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sabato 30 dicembre 2017

SC 22 Commento al Vangelo del 30.12. 2017 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

+ Dal Vangelo secondo Luca (2,36-40)
Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. C’era una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal Tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il Bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la Grazia di Dio era su di Lui. 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Anna, la profetessa che adora Gesù Bambino davanti al Tempio e inizia a parlare di Lui a quanti si trovano nei dintorni, ci mostra l’atteggiamento del cristiano che ha veramente incontrato il Signore. La conoscenza bisogna approfondirla soprattutto quando l’oggetto è Dio.
In questo tempo di rilassamento religioso, i cristiani che non vogliono perdere Gesù devono pregare con maggiore partecipazione.
Non è spirituale compiere solo delle opere anche se buone, le opere devono essere il frutto della preghiera, esse vanno compiute per amore di Dio. L’intenzione è importante, come lo è anche la pratica delle buone opere, ma senza rivolgersi a Dio ognuno può fermarle a se stesso.
Nella preghiera sono importanti la perseveranza e le buone disposizioni: fra le altre, la Fede e l’umiltà. In Anna troviamo una Fede straordinaria, ella vede il Bambino e conosce che è Lui il Messia atteso, e la sua Fede è emanazione della sua umiltà.
Non può esistere una grande Fede se non c’è un cammino di rinnegamento e di approfondita conoscenza personale. Non possiamo recarci a pregare come il fariseo di quella parabola che il Signore raccontò per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri.
Il fariseo stando in piedi pregava così: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri (…) Digiuno due volte a settimana…”. Ci accorgiamo subito che il fariseo è entrato nel Tempio senza amore. Lo stesso può avvenire nel cristiano che prega senza amore e non riesce ad entrare nella vera preghiera.
Il fariseo è il centro dei suoi pensieri, l’oggetto della sua stima.
E quindi invece di lodare Dio loda se stesso. Non c’è amore nella sua preghiera, non c’è neppure carità perché non c’è umiltà. Non ha bisogno di Dio.
Al contrario, abbiamo molto da imparare dalla preghiera del pubblicano, umile, attenta, tutta rivolta a Dio, fiduciosa.
Questa preghiera si eleva facilmente verso i Cieli perché è piena di amore e le Grazie si ottengono con maggiore facilità.
Ognuno procuri di non fare dei monologhi quando prega, non si deve orbitare attorno a noi stessi, rievocando i fatti nostri senza riferirli a Dio o lasciando che l’immaginazione divaghi senza freno.
Il Signore ci chiede semplicità.
Desidera che riconosciamo le nostre mancanze e che gli parliamo delle nostre cose e delle sue.
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