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sabato 3 novembre 2012

1921 - Vita di Gesù (paragrafi 562-565)


Il processo religioso davanti al Sinedrio

§ 562. Potevano essere circa due ore dopo la mezzanotte. Il gruppo delle guardie, recando con sé l'arrestato, rifece in senso inverso la stessa strada fatta poche ore prima da Gesù con gli Apostoli, e attra­versato il Cedron risalì sulla collina occidentale della città, ov'era la casa del sommo sacerdote Anna. Giunta ivi la scorta si divise; l'arre­stato e le guardie del Sinedrio rimasero nella casa, mentre i soldati della coorte romana si ritirarono nel loro quartiere sulla fortezza Antonia. Quanto avvenne allora è narrato in maniera diversa dai quattro evan­gelisti. Dei tre Sinottici, Matteo e Marco offrono una narrazione so­stanzialmente uniforme; da essi però si discosta notevolmente Luca, il sinottico che scrive dopo di loro; infine Giovanni, secondo il suo solito, fa precisazioni e integrazioni ai tre racconti precedenti pre­supponendoli già noti. Fra i Sinottici, Matteo e Marco parlano dì una presentazione di Gesù avvenuta di notte, e di un'altra davanti al Sinedrio avvenuta di buon mattino; Luca invece parla soltanto della presentazione mattinale davanti al Sinedrio. Giovanni, per conto suo, distingue una presentazione davanti al sommo sacerdote non più in carica, Anna, della quale tacciono i Sinottici, e una successiva presen­tazione davanti al sommo sacerdote allora in carica, Caifa; egli in­vece non parla di una presentazione davanti al Sinedrio. Per concordare queste varie relazioni basta aver presente quanto ri­levammo più volte nel passato: cioe' che i Sinottici spesso non si preoccupano né dell'integrità della narrazione né della serie crono­logica dei fatti, e che d'altra parte Giovanni evita abitualmente di ripetere il racconto dei Sinottici, pur facendo un tacito assegnamen­to su di esso con la mira di integrano. Così ad esempio, poiché Anna non era stato neppur nominato dai Sinottici, Giovanni comincia la narrazione precisando che Gesù fu condotto dapprima presso Anna (§ 164), e solo in seguito segnala che fu condotto presso Caifa, che è il sommo sacerdote di cui parlano i Sinottici. Molto probabilmente, a cagione anche della loro parentela, Anna e Caifa abitavano ambedue nello stesso edificio in appartamenti diffe­renti. Una tradizione assai antica, risalendo almeno al secolo IV, col­loca la casa di Caifa sulla collina occidentale della città a poche deci­ne di metri a settentrione del tradizionale cenacolo (§ 535). Se Gesù fu condotto dapprima presso Anna, la ragione fu probabilmente che costui, non più in carica ma sempre potentissimo (§ 52), aveva sug­gerito la maniera di catturare il Rabbi galileo; quasi in conseguenza di questa sua operosità e per deferenza al suo straordinario potere, il suo genero Caifa aveva dato ordine che l'arrestato fosse condotto di­rettamente presso Anna. A questo punto pertanto si inizia il processo di Gesù, che si svolse in due fasi differenti, presso due sedi differenti, e in forza di argo­menti in parte differenti. La prima fase è religiosa: Gesù, imputato di delitto religioso, compare davanti al tribunale nazionale-religioso del Sinedrio e ivi è dichiarato degno di morte. Ma questa sentenza ha valore soltanto teoretico, perché, come già sappiamo (§ 59), il Sinedrio non poteva eseguire le sentenze capitali da esso pronunziate se non fossero state individualmente ed esplicitamente approvate dal rappresentante dell'autorità di Roma. Allora, per far sì che la pro­pria sentenza non rimanga sterile e inefficace, il Sinedrio si rivolge al procuratore romano e qui si apre la seconda fase del processo: la quale si svolge, non più davanti ai giudici di prima, ma davanti al tribunale civile del procuratore; inoltre i giudici di prima compaiono nel nuovo tribunale in funzione di accusatori, e presentano accuse solo in minor parte religiose e in maggior parte politiche.

