allora: sembrava un mare di verde ondeggiante, da cui affioravano qua e là a guisa di Cicladi i raggruppamenti della folla. A un tratto Gesù ordinò agli Apostoli che facessero adagiare la folla sull'erba; quando tutti furono ada­giati in tanti circoli, ciascuno di una cinquantina o di un centinaio di persone, l'aspetto della scena si delineò più nitidamente: il testi­mone Pietro, che l'avrà descritta con predilezione nella sua catechesi orale, la rassomiglia a uno sterminato giardino in cui gli ada­giati formavano aiuole (ed) aiuole e l'interprete di Pietro ripete a parola la sua comparazione (Marco, 6, 40). Ma ancora non si vedeva a che mirasse quell'ordine: adagiarsi sui di­vani avveniva nei conviti di lusso (§ 341), ma lì fra quell'erba quali vivande si potevano imbandire? Gesù però, presi i cinque pani e due pesci, avendo guardato su nel cielo, benedisse e spezzò i pani, e (li) dava ai discepoli affinchè apprestassero a quelli: anche i due pesci sparti a tutti. E mangiarono tutti e furono satollati. Il carat­tere tradizionale del convito giudaico era stato osservato sia nell'a­dagiarsi, sia nella preghiera premessa e nello spezzamento del pane che spettavano al padre di famiglia; ma fu osservato anche al ter­mine con la raccolta degli avanzi, la quale si praticava ad ogni desinare giudaico: e raccolse i pezzi con cui si riempirono dodici sporte, e (gli avanzi) dei pesci. Con la comodità del ripartimento in “aiuole” fu facile fare un calcolo della folla: ed erano coloro che mangiarono i pani cinquemila uomini (Marco, 6, 41-44); Matteo conferma ch'erano cinquemila, ma da antico gabelliere ama precisare: senza (contare) donne e bambini (Matteo, 14, 21). Nel Discorso della montagna Gesù aveva ammonito Non v'aflan­nate dicendo “Che mangeremo?” o “Che berremo?” o “Di che ci revestiremo?”... sa tnvero il vostro Padre celeste che abbisognate di tutte queste cose. Cercate invece prima il regno e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta (§ 331). Questa am­monizione si dimostrò esattissima in quella prateria di Bethsaida. Tutta quella gente nella intera giornata aveva cercato il regno e la sua giustizia ossia il pane dello spirito, ma senza pensarvi ritrovò anche il pane del corpo; tuttavia questo pane del corpo fu un soprappiù secondarissimo, un episodio accessorio della scena, mentre il fatto eccezionale di quella giornata fu la ricerca generosa del regno e la sua trionfale espansione. Giustamente fu messo in rilievo - e proprio da un razionalista (Loisy) - che tutta questa narrazione nel IV vangelo è dominata dall'idea del Cristo considerato come pane di vita spirituale; è appunto questo dovevamo aspettarci dal “vangelo spirituale” (§ 160), il quale molto più che agli episo­di vistosi e sonori bada ai sottili insegnamenti profondi, e mette particolarmente in luce le analogie tra fatti materiali e principii spirituali. 


§ 374. Egualmente però dovevamo aspettarci che le folle rimasero colpite molto più dal fatto materiale che dal resto. Avevano esse inteso parlare la giornata intera del “regno” e ne erano state commosse, infine avevano visto moltiplicarsi fra le mani di quel banditore del “regno” il cibo dei loro corpi. La conclusione fu immediata, in conformità con le loro aspettative messianiche (§ 362): chi operava prodigi siffatti, poteva altrettanto facilmente sterminare eserciti nemici come Isaia, poteva ricoprir di tenebre un'intera re­gione come Mosè, attraversare fiumi all'asciutto come Giosuè, cor­rere vittorioso su tutta la terra come il pagano Ciro chiamato “mes­sia” dallo stesso Dio d'Israele (Iaia, 45, 1), poteva insomma at­tuare in pochissimo tempo il tanto sospirato “regno del Messia” a maggior gloria d'Israele. Dunque, egli era l'atteso Messia: la sua potenza lo rivelava indubbiamente tale. Davanti ad una conclu­sione così chiara e stringente, quegli ardenti Galilei passarono subito all'azione: Gli uomini pertanto, veduto il miracolo che aveva fatto dicevano: “Questo e' veramente il profeta veniente (§ 339) nel mon­do!”. Gesu' dunque, conosciuto che stavano sul punto di venire a rapirlo affin di farlo re, si appartò di nuovo nella montagna egli solo (Giovanni, 6, 14-15). Questa notizia, preziosa per il suo bel colorito storico, è anche più preziosa perché trasmessa dal solo evangelista che oggi si vorrebbe far passare per un incessante ideatore di astratte allegorie; qui in­vece abbiamo la realtà storica più cruda, proprio quella realtà che Gesù aveva prevista da lungo tempo e che si era proposto di evitare con la sua condotta prudenziale (§ 301). 


 § 375. Anche quella sera Gesù si era premunito contro il pericolo. Appena terminata la refezione, prima ancora che i focosi elettori avessero deciso la proclamazione regale, Gesu' subito costrinse i di­scepoli suoi ad entrare nella barca e a preceder(lo) al di là alla volta di Bethsaida, finché egli licenzia la turba (Marco, 6, 45). In altre parole Gesù, avendo notato l'eccitazione della folla e ricono­sciutine gl'intendimenti, volle in primo luogo preservarne i suoi di­scepoli rinviandoli avanti a sé a Cafarnao, e inoltre rimaner solo per esser più spedito nel suo contegno con gli eccitati messianisti politici. Il suo contegno da solo, come ci ha detto l'altro evangelista, fu quello già seguito altre volte (§ 301), cioè di sottrarsi nascosta­mente; buona parte della notte fu poi passata da lui sulla mon­ tagna a pregare (Matteo, 14, 23). Frattanto i discepoli navigavano verso Cafarnao.
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