Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

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mercoledì 14 settembre 2011

1098 - Commento al Vangelo di oggi 14/9/2010

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (3,13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Esaltare la Croce è un atto che solo una persona piena di Fede può compiere. Non è la propria croce che si innalza per poi magari crocifiggersi, è la Santa Croce di Gesù, quella che ha permesso la salvezza dell’umanità. Gesù ha scelto questo strumento per riportare l’amicizia tra suo Padre e l’umanità, dopo il peccato originale.
Parlare di croce causa sempre un assalto di paura a moltissimi cattolici, per non parlare degli atei. La croce viene considerata come qualcosa che appesantisce la vita e la delimita, la soffoca, la blocca e non fa respirare. C’è un rigetto istintivo verso la croce, spesso si incolpa Dio per una sofferenza o una malattia.
Sul significato della croce c’è una estesa inconsapevolezza e avventatezza.
Comincio dalla croce personale. Ognuno di noi porta la sua, quindi si tratta di qualcosa che è attinente alla persona. Gesù non ha alcuna responsabilità, non vuole assolutamente che soffriamo, nel senso che non causa mai una malattia. Come sappiamo, Egli trasforma il male in bene, la malattia o sofferenza in riparazione.
Se Gesù non ha assolutamente alcuna responsabilità della croce che portiamo sulle spalle, la vera responsabilità è di ognuno di noi. I peccati passati sono il peso della croce. I peccati commessi nel passato si riversano inevitabilmente sulla quotidianità, e considerato dal punto di vista della Fede, è una Grazia. Se si riesce a sopportare con amore la sofferenza.
Come deve essere tremendo per i non credenti vivere nell’ingannevole felicità senza croce e finire all’inferno.
Noi invece vogliano salvare l’anima eternamente, lottiamo per non compiere peccati e frequentiamo i Sacramenti. Sappiamo che per entrare in Paradiso occorre l’abito bianco, quello della Grazia, e bisogna pure scaricare qui sulla terra tutto il peso della pena da espiare. La Confessione toglie la colpa con l’assoluzione, poi bisogna scaricare le conseguenze dei peccati che sono le pene.
Leggiamo il nuovo Catechismo della Chiesa: «Il perdono del peccato e la restaurazione della comunione con Dio comportano la remissione delle pene eterne del peccato. Rimangono, tuttavia, le pene temporali del peccato. Il cristiano deve sforzarsi, sopportando pazientemente le sofferenze e le prove di ogni genere e di accettare come una Grazia queste pene temporali del peccato; deve impegnarsi, attraverso le opere di misericordia e di carità, come pure mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, a spogliarsi completamente dell'uomo vecchio e a rivestire l'uomo nuovo» (1473).
C’è chi porta la croce di altri, intendo anche quei familiari che si addossano ed accollano preoccupazioni dei congiunti, le loro sofferenze o malattie, le loro frustrazioni e mancanza di senso esistenziale. È senz’altro un gesto eroico prendere sopra di sé le sofferenze perché si tratta di un congiunto, ancora più santa è l’azione di quanti si caricano delle sofferenze degli altri anche senza conoscerli. Sono i Santi a compiere questa riparazione.
Allora la croce non è uno strumento negativo, al contrario è segno di salvezza e di redenzione. La croce dei nostri peccati ci purifica giorno dopo giorno da tutte le miserie spirituali che portiamo addosso. Distrugge l’istinto e abbassa la cresta all’orgoglio e alla superbia.
La croce ci rende umili e fortissimi. Lo ha provato San Paolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte”.
“Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo” (2 Cor 12,10).
Non dimenticatelo mai: “Quando sono debole, è allora che sono forte”.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.
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