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lunedì 5 novembre 2012

1926 - Vita di Gesù (paragrafi 566-569)


§ 566. Senonché la doppia testimonianza riguardo al Tempio era troppo opportuna perché quei giudici, in difetto d'altri capi d'accusa, se la lasciassero sfuggire: essa poteva valere almeno come prova che Gesù aveva ritenuto possibile o aveva profetizzato la distruzione del Tempio. Ora, quando si trattava di quel cumulo di sassi e di travi che costitui­vano il Tempio materiale, i Giudei dei tempi di Gesù perdevano im­mediatamente il lume degli occhi, come l'avevano perso sei secoli prima i Giudei dei tempi di Geremia. L'antico profeta era stato giu­dicato degno di morte perché aveva predetto da parte di Dio che il Tempio sarebbe stato distrutto (Geremia, 7, 4 segg.; 26, 6 segg.); e le scritture di lui, nelle quali si narrava questa predizione insieme col suo puntuale avveramento e con l'empio trattamento fatto al pro­feta, erano tuttora venerate come sacre da coloro che stavano là assisi a giudicare Gesù: ma l'insegnamento che essi ne trassero fu di ripetere in maniera peggiorativa quanto i loro antenati avevano fatto al profeta del Dio d'Israele. Vedendo infatti che pure quest'ultima testimonianza stava per sfu­mare, il sommo sacerdote prese una risoluzione decisiva. Levatosi in piedi, Caifa tentò di ottenere da Gesù qualcosa che in apparenza fosse una sua giustificazione di fronte all'accusa dei testimoni, ma che in realtà avrebbe implicato l'imputato nella discussione inducendolo a confessioni; gli disse perciò: Non rispondi nulla? Che cosa testi­ficano costoro di te? Ma la desiderata risposta non venne, e Gesù serbò un silenzio assoluto. Allora il sommo sacerdote, assumendo un atteggiamento ispirato e solenne, insistette: Ti scongiuro per il Dio vivente affinché ci dica se tu sei il Cristo (Messia), il Figlio d'iddio. L'atteggiamento del som­mo sacerdote sembrava quello di un uomo che, tutto preso dal desi­derio della verità, aspettasse soltanto una parola d'assicurazione per affidarsi e rendersi totalmente ad essa; udendolo si sarebbe detto che, a una risposta affermativa di Gesù, egli si sarebbe prostrato riverente davanti a lui riconoscendolo come il Messia d'Israele. Si noti inoltre, accuratamente, che Caifa ha scongiurato Gesù a dichiarare se egli sia il Cristo, il Figlio d'iddio. Cosicché i termini dell'interrogazione sono due; Gesù potrà affermare o negare di essere il Cristo, ossia il Messia, e oltre a ciò di essere il Figlio d'iddio. E’ probabile che Caifa, in questo scongiuro, usasse i due termini come praticamente sinonimi; tuttavia egli stesso e gli altri membri del Sinedrio mostreranno in se­guito di saper ben distinguere il preciso significato dei due termini, e attribuiranno al termine il Figlio d'iddio un significato distinto e assai più alto che quello di Messia.

