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sabato 8 settembre 2012

1787 - Vita di Gesù (paragrafi 508-509)


I Greci vogliono essere presentati a Gesù

§ 508. Alla fine il corteo trionfale raggiunse la città ed entrò nel Tempio. Ivi, nell'atrio esterno, continuavano ancora le acclamazioni festanti, e i fanciulli ripetevano le grida che già udimmo. Di quell'aura di tripudio approfittarono subito ciechi e storpi che erano a limosinare in un luogo così opportuno, e si fecero condurre presso al trionfatore taumaturgo implorando la sanità; e Gesù li guarì. Il Tempio era già affollato di pellegrini accorsi per l'imminente Pa­squa; e fra costoro erano anche molti non giudei ma benevoli per il giudaismo. Nella Diaspora infatti il giudaismo aveva lavorato inten­samente a far seguaci, e coloro che erano stati guadagnati si riparti­vano in due classi: la classe inferiore era quella dei “devoti” o “timorati” di Dio, oppure, i qua­li erano obbligati all'osservanza del sabbato, a certe preghiere ed ele­mosine e ad altre prescrizioni minori, pur rimanendo sempre estranei alla nazione eletta d'Israele; la classe superiore invece era quella dei veri “proseliti”, i quali avevano ricevuto la circoncisione ed erano perciò eguagliati in tutto, o quasi, agli Israeliti, e ne condividevano ogni obbligo. Quando il corteo entrò nel Tempio, erano nell'atrio esterno alcuni di questi “devoti”, di stirpe Greci come li chiama Giovanni (12, 20, greco), ch'erano venuti a Gerusalemme in occasione della Pasqua per fare adorazione, sebbene ai veri riti pasquali essi non potessero par­tecipare perché non erano eguagliati agli Israeliti. Rimasti colpiti dallo spettacolo del corteo e soprattutto da ciò che videro e udirono della potenza taumaturgica di Gesù, essi desiderarono esser presentati a lui; per riuscirvi più facilmente tra quella calca, si rivolsero al­l'apostolo Filippo (§ 314) e gli dissero: Signore, vogliamo vedere Gesu'. Filippo, alquanto sorpreso dalla richiesta, si consigliò in propo­sito col suo compaesano Andrea, e finalmente ambedue comunicarono la richiesta a Gesù. Ciò che avvenne appresso è narrato da Gio­vanni conforme a quella sua singolare maniera che lumeggia i principii perenni più che gli episodi fugaci: nel suo racconto i Greci che hanno chiesto di esser presentati a Gesù non sono più mentovati, ma in compenso Gesù parla della sua missione e questa è confermata solennemente da una testimonianza divina. Si direbbe che Giovanni nella ricerca di Gesù fatta da questi Greci scorga l'inizio della più ampia ricerca che farà di lui l'umanità, tanto che egli trascura l'epi­sodio occasionale per dilungarsi sul risultato perenne. Alla comuni­cazione dei due Apostoli Gesù replicò E venuta l'ora che sia glorifi­cato il figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano caduto in terra non muoia, esso rimane solo; se invece muoia, porta molto frutto. Torna dunque l'idea della glorificazione di Gesù Messia, preceduta però dalla prova del dolore supremo; il regno di Dio si dispiegherà in pieno nella maniera riserbatagli nel “secolo” presente, solo dopoché il suo fondatore sia stato disfatto come un chicco di grano nascosto nell'umida terra: da quell'interiore disfa­cimento si sprigionerà la fruttificazione possente e moltiplicativa. Ed eguale alla sorte di Gesù sarà quella dei suoi seguaci: Chi ama la vita sua la perde, e chi odia la vita sua in questo mondo la con­serverà in vita eterna. Se alcuno mi serva, mi segua; e dove sono io, ivi sarà anche il mio servitore. Se alcuno mi serva, il Padre l'ono­rerà. Quindi Gesù ritorna su se stesso, e ripensa alla prova suprema che dovrà precedere la sua glorificazione: Adesso l'anima mia e' tur­bata. E che devo dire? “Padre, salvami da quest'ora”? Al contrario, per questo venni in quest'ora! Padre, glorifica il nome tuo. Appena è apparsa la possibilità di una titubanza davanti alla prova suprema, è respinta; più tardi nel Gethsemani la titubanza riapparirà in circo­stanze ben diverse e con risultato differente (§ 555).

