§ 526. Passando ora ai riscontri storici noi troviamo che, sullo scorcio del previsto quarantennio, si svolge un periodo il quale fu definito, da uno storico romano che lo conosceva assai bene. Dal canto suo Flavio Giuseppe, occupandosi particolarmente della Palestina, ci fornisce quelle notizie sulle agitazioni interne e soprattutto sul ribollimento del messianismo politico che ricordammo occasionalmente più volte. La conclusione di tutto fu la catastrofe del 70, ove perirono Tempio, capitale e nazione. Quanto ai discepoli di Gesù, durante questa “grande tribolazione” essi subirono quelle persecuzioni dentro e fuori la Palestina che sono attestate sia dagliAtti e altri scritti del Nuovo Testamento, sia dagli storici romani, e che erano mosse tanto da connazionali e da congiunti quanto da estranei e da pagani; ma coloro che ressero alle lusinghe dei falsi profeti e alle violenze dei persecutori, allorché videro il Tempio di Gerusalemme profanato dai sanguinari Zeloti (Guerra giud., iv, 151 segg., 305 segg., 381 segg.), si attennero all'ammonizione del discorso escatologico e fuggendo dalla città si ritirarono a Pella in Transgiordania, come narra Eusebio(Hist. eccì., nì, 5, 3).
§ 527. Fin qui Gesù ha risposto soltanto al primo punto della domanda rivoltagli dai discepoli, descrivendo i segni che precederanno la distruzione del Tempio; un netto e preciso distacco, a guisa di conclusione, si ritrova infatti al termine di questa sezione ove Gesù finisce ammonendo: Voi quindi guardate: (io) vi ho predetto tutte le cose (Marco, 13, 23). Adesso manca che Gesù risponda al secondo punto della domanda, comunicando i segni della fine del mondo. La nuova sezione (Marco, 13, 24 segg.) comincia con le parole Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole s'oscurerà, ecc. Qui l'espressione in quei giorni è la solita formula, impiegata frequentissimamente nell'Antico e nel Nuovo Testamento, per introdurre un nuovo argomento ma senza un preciso valore temporale, significando tutt'al più in un certo tempo..., a suo tempo..., in una data epoca. In questa epoca imprecisata, che si svolgerà dopo la “grande tribolazione”; avverranno insieme la fine del mondo e la parusia, che sono descritte con termini presi in gran parte dall'Antico Testamento e comuni alla letteratura apocalittica (§ 84 segg.): il sole e la luna s'oscureranno, le stelle cadranno, le potenze dei cieli saranno scosse, e allora comparirà sulle nubi il figlio dell'uomo che verrà con possanza e gloria e invierà i suoi angeli ai quattro venti a radunare gli eletti; con ciò il “secolo” presente è chiuso e il “secolo” futuro è inaugurato. Questa descrizione dei segni della parusia è più breve, in tutti e tre i Sinottici, della descrizione dei segni della “grande tribolazione”. Quanto poi all'indicazione del tempo in cui avverrà la parusia, la troviamo subito appresso all'indicazione del tempo assegnato alla “grande tribolazione”; ma, mentre per quest'ultima l'indicazione è stata precisa e netta - ossia la presente generazione - per l'altra è talmente negativa: Circa poi a quel giorno o all'ora nessuno sa (alcunché) né gli angeli. Nei secoli iv e v, ai tempi delle focose dispute ariane e cristologiche si usò ed abusò largamente di questo passo per misurare la scienza del Figlio divino confrontata con quella del Padre, e per attribuirgli una certa ignoranza. Ma appunto la difficoltà della frase, che sembra affermare questa ignoranza nel Figlio, è una ragione di più per considerarla autentica frase di Gesù pervenutaci nella forma più precisa e genuina: come pure la stessa difficoltà fu probabilmente la ragione per cui tutta la frase fu omessa da Luca nel suo vangelo, e per cui l'allusione al Figlio scomparve anche nel passo corrispondente di Matteo (24, 36) da vari codici greci e dalla Vulgata latina, volendosi evitare una spiacevole sorpresa nei rispettivi lettori. Ma, superate le controversie ariane e cristologiche, si convenne generalmente nell'interpretare la frase come una fin de non recevoir da parte di Gesù, che non vuol essere interrogato su questo punto perché il rispondervi non entra nella sua missione: Gesù, che già aveva risposto ai figli di Zebedeo non esser còmpito suo ma del Padre assegnare i seggi nel glorioso regno messianico (§ 496), in questa occasione dixit nescire illum diem quia in magisterio eius non erat ut per eum sciretur a nobis, mentre invece entrava nella sua missione appunto il tener nascosto quel giorno; tamquam enim magister sciebat et docere quod proderat et non docere quod oberat (S. Agostino,Enarration. in Psalm. xxxvi, sermo i, 1). Ai nostri giorni la difficoltà è stata ripresa in pieno dalla scuola escatologica (§ 209 segg.), secondo cui Gesù era sicuro che laparusia sarebbe avvenuta nel corso della generazione contemporanea, sebbene confessasse di non conoscere il preciso giorno e la precisa ora (§ 529).