§ 567. Il momento era davvero solenne. Tutta l'operosità, tutta la missione di Gesù apparivano quasi riassunte nella risposta che egli avrebbe data allo scongiuro del sommo sacerdote. Chi interrogava era rivestito dell'autorità somma e ufficiale in Israele; chi rispondeva era colui che nella sua vita aveva serbato quasi costantemente oc­culta la sua qualità di Messia per ragioni d'oculata prudenza, confi­dandola soltanto negli ultimi tempi e soltanto a persone opportune e predisposte. a allora le ragioni di prudenza avevano cessato di esistere: peri­coloso che fosse, era ben giunto il momento di dichiarare apertamente la propria qualità davanti all'intero Israele, rappresentato dal som­mo sacerdote e dal Sinedrio. uttavia la risposta, che Gesù aveva già pronta, sarebbe stata certa­mente oggetto di scandalo per coloro a cui era diretta, a causa delle loro particolari condizioni di spirito: inoltre sarebbe stato necessario dapprima mettere bene in chiaro taluni principii sui quali essi po­tevano equivocare. Gesù quindi prudentemente ammoni: Se io ve (lo) dico, non (mi) crederete; se poi (vi) interrogherò, non (mi) rispon­derete (Luca, 22, 67-68). Questa ammonizione deluse per un momento l'ansiosa aspettativa dell'intera assemblea, i cui membri perciò dovettero esortare l'im­putato a rispondere, ripetendogli alla rinfusa la domanda del sommo sacerdote per ottenere la dichiarazione che essi si aspettavano. Gesù allora, indirizzandosi al sommo sacerdote rispose: Tu (l')hai detto; il che significava: “Io sono ciò che tu hai detto” (§ 543). A questa schematica affermazione l'imputato aggiunse una dichiarazione rivol­ta all'intera assemblea:Senonché vi dico, da adesso vedrete il figlio dell'uomo seduto a destra della “Potenza” e veniente sulle nubi del cielo. Questa aggiunta adduce, fondendoli insieme, due celebri passi messianici (Daniele, 7, 9. 13; Salmo 110 ebr., 1); essa infatti vuole precisare il senso della schematica affermazione di Gesù ricollegandola con le sacre Scritture ebraiche, e nello stesso tempo appellarsi ad una futura prova di quella affermazione due al ritorno glorioso del Messia sulle nubi del cielo, predetto dalle Scritture.

§ 568. Appena udite le parole di Gesù tutti i Sinedristi insorsero protesi e vibranti, e a gara domandarono all'imputato: Tu dunque sei il Figho d'Iddio? (Luca, 22, 70). Dalla precedente risposta di Gesù essi già avevano ottenuto la pre­ziosa confessione che egli si reputava Messia: poteva tuttavia rima­nere un dubbio, cioè se egli si reputasse bensì Messia ma non già “Figho d'iddio” nel senso ontologico dell'appellativo. In realtà, le allusioni fatte da Gesù ai due passi messianici mettevano sufficientemen­te in chiaro anche questo punto; tuttavia i Sinedristi, ansiosi di otte­nere una piena dichiarazione dall'imputato, gliene rivolsero formale domanda: Tu dunque sei oltreché il Messia anche il Figlio d'Iddio? Più precisi ed esatti di così, quei giudici non potevano essere. Più precisa ed esatta non poté essere la risposta di Gesù, la quale nel silenzio palpitante del tribunale risonò: Voi dite che io sono; il che significava: “Io sono ciò che voi dite” cioè il Figlio d'iddio. Ottenuta questa nettissima affermazione, il sommo sacerdote gridò esterrefatto: Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di te­stimoni? Ecco, adesso avete udito la bestemmia! Che ve (ne) pare? Tutti a gran voce risposero: E’ reo di morte! Per rendere più visivo e più impressionante il suo sdegno, il sommo sacerdote mentre aveva lanciato il primo grido si era anche strappato l'orlo superiore della tunica, com'era usanza di fare quando si assisteva ad una scena di sommo cordoglio; ma in realtà se quell'uomo avesse mostrato palesemente sul volto i veri sentimenti che aveva nel cuore, il suo aspetto sarebbe apparso illuminato di profonda e sincera gioia. Egli infatti credeva d'esser riuscito a far bestemmiare Gesù, e con ciò ad implicano nella sua propria condanna.