§ 509. L'invocazione finale al Padre celeste fu esaudita. Come già era accaduto al battesimo di Gesù ed alla sua trasfigurazione (§§ 270, 403) venne una voce dal cielo che disse: E glorificai, e di nuovo glo­rificherò. L'oggetto di questa glorificazione non è espresso, ma è chiaramente il nome dell'invocato Padre, il quale sarà glorificato dalla missione del suo Figlio Gesù e soprattutto dalla conclusione di quella missione. La folla astante percepì il suono, ma non capi distintamente le pa­role; perciò alcuni credettero che fosse scoppiato un tuono, chiamato spesso dagli Ebrei “la voce di Diò” (cfr. II Samuele, 22, 14; Salmo 29, 3. 9 ebr.; Giobbe, 37, 5; ecc.), mentre altri supposero che un angelo avesse parlato a Gesù. Egli allora spiegò: Non per me e' stata questa voce, ma per voi. Adesso e' (il) giudizio di questo mondo: adesso il principe di questo mondo sarà scacciato fuori. E io, se sia innalzato dalla terra, attirerò tutti a me stesso. In altre parole, Dio stava per compiere il giudizio di condanna sul mondo presente e su Satana, principe di esso; segno materiale che quel giudizio comin­ciava era la voce testé udita, la quale ricordava le voci divine del Sinai allorché era stata stabilita l'antica alleanza; la chiusura ed il coronamento di quel giudizio si sarebbero avuti quando Gesù fosse stato innalzato dalla terra, poiché avrebbe attirato a sé tutti gli uomini liberandoli dalla sudditanza a Satana. Appena menzionato l'”innalzamento” di Gesù, l'evangelista si affretta ad aggiungere: Ciò poi diceva, significando di qual morte stava per morire. Non sappiamo però con sicurezza in qual maniera gli ascoltatori di Gesù interpre­tassero il suo annunziato “innalzamento”; dalle loro parole sembra che pensassero ad una specie di “assunzione” di Gesù, analoga al­l'assunzione di Henoch. Gli rispose pertanto la folla: “Noi udimmo dalla Legge che il Cristo (Messia) permane in eterno, e come tu dici che dev'essere innalzato il figlio dell'uomo? Chi e questo figlio dell'uomo?”. Dalle sacre Scritture (Legge) risultava infatti che il regno del Messia sarebbe stato eterno; Gesù invece diceva che egli sarebbe stato innalzato ossia, come interpretavano essi,”assunto” in cielo: dunque il suo regno, qui su questa terra, non sarebbe durato in eter­no. Inoltre, quel titolo di figlio dell'uomo non era chiaro per quegli ascoltatori, i quali forse conoscevano poco o nulla il libro di Daniele (§ 81); essi quindi si sentivano dubbiosi e aspettavano luce da Gesù. Gesù invece questa volta non si estese in spiegazioni, o almeno esse non ci sono tramandate; ci viene trasmesso soltanto ciò che sembra una sua generica esortazione conclusiva. Disse pertanto ad essi Gesu':”Ancora (per) piccolo tempo la luce e' in voi. Camminate mentre avete la luce, aflinché tenebra non vi sorprenda; e chi cammina nel­la tenebra non sa dove va. Mentre avete la luce credete nella luce, affinché diveniate figli di luce”. Mentre Gesù pronunziava queste parole, calavano le prime ombre del vespero, dicendoci espressamen­te Marco (11, 11) che tarda era già l'ora; perciò le parole, mentre convenivano spontaneamente con le circostanze della giornata solare, si riferivano in realtà alla giornata della vita di Gesù e alla sua luce spirituale che era vicina al tramonto. Quando l'ultimo chiarore di quella giornata trionfale fu spento, Gesù con gli Apostoli fece il cammino inverso da Gerusalemme a Bethania, ove passò la notte(Marco, ivi; Matteo, 21, 17; cfr. Giovanni, 12, 36).
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