§ 528. Presentato in questa maniera il discorso escatologico è chiaro, in quella misura che può essere concessa dal suo argomento. La sua prima sezione tratta dei segni della “grande tribolazione”, cioè degli avvenimenti che precedettero ed accompagnarono la distruzione di Gerusalemme, la seconda sezione tratta dei segni della parusia e della fine del mondo. Dopo le trattazioni dei segni vengono le fissazioni dei rispettivi tempi: per la “grande tribolazione” è fissata la generazionecontemporanea, mentre per la parusia è riserbato un arcano silenzio. Ma la difficoltà sta in questo, che la fissazione di ciascun tempo non è soggiunta immediatamente appresso alla rispettiva trattazione dei segni cioè la presente generazione appresso alla “grande tribolazione”, e il silenzio appresso alla parusia - bensì ambedue le fissazioni dei tempi sono relegate assieme in fondo, dopo ambedue le trattazioni dei segni. Perché mai questa collocazione che sembra violenta e tale da provocare equivoci? Appunto qui è da scorgere l'opera redazionale degli evangelisti e l'influenza delle circostanze in cui si svolgeva - come accennammo (§ 524) - la primitiva catechesi della Chiesa. Questa collocazione simultanea in fondo, che a noi oggi sembra violenta e tale da provocare equivoci, era invece prudentissima quando scrivevano i Sinottici, quando cioè non si sapeva nulla non solo del tempo della parusia ma neppure del preciso tempo della « grande tribolazione »: Gerusalemme infatti ancora era incolume e prospera, e nulla faceva umanamente sospettare che dopo pochi anni essa sarebbe ridotta a un ammasso di macerie. Neppure risultava chiaramente in quale relazione stessero fra loro la « grande tribolazione » e la parusia, che almeno idealmente apparivano ricollegate fra loro la prima non sarebbe forse la preparazione immediata della seconda, e la venuta del Messia glorioso non sarebbe l'immediato premio a chi aveva superato la grande prova? Molti cristiani infatti ritenevano imminente la parusia, e la risposta di Gesù in proposito, se non implicava necessariamente tale opinione, neppure la escludeva con evidente chiarezza: il figlio dell'uomo poteva comparire inatteso in ogni momento, come ladro notturno. Ma anche se fra la « grande tribolazione » e la parusiadoveva cadere un interstizio, chi poteva dire se questo interstizio sarebbe stato breve o mediocre o lungo o lunghissimo? Di tutto ciò nessuno sapeva alcunché con certezza, prima di quel tragico anno 70; oggi invece, edotti da venti secoli di storia, noi siamo perfettamente informati della “grande tribolazione” che cuIminò nel 70 e dell'interstizio ch'è di una durata incalcolabile, mentre ci è rimasto impenetrabilmente occulto il tempo della parusia. Per queste ragioni gli evangelisti sinottici, nell'oscurità che li avvolgeva, divisero il discorso escatologico secondo la materia in esso trattata, collocando prima i segni e poi i tempi, e lasciando alle opinioni dei lettori il ricollegamento delle singole parti fra loro: tanto più che, su questa palpitante questione della parusia le singole comunità ricevevano particolari ammaestramenti dai loro direttori, come per la comunità dei Tessalonicesi apprendiamo occasionalmente da Paolo (II Tessal., 2, 5) e per le comunità dell'Asia Minore da Pietro (II Pietro, 3, 1 segg.); e quindi i lettori dei vangeli potevano e forse dovevano rivolgersi per schiarimenti a tali autentici interpreti, sempre in virtù del principio che la catechesi scritta non pretendeva mai di sostituire la catechesi orale, bensì la presupponeva in più modi (§107).
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