Presbitero S.J. e martire
Giovanni, al secolo Jean, de Brébeuf nacque il 25 marzo 1593 nel castello feudale di Condé-sur-Vire, nella diocesi di Bayeux in Francia; discendente di una antica famiglia, nobile e cavalleresca.
Aveva 20 anni quando l’8 novembre 1617, entrò nel Noviziato dei Gesuiti a Rouen e dove il 25 marzo 1622 a 29 anni esatti, fu ordinato sacerdote.
Dopo tre anni, nell’aprile 1625 s’imbarcò con altri missionari gesuiti a Duppe, per il Canada, in quell’epoca colonia francese, raggiungendo Québec il 19 giugno.
In questa immensa terra si fece notare per la sua anima eroica e generosa, tanto è vero che le Suore Orsoline di Québec, lo chiamavano “personificazione della grandezza e del coraggio”.
Per cinque mesi accompagnò gli Indiani Algonchini, attraverso le foreste nevose di quell’inverno e anche se non convertì nessun Indiano, poté apprendere la loro lingua, componendo un dizionario e una grammatica e facendosi comunque amare ed ammirare da loro.
Nel mese di marzo 1626, Giovanni de Brébeuf riuscì ad imbarcarsi su una canoa degli Uroni e con la loro flottiglia risalì il fiume S. Lorenzo e da lì poi nel fiume Ottawa, raggiungendo, dopo trenta giorni, il territorio degli Uroni dove risedette per tre anni in completa solitudine, sia di territorio, sia di approccio con questo popolo, a cui a stento riuscì a battezzare qualche bimbo in fin di vita.
Riuscì comunque a scrivere nella loro lingua un catechismo, che diventò un saggio raro di quel linguaggio, scomparso con l’annientamento degli Uroni qualche decennio dopo.
Per i noti motivi politici e coloniali, la città di Québec e la colonia francese, passarono agli inglesi e i missionari cattolici, a malincuore, dovettero lasciare il Canada e ritornare in Francia.
Dopo il Trattato di S. Germano del 29 marzo 1632, con il quale la Francia riebbe il Canada, anche i Gesuiti ripresero le loro missioni; padre Giovanni de Brébeuf ritornò fra gli Uroni a condividere quella desolata esistenza.
Alla fine del 1636 una malattia epidemica scoppiò nel villaggio, sembra proprio nella misera capanna dei missionari (i meno immunizzati, naturalmente, a tanta sporcizia e mancanza d’igiene), diffondendosi alle capanne vicine e poi all’intero villaggio e a quelli dei dintorni; estendendosi a macchia d’olio, seminando morti in quantità, specie bambini.
I padri Gesuiti, ancora convalescenti, presero ad aiutare tutti, dando prova ed esempio di cristiana carità; nonostante l’avversità degli stregoni che li ritenevano responsabili dell’epidemia.
In particolare padre Giovanni de Brébeuf, anche quando rivestì la carica di Superiore della Missione, sopportava con ammirevole pazienza e con il sorriso sulle labbra, gli insulti, le offese, le lividure e le ferite, che gli Uroni gli infliggevano, sempre aizzati dagli stregoni; sempre primo a svolgere i compiti più gravosi, ad alzarsi la mattina e accendere il fuoco e l’ultimo a coricarsi.
Dal 1637 i suoi coraggiosi e tenaci tentativi di evangelizzazione cominciarono a dare i primi frutti, al punto che nel 1649, anno in cui morì, gli Uroni battezzati erano settemila.
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