§ 563. Il processo religioso cominciò con un interrogatorio a cui An­na sottopose Gesù; ma esso non fu una vera inquisizione ufficiale, fu piuttosto un orientamento giuridico della questione o anche una soddisfazione personale che volle prendersi l'inquirente, in attesa che giudici e testimoni ufficiali fossero convocati in quell'ora notturna e intervenissero personalmente. Anna interrogò Gesù circa i suoi discepoli e il suo insegnamento. Gesù rispose Io palesemente ho parlato al mondo; io sempre inse­gnai in sinagoga e nel tempio dove tutti i Giudei s'adunano, e di na­scosto non parlai (di) nulla. Perché interroghi me? Interroga quei che udirono che cosa parlai loro. Ecco: costoro sanno le cose che dissi io (Giov., 18, 20-21). L'imputato rispondeva in maniera conforme al diritto delle genti: presso tutti i popoli, compreso l'ebraico, un accusato non rendeva te­stimonianza riguardo a se stesso; testimonianze valide erano soltanto quelle rese da testimoni alieni degni di fede, e Gesù con la sua risposta rinvia il giudice appunto a tali testimoni. Egli non è stato fon­datore di società segrete o insegnante d'una sapienza arcana e gelosa: ha parlato in luoghi pubblici e a tutti quei che si presentavano; costoro perciò potranno render testimonianza del suo insegnamento. In maniera analoga si era difeso, cinque secoli prima, Socrate davanti ai giudici ateniesi; anch'egli aveva parlato sempre palesemente, e se qualche testimonio avesse affermato d'aver udito da lui cose che non tutti avevano potuto udire sarebbe stato un mentitore. L'inappuntabile risposta di Gesù dovette provocare in Anna un gesto di dispetto, perché l'inquirente certamente sperava che l'imputato con la sua risposta fornisse argomenti per la sua futura accusa uffi­ciale. Il gesto stizzoso di Anna fu notato da uno dei presenti, servitore assai zelante, il quale stimò giusto prendere le parti dell'inquirente e andare incontro al suo segreto desiderio; trovandosi perciò vicino a Gesù, gli dette uno schiaffo esclamando scandalizzato:”Così rispondi al sommo sacerdote?”. Rispose a lui Gesti:”Se parlai male, rendi testimonianza circa il male; se invece bene, perché mi percuoti?” (Giov., 18, 22-23). Con questo schiaffo termina ciò che noi sappiamo dell'interrogatorio di Anna, il quale del resto non dovette esser lungo. Visto il contegno misuratissimo che l'imputato teneva e forse anche desiderando di non ingolfarsi nelle vicende del processo, Anna inviò senz'altro Gesù le­gato al sommo sacerdote in carica, il proprio genero Caifa. Il tra­gitto dall'una all'altra abitazione fu brevissimo, perché, come suppo­nemmo (§ 562), consistette nell'attraversare un cortile o atrio a cui facevano capo i vari appartamenti.

§ 564. Nel frattempo in casa di Caifa si erano radunati vari membri del Sinedrio, e quando furono in numero bastevole sottoposero Gesù a un regolare interrogatorio, ove si raccolsero i primi elementi della procedura ufficiale riguardante l'imputato. Tuttavia la seduta del Si­nedrio in vera funzione di tribunale fu tenuta soltanto più tardi, sul far del mattino, quasi per integrare ed applicare i risultati del primo saggio fatto durante la notte. Matteo e Marco sembrano attribuire l'interrogatorio di Gesù alla seduta notturna; Luca, cronologicamente più preciso, lo attribuisce alla seduta mattinale, e indubbiamente la sua attribuzione è da preferirsi. Riportammo altrove le prescrizioni minutissime ed accuratissime che si leggono nel Talmud riguardo ai processi, specialmente a quelli che potevano concludersi con una sentenza capitale (§ 60); ma accen­nammo anche che tutta quella legislazione, così ampia e sapiente, era anche troppo sapiente perché si potesse attuare nella pratica. Essa in realtà fu messa in iscritto soltanto dal secolo II dopo Cr. in poi, e agli storici imparziali appare oggi come una teoria astratta, come una visione ideale della perfetta amministrazione della giustizia, piutto­sto che come un codice normativo da seguirsi nella pratica; senza ri­pensare alle Utopie di Platone e di Tommaso Moro e senza uscire dallo stesso Israele, l'ampia e minuziosa legislazione di Ezechiele (capp. 40-48) riguardo al futuro Tempio aveva già offerto un tipico saggio di siffatte teorie o visioni ideali. E’ stato osservato giustamente da studiosi moderni, anche Israeliti, che la legislazione talmudica dei processi sembra congegnata in maniera da rendere impossibile una sentenza capitale: è certo poi che essa, fissata in scritto quando la nazione giudaica aveva perduto ogni autonomia politica ed era rap­presentata dai soli Farisei (§ 87), poté essere elaborata senza alcuna aderenza al presente e attribuita arbitrariamente al passato come un prodotto della “tradizione”. Che essa fosse totalmente inventata in occasione di questa sua codificazione, non è verosimile; ma le norme osservate per consuetudine ai tempi dell'autonomia e prima della codificazione dovevano essere rare e scarne e certamente ben lontane da quella precisione e minuziosità che ricevettero poi nello scritto. Ai tempi di Gesù, in mancanza della codificazione, vigevano soltanto norme consuetudinarie, di cui però non possiamo oggi stabilire il nu­mero e l'indole: possiamo ritenere in genere che esse corrispondeva­no solo ad una minima parte di ciò che più tardi risultò codifi­cato. Sarebbe quindi falso metodo confrontare - come si è fatto le dispo­sizioni processuali del Talmud con la pratica seguita nel processo di Gesù, per vedere se e fino a qual punto quelle disposizioni vi furono osservate: di molte di esse, infatti, non sappiamo neppure se allora esistessero. Esisteva certamente, ad esempio, la norma solenne e antica (Numeri, 35, 30; Deuteronomio, 17, 6; 19, 15) secondo cui nessuno poteva esser condannato se non in forza di testimonianze aliene, e non mai di una sola ma almeno di due o tre; al contrario non è si­curo che esistesse la norma codificata più tardi secondo cui in seduta notturna non potevano essere trattati processi criminali, e anche l'altra secondo cui una condanna a morte non poteva essere pronunziata nel giorno stesso della discussione del processo. Certo è che, nel pro-cesso di Gesù, tutte e tre queste norme non risultano osservate.

