Ministero spicciolo
§ 343. Subito dopo il racconto del convito di Simone, Luca soggiunge: E avvenne in seguito, ed egli viaggiava per città e borgate predicando e annunziando la buona novella del regno d'Iddio, e i dodici con lui (Luca, 8, 1). Queste parole possono valere come un generico riassunto dell'operosità spiegata da Gesù in Galilea nel restante di questo tempo, fino alla seconda Pasqua del suo ministero pubblico. Quell'operosità dovette essere intensa, benché forse non molto varia, e probabilmente la primitiva catechesi della Chiesa ne raccontava episodi più numerosi dei pochi trasmessi fino a noi. Fu una vita da missionario ambulante, per cui Gesù si trasferiva da regione a regione e da borgata a borgata, predicando in pubblico ed in privato, nelle sinagoghe e nelle case, e confermando le sue predicazioni con miracoli; naturalmente le turbe accorrevano a lui attratte, non soltanto dall'efficacia dei suoi insegnamenti, ma anche più dall'utilità immediata dei miracoli. Gesù non era solo: aveva con sé un gruppetto di persone a lui devote, e anche un codazzo mutevole di gente animata da altri sentimenti. Fra le persone a lui devote erano in primo luogo i dodici Apostoli da lui scelti, che erano suoi abituali cooperatori nel ministero e forse solo saltuariamente e per poco tempo si allontanavano da lui; vi erano certamente anche altri discepoli, sebbene non Apostoli, legati da particolare affetto al maestro. Ma in quella vita di continua peregrinazione il gruppetto di Gesù e dei suoi cooperatori aveva bisogno di qualche assistenza materiale per le esigenze imperiose della vita, tanto più che l'incessante ministero non doveva lasciar loro il tempo di provvedersi da essi stessi, né si poteva pretendere che una ventina e forse più di persone trovasse vitto e alloggio, sempre gratuiti e pronti, in qualunque misero villaggio della Galilea. Per questa ragione, subito dopo la precedente notizia, l'accorto Luca ci comunica che insieme a Gesù e i dodici erano anche talune donne ch'erano state curate da spiriti maligni e infermità, Maria quella chiamata Magdalena dalla quale erano usciti sette demonii, e Giovanna moglie di Chuza sovrintendente di Erode, e Susanna e molte altre, le quali ministravano ad essi dalle loro proprie sostanze. Già osservammo che queste donne dovettero essere, più tardi, fonti di notizie per l'evangelista (§ 142); qui egli ci dice ch'esse erano anche le solerti massaie del gruppetto di Gesù, e la cosa appare naturalissima: non è però necessario credere che tutte sempre seguissero Gesù nelle sue continue peregrinazioni, ma basterà supporre che fra di esse fosse in uso una specie di organizzato avvicendamento per provvedere ai bisogni dei missionari, assistendoli a proprie spese e spesso anche servendoli di persona. Queste donne erano state curate da spiriti maligni e infermità per opera di Gesù: dunque la gratitudine le aveva spinte ad incaricarsi di un'opera particolarmente appropriata a donne, quale il governo materiale di una specie di famiglia. I mezzi per fronteggiare le spese - che del resto certamente non erano gravi - non dovevano difettare: Giovanna, come moglie di un sovrintendente di Erode (Antipa), era senza dubbio facoltosa, e forse anche altre erano ben provviste: le meno fornite di beni materiali avranno supplito specialmente con l'opera personale. Delle donne qui mentovate, Giovanna e Susanna sono ricordate dal solo Luca, Maria la Magdalena anche dagli altri evangelisti. Il suo appellativo di Magdalena la designa come originaria di Magdala, cioè Tarichea (§ 303), sulla riva occidentale del lago, e quindi nativa della Galilea e non della Giudea; se poi è detto che da essa erano usciti sette demonii, ciò significa soltanto ch'era stata liberata per opera di Gesù da qualche potente ossessione diabolica, mentre non avrebbe il minimo fondamento nelle narrazioni evangeliche supporre che ella fosse stata in precedenza una donna di mala vita e tanto meno l'innominata peccatrice del convito di Simone (§ 341).
§ 344. Ma, oltre a questo gruppo di gente fedele, ronzava attorno a Gesù anche un codazzo di persone in parte nettamente ostili, quali i Farisei, in parte diffidenti o almeno dubbiose e incerte. Su queste ultime ci informa incidentalmente una breve notizia di Marco (3, 20-21). Durante una peregrinazione avvenuta in questo tempo, probabilmente in qualche borgata della zona tra Cafarnao e Nazareth, Gesù viene ad una casa, e di nuovo si raduna folla, tanto che essi (Gesù e i discepoli) non potevano neppure prender cibo; era dunque una delle solite affluenze di popolo, ma questa volta anche più incomoda per la ristrettezza di spazio. Ora, tali abituali affluenze, e anche l'operosità infaticabile di Gesu', avevano richiamato l'attenzione pure delle persone neutrali e indifferenti, che non sentivano né l'affetto dei discepoli né l'astio dei Farisei; tali persone avevano anche espresso il loro giudizio su Gesù, e dicevano “E’ fuori di sé” Questa espressione, pur non escludendo un senso dispregiativo, non lo include per necessità affatto: poteva essere fuori di sé tanto un uomo, psichicamente anormale, quanto un uomo normalissimo ma tutto preso da un entusiasmo sapiente e santo (cfr. Il Cor., 5, 13). Cotesti neutrali e indifferenti si erano cavati d'impaccio giudicando Gesù in maniera ambigua e riferendosi solo a ciò che appariva palesemente al di fuori, cioè alla sua incessante operosità missionaria che presupponeva uno stato d'animo fuor dell'ordinario: ma sulla vera indole di quello stato d'animo essi non avevano dato alcun giudizio. L'ambigua sentenza era giunta alle orecchie dei parenti di Gesù, e saputo che proprio allora egli si trovava come assediato in quella casa, i suoi uscirono per impadronirsi di lui, poiché dicevano “E’ fuori di sé”. L'espressione i suoi designa certamente la parentela di Gesù, di cui già sappiamo che taluni erano sfavorevoli a lui (§ 264); ma ciò non basta per riferire necessariamente a costoro la sentenza “È fuori di sé”,perché il verbo reggente dicevano può benissimo valere per un impersonale (si diceva, la gente diceva) come si ritrova altre volte in Marco (3, 30; ecc.). Inoltre, da chiunque fosse stato espresso quel giudizio, la venuta dei parenti aveva secondo ogni verosimiglianza uno scopo amichevole e benigno: essi accorrevano, non già per legare e portar via Gesù come pazzo, bensì per indurlo a moderarsi nel suo entusiasmo missionario, a prendersi cura della sua persona, a fare insomma una vita comoda e normale tra i suoi al riparo dalle minacce dei Farisei. Ma, anche sotto tale luce benigna, quei parenti di Gesù figuravano egualmente come eroi della mediocrità, i quali non sapevano capacitarsi che quel loro singolare congiunto, ignaro di scuole e d'accademie, si fosse messo in testa di prender di petto i Farisei e di sconvolgere la Galilea, invece di starsene tranquillo e pacifico a casa sua.
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