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martedì 27 marzo 2012

1409 - Vita di Gesù (paragrafi 346-348)


La tempesta sedata e l'energumeno di Gerasa

§ 346. Di questa uniforrne operosità nella Galilea ci sono traman­dati soltanto pochi fatti particolari. In questo periodo certamente cadde la giornata dedicata da Gesù all'insegnamento per mezzo di parabole, della quale tuttavia è più opportuno trattare a parte, stac­candola dal suo inquadramento cronologico (§ 360). Altri episodi tramandati sono i seguenti. Forse la sera stessa della giornata delle parabole (cfr. Marco 4, 35) Gesù, che aveva parlato alle turbe sulla riva occidentale del lago di Tiberiade, salì in barca con i discepoli e comandò loro di passare alla riva opposta. La partenza, a quanto sembra, fu improvvisa ed affrettata: forse, ancora una volta, Gesù voleva sottrarsi alle fervo­rose dimostrazioni della folla che l'aveva ascoltato. La traversata è di pochi chilometri (§ 376) ma può esser pericolosa, specialmente se compiuta sul far della notte come quella volta, a causa dei venti freddi che si scaricano giù improvvisamente dal sovrastante nevoso Hermon e suscitano tempeste violentissime per quel lago e per le fragili imbarcazioni che lo percorrono. Così avvenne in quella serata. Gesù, stanco della faticosa giornata, si distese a poppa della barca e s'addorrnentò: Marco (4, 38), che più volte avrà udito il racconto dalla bocca di Pietro, menziona anche il cuscino su cui Gesù ap­poggiò la sua testa, il piccolo cuscino di cui erano provviste le più umili barche; inoltre, il solo Marco ricorda che altre barche accom­pagnavano quella di Gesù. Ad un tratto un turbine violento s'ab­batte sul lago, e ben presto la barca di Gesù è in pericolo e fa ac­qua; i barcaioli tentano manovrare, ma tutto è inutile e da un momento all'altro può esser la fine. Frattanto Gesù continua a dormire a poppa della squassata navicella. Dante, alla prima visione sovrumana che ebbe nel Purgatorio, scorse un vasello snelletto e leggiero guidato da un angelo; da poppa stava il celestial nocchiero, ma stava eretto e vigile con l'ale sue... dritte verso il cielo. Al contrario, a poppa di quella barchetta del lago, Gesù era disteso e dormiva, sembrava estraneo a quanto accadeva all'intorno, e nell'oscurità della notte lo si sarebbe scambiato per un ammasso di cordami o per una vela deposta e ripiegata. I discepoli non si spiegano quel sonno tra tutta quella furia degli elementi, e stanno ansiosi fra il desiderio di non disturbarlo e lo spavento della catastrofe imminente, fra il rispetto per il maestro e l'abitudine di ricorrere fiduciosi a lui. Ma, passato ancora del tempo, si convincono che oramai non si può più titubare: bisogna senz'altro svegliare ed avvisare il maestro, affinché pure egli provveda in qualche maniera alla propria salvezza. Gli si fanno perciò dappresso gridando: Mae­stro, siamo perduti! Sàlvaci! Gesù si sveglia: insieme col turbamento degli elementi egli nota il turbamento dei cuori. Voltatosi allora al turbine, comanda impe­rioso: Taci! Fa' silenzio! - Voltatosi quindi ai cuori esclama misericordioso: Che paura avete? Gente di poca fede! - Il turbamento degli elementi cessa ad un tratto, e si fa gran bonaccia. Il turba­mento dei cuori è sostituito da un altro d'altro genere, ché i presenti si dànno a riflettere: E chi è dunque costui, che perfino il vento e il mare gli obbediscono? Per i razionalisti il miracolo, naturalmente, è fittizio. I seguaci del­l’antico Paulus (§ 198) lo spiegheranno forse immaginando che sulla barca di Gesù stessero deposti molti otri d'olio, e l'esperto maestro ad un certo punto li facesse svuotare nel lago in modo da calmarne le onde; i moderni mitologi, invece, penseranno che si tratti di una pura allegoria. Una volta tanto con i mitologi concordano in parte gli studiosi spiritualisti, in quanto anche costoro trovano nella nar­razione un significato allegorico ma insieme con quello storico. Ambedue reali furono la tempesta e la bonaccia che avvennero attonno a quella barca: ma compiendo quel miracolo Gesù venne a prealombrare altre tempeste e altre bonacce che da secoli si avvicendano attorno a un'altra barca, non di legno ma non meno reale e storica, e i cui protagonisti sono gli stessi di quella notte là sul lago di Tiberiade. Da poppa stava il celestial nocchiero.Questa volta l'interpretazione allegorica non è un postulato filosofico, come abitualmente presso i mitologi, ma è fondata su fatti storici che ognu­no può riscontrare e che uno storico non deve fingere d'ignorare.

