I Greci vogliono essere presentati a Gesù
§ 508. Alla fine il corteo trionfale raggiunse la città ed entrò nel Tempio. Ivi, nell'atrio esterno, continuavano ancora le acclamazioni festanti, e i fanciulli ripetevano le grida che già udimmo. Di quell'aura di tripudio approfittarono subito ciechi e storpi che erano a limosinare in un luogo così opportuno, e si fecero condurre presso al trionfatore taumaturgo implorando la sanità; e Gesù li guarì. Il Tempio era già affollato di pellegrini accorsi per l'imminente Pasqua; e fra costoro erano anche molti non giudei ma benevoli per il giudaismo. Nella Diaspora infatti il giudaismo aveva lavorato intensamente a far seguaci, e coloro che erano stati guadagnati si ripartivano in due classi: la classe inferiore era quella dei “devoti” o “timorati” di Dio, oppure, i quali erano obbligati all'osservanza del sabbato, a certe preghiere ed elemosine e ad altre prescrizioni minori, pur rimanendo sempre estranei alla nazione eletta d'Israele; la classe superiore invece era quella dei veri “proseliti”, i quali avevano ricevuto la circoncisione ed erano perciò eguagliati in tutto, o quasi, agli Israeliti, e ne condividevano ogni obbligo. Quando il corteo entrò nel Tempio, erano nell'atrio esterno alcuni di questi “devoti”, di stirpe Greci come li chiama Giovanni (12, 20, greco), ch'erano venuti a Gerusalemme in occasione della Pasqua per fare adorazione, sebbene ai veri riti pasquali essi non potessero partecipare perché non erano eguagliati agli Israeliti. Rimasti colpiti dallo spettacolo del corteo e soprattutto da ciò che videro e udirono della potenza taumaturgica di Gesù, essi desiderarono esser presentati a lui; per riuscirvi più facilmente tra quella calca, si rivolsero all'apostolo Filippo (§ 314) e gli dissero: Signore, vogliamo vedere Gesu'. Filippo, alquanto sorpreso dalla richiesta, si consigliò in proposito col suo compaesano Andrea, e finalmente ambedue comunicarono la richiesta a Gesù. Ciò che avvenne appresso è narrato da Giovanni conforme a quella sua singolare maniera che lumeggia i principii perenni più che gli episodi fugaci: nel suo racconto i Greci che hanno chiesto di esser presentati a Gesù non sono più mentovati, ma in compenso Gesù parla della sua missione e questa è confermata solennemente da una testimonianza divina. Si direbbe che Giovanni nella ricerca di Gesù fatta da questi Greci scorga l'inizio della più ampia ricerca che farà di lui l'umanità, tanto che egli trascura l'episodio occasionale per dilungarsi sul risultato perenne. Alla comunicazione dei due Apostoli Gesù replicò E venuta l'ora che sia glorificato il figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano caduto in terra non muoia, esso rimane solo; se invece muoia, porta molto frutto. Torna dunque l'idea della glorificazione di Gesù Messia, preceduta però dalla prova del dolore supremo; il regno di Dio si dispiegherà in pieno nella maniera riserbatagli nel “secolo” presente, solo dopoché il suo fondatore sia stato disfatto come un chicco di grano nascosto nell'umida terra: da quell'interiore disfacimento si sprigionerà la fruttificazione possente e moltiplicativa. Ed eguale alla sorte di Gesù sarà quella dei suoi seguaci: Chi ama la vita sua la perde, e chi odia la vita sua in questo mondo la conserverà in vita eterna. Se alcuno mi serva, mi segua; e dove sono io, ivi sarà anche il mio servitore. Se alcuno mi serva, il Padre l'onorerà. Quindi Gesù ritorna su se stesso, e ripensa alla prova suprema che dovrà precedere la sua glorificazione: Adesso l'anima mia e' turbata. E che devo dire? “Padre, salvami da quest'ora”? Al contrario, per questo venni in quest'ora! Padre, glorifica il nome tuo. Appena è apparsa la possibilità di una titubanza davanti alla prova suprema, è respinta; più tardi nel Gethsemani la titubanza riapparirà in circostanze ben diverse e con risultato differente (§ 555).
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