Un ricco si presenta a Gesù. Considerazioni sulla ricchezza
§ 484. Quando Gesù stava per allontanarsi dal luogo ove gli erano stati presentati i bambini, si presentò frettoloso un giovane che inginocchiatosi davanti gli domandò: “Maestro buono, che cosa farò perché (io) possa ereditare (la) vita eterna?”. Ma Gesu' gli disse:”Perché mi dici buono? Nessuno (é) buono se non uno, Iddio” (Marco, 10, 17-18). Già rilevammo (§121, nota) come i termini di. questo dialogo, confermati da Luca, appaiono in maniera diversa presso Matteo: si temette infatti che i termini, com'erano impiegati in Marco e Luca, offrissero appiglio a scandalo potendo essere interpretati come negazione della bontà di Gesù e della sua divinità; e quindi il traduttore greco del Matteo aramaico, pur conservando materialmente i termini, li impiegò in maniera diversa per togliere ai suoi lettori ogni occasione di malinteso. Ma, appunto perché più difficile (§ 480), il testo di Marco e Luca ha in suo favore ogni probabilità di essere il più antico e il più esatto nel riportare le parole di Gesù: il testo di Matteo, più facile, rispecchia meglio l'impiego che del dialogo faceva la catechesi cristiana posteriormente alla pubblicazione dei vangeli di Marco e di Luca. Riportandosi alle circostanze storiche, i termini del dialogo si spiegano agevolmente. L'appellativo Maestro buono (Rabbi taba) non era mai usato parlando a rabbini, neppure ai più autorevoli, poiché sembrava esagerata adulazione: un rabbino si riteneva sufficientemente onorato dal termine Maestro, mentre colui al quale spettava l'appellativo di buono era a rigore soltanto Dio. Qui il giovane, che ha visto Gesù abbracciare e accarezzare i bambini, lo chiama buono più nel senso umano e familiare che in quello accademico e filosofico. Gesù ne prende occasione per offrire al giovane la maniera di approfondire la conoscenza del maestro a cui si rivolge; scendendo sullo stesso piano di lui (come aveva già fatto con la Samaritana; Giovanni, 4, 22), egli dice in sostanza al giovane: « Tu mi chiami maestro come qualunque altro dottore della Legge, e per di più mi chiami buono. Perché mi dài questo appellativo? Non sai che, secondo l'uso comune, esso è riservato a Dio? ». Il giovane avrebbe potuto giustificare l'uso dell'appellativo rispondendo: “Ma appunto tu sei il figlio di Dio!”. E invece non rispose. Si aspettava veramente Gesù questa risposta da quel giovane, forse ignaro; oppure aveva egli cercato di provocarla affinché in cuor loro rispondessero i discepoli, non ignari (§ 396), ch'erano presenti? Poiché il giovane non dette risposta, Gesù continuò per soddisfare alla richiesta di lui: Se poi vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. Il giovane chiese: Quali? - Gesù allora, confermando ancora una volta la Legge ebraica, gli recitò il Decalogo: Non ucciderai; non commetterai adulterio; ecc. Il giovane, meravigliato, replicò: Ma tutto ciò io l'ho osservato fin dalla mia prima giovinezza! Vorrei sapere se mi manca ancora qualche altra cosa. - Dopo questa fiduciosa e volenterosa risposta Gesù, a detta di Marco (10, 21),riguardatolo lo amò, ossia lo fissò con chiara espressione di benevolenza, e poi gli disse: Ti manca una cosa. Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutti i tuoi beni, distribuisci ai poveri il ricavato, ché avrai un tesoro nei cieli; e poi seguimi! - A tale invito, quale risulta in complesso da tutti e tre i Sinottici, avvenne un cambiamento di scena: il giovane già cosi ardente e volenteroso diventò a un tratto gelido e afflittissimo (Luca, 18, 23) perché possedeva molti beni ed era assai ricco. E cosi' ottenebrato, si allontanò. L'amara proposta di alienare tutti i propri beni era stata addolcita dalla promessa di un tesoro nei cieli, conforme alla sanzione universale della dottrina di Gesù (§ 319), ma il palato del giovane sentì poco o nulla il dolce e moltissimo l'amaro; a lui il futuro tesoro nei cieli parve troppo lontano per poterlo preferire alle sue grosse anfore ripiene di lucenti sicli e custodite gelosamente dentro qualche occulto ripostiglio. Buon giovane, senza dubbio, ma d'una bontà comune e terra terra, mentre Gesù aveva ammonito che ai suoi seguaci poteva chiedere ad ogni momento di essere giganti di eroismo (§ 464). Quel giovane sarebbe stato certamente un ottimo magistrato dell'Impero romano, mentre al primo scrutinio per essere assunto quale alto magistrato del regno dei cieli risultò deficiente: per questo regno egli non aveva l'animo tanto nobile quanto quell'ignobile pubblicano di Levi, che aveva posseduto forse meno sicli ma più generosità (§ 306).