§ 347. Con quella bonaccia presto si toccò terra e si sbarcò. La riva raggiunta fu certamente quella orientale del lago, circa dirim­petto a Cafarnao o a Magdala, ma il suo nome varia presso i Sinot­tici; Matteo la chiama regione dei Gada reni, Marco dei Geraseni, Luca dei Gergeseni o piu' probabilmente dei Geraseni. I Gli appel­lativi da prendersi in considerazione, dei Gadareni e dei Geraseni, si riferiscono rispettivamente alle due città di Gadara e di Gerasa, che appartenevano ambedue alla Decapoli di là dal Giordano (§ 4); tuttavia ambedue erano situate a sud del lago e, specialmente Gerasa, assai lontane da esso, cosicché è difficile che i rispettivi terri­tori s'estendessero fin sulla sponda del lago dandole il proprio nome. Limitandosi pertanto agli appellativi derivati da Gadara e da Gera­sa, non è impossibile che i rivieraschi a occidente del lago designas­sero le opposte rive col nome delle città piu' celebri nella cui direzione essi guardavano: questi appellativi geografici di direzione non sono rari negli usi paesani. Tuttavia la spiegazione dell'apparente incongruenza può forse esser suggerita dal terzo appellativo dei Ger­geseni, meno autorevole sotto l'aspetto documentario ma più racco­mandato dai riscontri archeologici (§ 348). Giunto pertanto Gesù col suo seguito a oriente del lago, uno dei giorni seguenti alla notte dell'approdo, avvenne un fatto che è nar­rato da tutti e tre i Sinottici, nella maniera più breve da Matteo, nella più ampia da Marco: tuttavia il riassunto di Matteo fornisce una particolarità non trasmessa dagli altri due Sinottici, cioè che del fatto furono attori due indemoniati, e non già uno solo come nsul­terebbe da Marco e da Luca. Certamente il fatto è il medesimo, e questa differente maniera di narrarlo è un bell'esempio della man­canza di servilismo letterario presso gli evangelisti (§ 122) e della loro particolare maniera di trattare gli argomenti: Marco e Luca si accentrano sull'attore principale e neppure ricordano quello se­condario; Matteo, sebbene più ristretto, li ricorda ambedue. Lo stesso avverrà nuovamente nel caso dei ciechi di Gerico (§ 497). A Gesù, dunque, si fece incontro un indemoniato. Era un essere sel­vaggio e imbestialito, che aveva scelto la sua dimora abituale fra im­pure tombe e s'aggirava in quella zona tutto nudo; dotato di forza mostruosa, aveva sempre spezzato funi e catene con cui avevano tentato più volte di legarlo, tratto tratto gridava furiosamente o si percoteva con sassi, e ispirava tanto terrore che nella zona ove egli si aggirava nessuno più voleva passare. Quando costui ebbe scorto Gesù da lontano, gli corse incontro, ma invece di aggredirlo si pro­strò davanti a lui urlando: Che c'e' fra me e te; (cfr. § 283), Gesu' figlio d'iddio altissimo? Ti scongiuro per iddio, non mi tormentare! (Marco, 5, 7). Aveva pariato l'uomo imbestialito, ma la risposta di Gesù s'indirizzò a colui che stava dentro l'uomo ad imbestialirlo. Disse infatti Gesù: Esci, spirito impuro, dall'uomo! Più che un comando, le parole furono un annunzio; Gesù infatti interrogò, subito appresso, l'imbestialente: Che nome hai? E quello: il nome mio e' “Legione”, perché siamo molti. La parola non risonava allora in Palestina e fuori senza suscitare un ar­cano sbigottimento; quella moltitudine d'armati fusi in compattezza mirabile a formare un travolgente congegno guerresco sembrava un'istituzione sovrumana, e più tardi Vegezio, ripetendo certamente idee anteriori a lui, parlerà di istituzione divina: non tantum huma­no consilio, sed etiam divinitatis instinctu legiones a Romanis arbi­tror constitutas (Vegezio, lì, 21). Ai tempi di Gesù la romana legione variava dai 5000 ai 6000 uomini: ma qui l'interpellato impiega cer­tamente la parola per alludere in maniera generica a una moltitu­dine grande e compatta.


