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venerdì 28 settembre 2012

1834 - Vita di Gesù (paragrafi 530-531)


La parabola delle vergini. L'ultimo giudizio

§ 530. Essendo assolutamente ignoto il giorno della parusia, coloro che aspettano la consumazione finale del regno di Dio dovranno tenersi pronti sempre, perché sempre potrà giungere quel giorno e ca­dere quell'ora. L'ignoranza del tempo porta con sé il pericolo di una neghittosa trascuranza, al quale dovrà provvedersi con una in­cessante vigilanza. Questo è l'insegnamento della parabola delle ver­gini, riportata dal solo Matteo (25, 1-13) e soggiunta al discorso escatologico. La parabola si riporta alle costumanze delle nozze giudaiche, di cui già trattammo (§ 281). Dieci vergini sono state invitate alle nozze di una loro amica, per farle corteggio la sera dei nissu’in (§ 231); sono uscite dalle loro case munite ciascuna della propria lampada di ter­racotta, non tanto per far chiaro lungo la strada fino alla casa della sposa, quanto per accrescere la giocondità della festa allorché giun­gerà lo sposo. Si prevede tuttavia, essendo un matrimonio di lusso, che lo sposo si farà attendere alquanto, dovendo egli a sua volta ricevere una fila interminabile di visitatori. Perciò cinque di quelle vergini, ch'erano prudenti, portarono seco oltre alla lampada accesa anche un orcioletto pieno d'olio per rifornire la piccola lampada quando il suo contenuto fosse esaurito; le altre cinque invece, ch'e­rano disavvedute, non si preoccuparono delle ore lontane e porta­rono soltanto la lampada, non ripensando ch'essa non poteva restare accesa se non per un tempo relativamente breve. Ciò che le vergini avvedute hanno previsto, avviene di fatto lo spo­so, trattenuto a casa sua, tarda molto a giungere. Frattanto in casa della sposa la comitiva ivi radunata cambia gradualmente il suo con­tegno; quelle ragazze, da vivaci ed irrequiete ch'erano alla prim'ora, divengono man mano inerti, svogliate e come rassegnate; il chiac­chierio s'acquieta, qua e là appaiono segni di noia; ancora più tardi qualcuna sbadiglia e appartatasi in un angolo comincia a lottare fiaccamente contro il sonno che la invade; e le ore seguitano a passare monotone senza che nessuno giunga, cosicché indugiando lo sp­so, s'appisolarono tutte e dormivano. Ma a metà notte ci fu un gri­do:”Ecco lo sposo! Uscite(gli) incontro!”. Allora sorsero tutte quel­le vergini ed acconciarono le lampade loro. Le disavvedute dissero pertanto alle prudenti: “Dateci del vostro olio, perché le nostre lam­pade si spengono!” Ma le prudenti risposero dicendo: “Mai piu'! Non basterebbe a noi e a voi (insieme)! Andate piuttosto dai ven­ditori e compratevene”. Allontanandosi quelle per comprare venne lo sposo, e quelle pronte entrarono con lui nelle nozze e fu rinser­rata la porta. Alla fine però vengono anche le restanti vergini dicen­do:”Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispondendo disse:”In ve­rità vi dico, non so (di) voi!”. La ripulsa dello sposo fa scaturire la morale della parabola, la quale si conclude con l'ammonizione: Ve­gliate dunque, perché non sapete il giorno né l'ora! Veramente la parabola ha taluni tratti che si discostano dalla realtà contemporanea, ad esempio l'invito di andare a comperare l'olio a mezzanotte quasiccbé a quell'ora le betteghe fossero aperte. Ma tali astrazioni di tempo e luogo sono ammissibili in una comparazione ampia, la quale converge tutta su un punto particolare non soffer­mandosi su lineamenti secondari. Qui il punto preso di mira è du­plice: l'ignoranza del giorno e dell'ora ch'è rilevata dalla conclusio­ne finale, e insieme anche il pericolo dell'impreparazione e dell'at­tesa ch'è rilevato in tutta la parabola. L'attesa prolungandosi diven­ta insidiosa, perché fa trascurare la preparazione che eventualrnente esisteva da principio e fa dimenticare la realtà della “venuta”; d'altra parte l'essere stato preparato soltanto alla prima ora non gio­va nulla a chi non si ritrovi preparato anche all'ultimo minuto, quel­lo della “venuta”. Nella lingua dei papiri greci la ”venuta” e “presenza” di un re si trova espressa col termine parusia.

§ 531. Egualmente il solo Matteo (25, 31-46) presenta il gran qua­dro in cui il “secolo” presente si chiude e il “secolo” futuro s'inau­gura ufficialmente, il quadro del giudizio finale. Questo tema era stato trattato già dagli antichi profeti, ma sotto altra luce e con altri in­tendimenti; qui invece la mira principale è di far risaltare i rappor­ti morali che legano il “secolo” presente con quello futuro, cioè la ripercussione etica che la vita presente avrà nella vita futura. Se nel passato il giudizio finale era stato presentato come il trionfo della na­zione ebraica su nazioni pagane o di un partito onesto e pio su un partito malvagio ed empio, qui invece esso riveste un carattere morale riguardante i singoli individui dell'umanità intera senza discriminazio nè alcuna: inoltre, questo carattere morale è riassunto nella ca­rità, come se la nota distintiva del regno di Dio e la tessera per en­trarvi sia la carità (§ 550) e il giudizio finale sia il trionfo della carità. Quando venga il figlio dell'uomo nella gloria sua e tutti gli angeli con lui, allora sederà sul trono della sua gloria. E si raduneranno davanti a lui tutte le genti, ed (egli) separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai montoni e collocherà le pecore alla sua destra e i montoni alla sinistra. Allora dirà il re a quelli della sua destra:” Venite, i benedetti del Padre mio! Possedete il regno voi preparato dalla fondazione del mondo! Ebbi fame, infatti, e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, forestiero ero e mi accoglieste, nudo e mi ricopriste, fui ammalato e mi visitaste, in prigione ero e veniste a me”. Allora gli risponderanno i giusti di­cendo:” Signore, quando ti vedemmo aver fame e nutrimmo, ovvero aver sete e demmo da bere? E quando ti vedemmo forestiero ed accogliemmo, ovvero nudo e ricoprimmo? E quando ti vedemmo ammalato ovvero in prigione e venimmo a te?” E rispondendo il re dirà loro:”In verità vi dico, quanto faceste ad un solo di questi fra­telli miei minimi, faceste a me“. Allora dirà a quelli alla sinistra:”Partitevi da me, maledetti, nel fuoco eterno, quello preparato al diavolo e agli angeli suoi! Ebbi fame, infatti, e non mi deste da man­giare, ebbi sete e non mi deste da bere, forestiero ero e non mi acco­glieste, nudo e non mi ricopriste, ammalato e in prigione e non mi visitaste”. Allora risponderanno anch'essi dicendo:” Signore, quan­do ti vedemmo aver fame ovvero aver sete ovvero forestiero ovvero nudo ovvero ammalato ovvero in prigione, e non ti servimmo?”. Allora risponderà loro dicendo:” in verità vi dico, quanto non faceste a uno solo di questi minimi neppure a me (lo) faceste”. E an­dranno questi in supplizio eterno, i giusti invece in vita eterna (cfr. Daniele, 12, 2).
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