§ 485. Partito il giovane, sul contegno di lui Gesù fece alcune considerazioni con i discepoli. “Quanto difficilmente - esclamò egli - quelli che hanno ricchezze entreranno nel regno d'Iddio!”. Senonché i discepoli rimanevano stupiti delle parole di lui. Gesu' però, di nuovo rispondendo, dice loro: “Figli, quant'e' difficile entrare nel regno d'Iddio! E’ piu' agevole per un camello passare attraverso la cruna dell'ago, che per un ricco entrare nel regno d'Iddio”. Quelli allora rimanevano sempre piu' stupefatti, dicendo tra loro: “E chi può salvarsi?”. Riguardatili, Gesu' dice: “Presso gli uomini (é) impossibile, ma non presso Dio” (Marco, 10, 23-27). L'immagine del camello è perfettamente orientale. Sono infondate le interpretazioni che il nome greco dicamello sia stato scambiato col nome somigliante di una grossa fune oppure che con l'appellativo cruna dell'ago si designasse una ignota porticina delle mura di Gerusalemme stretta ed aguzza. Gesù parla di un vero camello e di una vera cruna d'ago, come più tardi nel Talmud si parlerà di rabbini che a forza di sottigliezze facevano passare un elefante attraverso una cruna d'ago. Neppure è il caso di attenuare la forza di questo paragone; Gesù se ne serve per adombrare, non una grande difficoltà, ma una vera impossibilità. Il ricco non può entrare nel regno di Dio per la stessa ragione per cui un uomo non può servire a Dio e a Mammona (§ 331) questi due monarchi nella loro lotta implacabile non si dànno quartiere, e l'uno non permette ai sudditi dell'altro di entrare sotto nessun pretesto nel proprio regno. E allora nessun ricco potrà in questo caso entrare nel regno di Dio? No, vi potrà entrare, purché prima svesta la divisa di suddito di Mammona, diventando povero di fatto o equivalente povero in ispirito (§ 321, nota). Ma sarà possibile questa diserzione dei sudditi di Mammona, che diventino sudditi di Dio? No, questa diserzione cosi paradossale è umanamente impossibile, perché gli uomini preferiranno sempre il palpabile oro terrestre all'impalpabile tesoro celeste: tuttavia essa presso gli uomini (e') impossibile, ma non presso Dio, e Dio opererà questo miracolo di fare che un ricco preferisca il tesoro lontano all'oro vicino. Queste idee in sostanza non erano nuove, essendo già state espresse da Gesù sia nel Discorso della montagna, sia nella sua recente disputa con i Farisei a proposito delle ricchezze (§ 471). Un elemento nuovo qui introdotto è l'affermazione che l'abbandono delle ricchezze per entrare nel regno di Dio non sarebbe stato effetto d'industria umana ma della potenza di Dio.
§ 486. Ascoltate le parole di Gesù e applicatele a se stessi, gli Apostoli riscontrarono che essi si trovavano avvantaggiati sugli altri uomini. Dei loro sentimenti si fece interprete il solito Pietro, che disse a Gesù: Ecco, noi lasciammo tutto e ti seguimmo; cosicché erano diventati volenterosi poveri per Gesù e per il regno dei cieli, e stavano in regola con le condizioni testé dettate dal maestro. Seguì per ciò una domanda, riportata da un solo Sinottico: Che cosa dunque avremo? (Matteo, 19, 27). Gesù rispose riferendosi sia agli Apostoli suoi particolari seguaci e collaboratori, sia a tutti gli altri seguaci presenti e futuri che non avevano il grado di Apostoli. La parte della risposta che si riferisce agli Apostoli è riportata qui dal solo Matteo (19, 28), mentre da Marco è taciuta e da Luca (22, 28-30) è riportata fra i discorsi dell'ultima cena; la parte relativa agli altri seguaci di Gesù è riportata da tutti e tre i Sinottici, ma presso Marco e Luca con una particolare distinzione cronologica. Agli Apostoli Gesù disse « In verità vi dico che voi che mi seguiste, nella rigenerazione quando segga il figlio dell'uomo sul suo trono di gloria, sederete anche voi su dodici troni giudicando le dodici tribù d'israele. Ciò dunque avverrà alla rigeneraztone o palingenesi, la quale rinnoverà ab imis il « secolo » presente allora, su quel trono di gloria che i rabbini riserbavano a Dio, si sederà il figlio dell'uomo come sul suo proprio trono, e avendo ai suoi lati i dodici Apostoli seduti su troni minori giudicherà insieme con essi quelle dodici tribù d'Israele alle quali esclusivamente egli ha indirizzato la sua personale missione (§ 389). Con questa solenne assemblea giudiziale si chiuderà il « secolo » presente e s'mizierà il « secolo » futuro (§ 525 segg.). Ciò che Gesù promise agli altri suoi seguaci, non Apostoli, suona così presso Marco (10, 29-31): In verità vi dico, non v'e nessuno che lasciò casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a cagione della buona novella, il quale non riceva centuplicati adesso in questo tempo case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme con persecuzioni, e nel secolo venturo (la) vita eterna. Qui la ricompensa non è messa in relazione col solenne giudizio delle dodici tribù, ma è nettamente divisa in due tempi: la seconda parte si avrà nel secolo venturo, e consisterà nellavita eterna; la prima parte si avrà adesso in questo tempo, che perciò è il « secolo » presente. Nella ricompensa del « secolo » presente si promette ai seguaci di Gesù il centuplo di tutto ciò che hanno lasciato. Ora, questo centuplo è di beni solamente spirituali, ovvero anche materiali?
----------------
Nessun commento:
Posta un commento
Comunque tu sia arrivato fino qui, un tuo commento è gradito, si può dissentire ma non aggredire, la costruzione è preferita alla distruzione..