§ 348. Fatta questa confessione, la moltitudine degli interpellati si raccomandava molto a lui, a Gesù, affinché non li inviasse fuori della regione, intendendo certamente la circostante regione: ma questo punto di partenza è sostituito presso Luca (8, 31) col punto d'arrivo, perché ivi si dice che la raccomandazione era di non in­viarlinell'abisso. La raccomandazione fu rincalzata da una propo­sta concreta: era la' verso il monte un grosso branco di porci che pascolava; e (quelli) si raccomandavano a lui dicendo: Màndaci nei porci, affinché entriamo in essi! Ed (egli lo) permise loro. E usciti, gli spiriti impuri entrarono nei porci, e il branco si slanciò giu' per il precipizio nel mare - circa duemila - e affogarono nel mare. La presenza di un branco di porci conferma che si era fuori del terri­torio giudaico, perché nella vera Palestina per le note prescrizioni della Legge non si allevavano quegli animali impuri: i quali perciò qui appaiono come asilo ricercato dagli spiriti impuri, costretti ad uscire dall'uomo. Visto ciò ch'era successo, i pastori dei porci se la dettero a gambe, corsero nella città vicina a narrare il fatto e a giustificarsi del danno subito presso i padroni del branco. Dalla città si venne a riscontrare la realtà degli avvenimenti: si trovò che quel notissimò energumeno, già cosi feroce e imbestialito, stava adesso vicino a Gesù ma tranquillo, seduto, vestito e sano di mente; inter­rogati poi i testimoni si riseppe per filo e per segno com'erano andate le cose. Quegli Ellenisti accorsi non dubitarono minimamente del portento, anzi appunto perché lo credettero pienamente miracoloso s'impensierirono per il futuro: da uomini pratici ed economici quali erano, pensarono che con un taumaturgo di quella forza in giro per i loro territori non si sapeva mai quel che potesse succedere; perciò, rivoltisi a Gesù, cominciarono a raccomandargli di partir­sene dai loro confini. Gesù acconsentì e si avviò verso la barca; l'in­demoniato guarito voleva che l'accogliesse al suo seguito, ma Gesù gli prescrisse di tornare in seno alla propria famiglia e di far cono­scere il beneficio ricevuto da Dio. Il beneficato obbedì, e se n'andò e cominciò ad annunziare nella Deca poli quanto Gesu' gli fece, e tutti ammiravano. Il riconoscimento del luogo ove avvenne il fatto è oggi seriamente probabile. Sulla riva orientale del lago, quasi dirimpetto a Magdala, si estende la zona dell'antica città di Hippos, ove in realtà le colline digradano a qualche distanza dalle acque del lago; tuttavia, a set­tentrione di questa zona, sbocca il wadi es-Samak che è chiuso a sud da un piccolo promontorio alto qualche centinaio di metri e cosi dirupato sull'acqua che ai suoi piedi resta una spiaggia di poche decine di passi; varie caverne, aperte nei fianchi del promontorio, hanno tutto l'aspetto di essere state in antico tombe. Geologicamente dunque lo scenario corrisponde, giacché il promontorio sarebbe il precipizio da cui si gettarono i porci andando per il loro impeto a finire nell'acqua, e le tombe sarebbero l'abituale dimora dell'indemoniato. Ma forse c'è anche una corrispondenza onomastica: presso lo sbocco del wadi es-Samak è situato un villaggio chiamato oggi dagli Arabi Korsi, ma che ha ricevuto il suo nome da un abitato più antico che ai tempi dei Bizantini era chiamato Kopa e situato circa un chilo­metro più ad oriente. Ora, se si hanno presenti le facili oscillazioni di pronunzia di un dato nome lungo i secoli - oscillazioni tanto abi­tuali che, oggi stesso, Korsi è pronunziato da quei del luogo anche Kersa o Ghersa - si comprende come Origene riavvicinasse il Kersa o il Ghersa da lui uditi pronunziare, al Gergesa e ai Gergeseni del­l'Antico Testamento (§ 347, nota) e li sostituisse con questi nomi cre­dendo di appoggiarsi su una tradizione locale; senonché mentre la tradizione era buona come quella odierna, la sostituzione era arbi­traria. Si avrebbe così non solo la corrispondenza geologica, ma an­che quella toponomastica, giacché l'antica Korsi sarebbe la città donde uscirono gli abitanti per pregare Gesù d'allontanarsi; essendo però un nome poco o punto noto, sarebbe stato sottoposto dai copisti o dai traduttori dei testi evangelici a quelle variazioni con cui e giunto fino a noi.

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