§ 565. Essendo pertanto stati preparati nella seduta notturna gli ar­gomenti principali per la seduta mattinale, questa fu tenuta appena si fece giorno (Luca, 22, 66), cioè appena cominciarono a diradarsi le tenebre notturne, anche prima della piena alba (§ 576). Dovevano essere circa le nostre ore cinque antimeridiane. Alla seduta notturna saranno intervenuti o i più focosi avversari di Gesù oppure i frequentatori più assidui della casa del sommo sacerdote; a quella mattinale invece intervennero i membri di tutti e tre i gruppi del Sinedrio (Luca, ivi; cfr. § 58). In osservanza pertanto dell'antica e solenne norma suaccennata si cominciò con escutere molti... testimoni, i quali però erano falsi; ma sia che la subornazione di tali testimoni fosse stata fatta in maniera affrettata e vaga, sia che essi riferendosi ad antichi fatti e discorsi di Gesù confondessero particolarità ben diverse, le loro testimonianze non erano concordi (Marco, 14, 56). Con tali deposizioni il processo non faceva un passo avanti e non si salvavano neppure le apparenze della legalità; giacché anche se a quei tempi non vigeva la norma, codificata più tardi, secondo cui il testimone doveva precisare esat­tamente il giorno, l'ora, il luogo, e tutte le altre minute circostanze del delitto attestato (§ 60), si richiedeva evidentemente che le depo­sizioni non si contraddicessero a vicenda. Qui invece si contraddi­cevano. Alla fine, tuttavia, si presentarono due testimoni che sembrarono con­cordi: il numero legale minimo, di due, c'era, e pareva esserci anche la concordia. Costoro deposero che Gesù aveva pronunziato le se­guenti parole: Posso demolire il santuario d'Iddio e in tre giorni edificar(lo) (Matteo, 26, 61); ovvero secondo l'altra relazione: Io demolirò questo santuario manufatto, e in tre giorni (ne) edificherò un altro non manufatto (Marco, 14, 58). Ma anche questa doppia testimonianza, all'ulteriore inquisizione dei giudici, non risultò con­corde nei suoi particolari: soprattutto, poi, essa non era vera né quan­to allo spirito né quanto alla lettera. La testimonianza infatti si riferiva evidentemente alle parole pro­nunziate da Gesù più di due anni prima, in occasione della cacciata dei mercanti dal Tempio (§ 287); ma già vedemmo cbe quelle parole erano metaforiche e si riferivano, non già al Tempio di Gerusalemme, ma al corpo di Gesù stesso. Inoltre, anche volendo prendere quelle parole come dirette al Tempio di Gerusalemme, Gesù non aveva espresso il proposito di demolire egli stesso il Tempio, bensì aveva sfidato i suoi avversari a demolirlo (Demolite questo santuario, ecc.); dunque egli tutt'al più sarebbe stato il ricostruttore del Tempio, eventualmente demolito dai Giudei, non già il suo demolitore. Ma ri­costruire il Tempio poteva esser titolo di encomio, non già argomento di accusa; una delle pochissime benemerenze che, mezzo secolo avan­ti, Erode il Grande si era procurato agli occhi dei Giudei osservanti era stata appunto quella di aver ricostruito più suntuosamente di prima il Tempio da lui stesso man mano demolito (§ 46). Certamente testimoni e giudici non credevano che Gesù potesse fare quanto Erode il Grande aveva fatto; ma essi in tal caso potevano concludere tutt'al più che l'imputato era un vanesio, un sognatore, un millanta­tore, non già un empio e un bestemmiatore.
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