§ 569. Senonché l'interrogazione rivolta dal sommo sacerdote a Gesi aveva costituito una procedura del tutto illegale. Poiché fino allora era mancata la prova testimoniale, si era cercato di rendere l'impu­tato testimonio avverso a se stesso, contro la norma stabilita in Sanhedrin, 9 b, e di soiprenderlo in un preteso delitto flagrante; in tal modo non si teneva più conto dei pretesi delitti passati per con­centrarsi unicamente su uno presente, e Gesù non figurava più come un imputato responsabile di antiche colpe ma come un innocente arrestato per esser provocato a bestemmiare. Inoltre Gesù, affermando di essere il Messia, non aveva affatto be­stemmiato: in primo luogo perché egli in quella sua affermazione non aveva impiegato il nome di Dio, bensì aveva prudentemente so­stituito al pronome personale o generico di Dio (Jahveh ovvero Elohtm) l'appellativo di “Potenza” come solevano fare i rabbini; in secondo luogo, perché attribuire a se stesso o ad altri unicamente la qualità di Messia d'Israele non poteva considerarsi una bestemmia. Senza uscire infatti dal rabbinismo più ortodosso, un secolo più tardi il grande Rabbi Aqiba proclamerà Messia quel Bar Kokeba che gui­derà l'ultima e più catastrofica ribellione della Giudea contro Roma; eppure, nonostante questa fallace proclamazione, Rabbi Aqiba non solo non fu giudicato bestemmiatore ma rimase poi sernpre come uno dei più illustri luminari del giudaismo dell'Era Volgare. Perciò l'af­fermazione messianica che Gesù aveva fatta di se stesso, anche se non era accettata, poteva essere giudicata dai suoi avversari tutt'al più vana e millantatrice quale di un allucinato od esaltato come in realtà fu giudicata da alcuni contemporanei l'affermazione di Rabbi Aqiba - ma bestemmia contro la Divinità non era in alcun modo. Perché dunque il presidente gridò, e il tribunale confermò, che Gesù aveva bestemmiato? Evidentemente in forza della risposta afferma­tiva data da Gesù all'ultima interrogazione: Tu dunque sei il Figlio d'iddio? In questa domanda il termine il Figlio d'Iddio certamente non è - nell'intenzione stessa dell'interrogante - un pratico sinonimo del termine Messia, bensì rappresenta in confronto con questo termi­ne un ulteriore progresso, un climax, e riveste un significato assai superiore: gli interroganti volevano sapere da Gesù se egli, nel signi­ficato ontologicamente vero, si riteneva il Figlio d'iddio. Avendo Gesù risposto in maniera affermativa, fu giudicato bestem­miatore. E cosi il processo religioso era finito e la sentenza era stata data: Gesù era stato giudicato reo di morte come bestemmiatore. La procedura era riuscita al sommo sacerdote in maniera superiore alla sua aspettativa. Visto che era inutile sperare nelle deposizioni dei te­stimoni subornati, egli si era rivolto direttamente all'imputato pren­dendo di mira dapprima la qualità di Messia, perché ottenuta una confessione su questo punto il reo confesso ne avrebbe dovuto rispon­dere poi in sede politica davanti al procuratore romano. Senonché la confessione era stata così ampia e solenne, che aveva portato spon­taneamente all'altra interrogazione se l'imputato fosse - oltreché Messia - anche il Figlio d’Iddio. Questa nuova interrogazione, più deli­cata e decisiva che mai, aveva ottenuto pure essa una risposta piena­mente affermativa. Cosicché, in conclusione, l'inquirente aveva trionfato in ambedue i campi: in quello nazionale-politico, perché l'imputato aveva confes­sato di essere il Messia d'Israele; in quello rigorosamente religioso, perché aveva confessato di essere vero Figlio d'Iddio. Questa seconda confessione era stata decisiva davanti al tribunale del Sinedrio; la prima verrà addotta e sarà egualmente decisiva davanti al tribunale del procuratore romano. Questi fatti avvennero - come già accennammo (§ 564) - nella se­duta mattinale, la quale fu definitiva e incorporò nella sua procedura i risultati provvisori ottenuti nella seduta notturna. Ma nel frattempo erano già avvenuti o tuttora avvenivano altri fatti, che qui raggruppiamo a parte.
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