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domenica 15 gennaio 2012

1252 - Vita di Gesù (paragrafi 277-278)

Giovanni declinante e Gesù ascendente


§ 277 Nel frattempo Giovanni il Battista continuava il suo ministero, e tanto più continuavano a vigilarlo i potentati di Gerusalemme (§ 269). Ma, insomma, chi era quel solitario indipendente, nè Fariseo nè Sadduceo, nè Zelota nè romanofilo, nè Esseno nè Erodiano, che amministrava un battesimo non incluso nel cerimoniale giudaico e predicava un “cambiamento di mente” (§ 266) non contemplato dalla casuistica degli Scribi? Pazienza poi se fosse rimasto solitario nel suo deserto, tutt'al più con un gramo codazzo di discepoli appresso; costui invece si trascinava appresso le folle, e correvano a lui da Gerusalemme e dalla Giudea non meno che dalla lontana Galilea. Indubbiamente quell'uomo era una forza morale di prim'ordine, e coloro che in Gerusalemme tenevano in mano le briglie del giudaismo non potevano lasciarlo ancora sbrigliato. O con loro, o contro di loro. Dichiarasse una buona volta apertamente chi era e che cosa voleva! Per sapere questo si ricorse, naturalmente, a una commissione. Sic­come poi lo scopo interessava più o meno tutti, così si scelse una commissione mista in cui entrarono sia sacerdoti e Leviti, cioè in maggioranza Sadducei, sia autentici Farisei, e tutti insieme da Gerusalemme si recarono a Bethania d'oltre il Giordano (§ 269), ove in quel tempo s'intratteneva Giovanni. La commissione si presenta, non come accusatrice, ma solo come investigatrice; essa rappresenta i maggiorenti e i benpensanti del giudaismo che hanno diritto di sapere, quindi domanda a Giovanni: Tu chi sei? (Giovanni, 1, 19). Circa quattro secoli e mezzo prima, dai maggiorenti e benpensanti di Atene era stata rivolta l'identica domanda a Socrate: Tu, insom­ma, chi sei? (Arriano, Epitteto, III, 1, 22). Ma la domanda dei Ge­rosolimitani, pur nella sua imprecisione, mirava ad uno scopo ben preciso; poiché le grandi folle che accorrevano a Giovanni si chie­devano sempre più insistentemente se egli fosse il Messia, la coni-missione voleva investigare che cosa pensasse su ciò Giovanni stesso. Ma Giovanni confessò e non negò, e confessò: Io non sono il Cristo (Messia) (Giovanni, I, 20). Quelli replicarono: Sei Elia, che tutti aspettano come precursore del Messia? Sei il profeta, quello pari a Mosè che dovrà apparire ai tempi messianici? - A ogni domanda Giovanni risponde: No! - Ma dunque chi sei, insistono i commis­sari, perché dovremo pur riportare una risposta a Gerusalemme! - Io sono la voce di chi grida nel deserto: “Raddrizzate la via del Signore”, come dice il profeta Isaia (Isaia, 40, 3). La risposta non soddisfece i commissari, specialmente i Farisei. Perciò questi replicarono: Ma allora, se tu non sei nè il Cristo nè Elia né il profeta, perché battezzi? - E allora Giovanni ripeté a loro l'annunzio già dato alle folle: egli battezzava in acqua ma in mezzo a loro stava uno ch'essi non conoscevano, che veniva dopo di lui, e del quale egli non era degno di sciogliere il legaccio dei calzari.


§ 278 Il giorno appresso a questo incontro, avendo finito la sua quadragesima, Gesù venne di nuovo a Giovanni presso il fiume. Giovanni lo scorse tra la folla e additandolo ai propri discepoli esclamò: Guarda! L'agnello d'Iddio, quello che toglie il peccato del mondo! Questi e' colui del quale io dissi “Dopo di me viene un uomo che avanti a me è stato (promosso), perché prima di me era”; e dopo aver alluso all'apparizione avvenuta al battesimo di Gesù, concluse: E io ho veduto e ho attestato che questi e' il figlio d'iddio (Giov., 1, 29... 34). La metafora di Giovanni, che chiamava Gesù l'agnello d'iddio, fa­ceva insieme tornare alla mente degli uditori giudei i veri agnelli che erano sacrificati nel Tempio di Gerusalemme ogni giorno, e soprattutto alla Pasqua: a qualche uditore più versato nelle scritture poteva anche ricordare che, in esse, il futuro Messia era stato contemplato come un agnello portato a scannare per i delitti altrui (Isala, 53, 7 e 4), e che pure altri profeti vi erano stati rassomigliati a quel mite animale destinato ordinariamente a vittima (Geremia, 11, 19) Il collegamento fra i due concetti di agnello-vittima e di figlio di Dio sarà sfuggito probabilmente a quasi tutti gli uditori, ma a Giovanni doveva stare molto a cuore, tanto che vi ritornò sopra il giorno appresso. Il giorno seguente (questa precisione cronologica è dell'accurato evangelista non sinottico: (Giov., 1, 35; cfr. § 163), mentre Giovanni s'intratteneva con due soli discepoli, vide nuovamente Gesù che pas­sava lì presso, e additandolo esclamò ancora: Guarda! L'agnello d'Iddio! I due discepoli, colpiti dalla frase e dalla sua insistenza, discostatisi da Giovanni si misero a seguire Gesù che si allontanava. Scortili Gesù, domandò loro: Che cercate? - Quelli risposero: Rabbi, ove dimori? - E Gesù a loro: Venite e vedrete. - S'accompa­gnarono infatti con lui alla sua dimora, la quale a causa della molta gente accorsa a Giovanni poteva essere una di quelle capanne per guardiani di campi usate ancora oggi nella vallata di Gerico. Erano circa le quattro del pomeriggio. I due discepoli di Giovanni ri­masero cosi dominati dalla potenza dello sconosciuto Rabbi, che s'intrattennero con lui il resto di quel giorno e certo anche la notte seguente. I due erano scesi giù dalla Galilea: uno era Andrea, fratello di Simone Pietro: l'altro è innominato, ma ciò basta in questa narrazione a farlo riconoscere come se fosse anch'egli nominato. E’ l’evangelista Giovanni, il testimone che può narrare questi fatti con tanta pre­cisione di giorni e di ore; è l'adolescente neppur ventenne destinato a diventare il discepolo che Gesu' amava (§ 155), e che in quel pri­mo giorno in cui incontrò Gesù avrebbe potuto scrivere nel libro di sua vita, con veracità ben più alta che l'Alighieri il giorno che incontrò Beatrice, Incipit vita nova. Dopo quella prima permanenza con Gesù, il fervido Andrea volle accomunare nella propria letizia suo fratello Simone. Rintracciatolo, gli dice: Sai? Abbiamo trovato il Messia! - Lo accompagna quindi a Gesù. Gesù lo guarda, e poi gli dice: Tu sei Simone figlio di Giovanni; tu però ti chiamerai Kepha. - In aramaico kepha significa “roccia”, ma come nome personale non appare usato nell'Antico Testamento e neppure ai tempi di Gesù; a sentirsi rivolgere quelle inaspettate parole è molto probabile che Simone non ne capisse nulla, o tutt'al più giudicasse che l'ignoto Rabbi con la sua mente correva appresso a idee tutte sue personali (§ 397).
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