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martedì 7 agosto 2012

1715 - Vita di Gesù (paragrafi 470-472)


Il fattore infedele. Il ricco Epulone

§ 470. Oltre ad essere lo scriba della misericordia, Luca e' anche l'evangelista della povertà (§145): ecco quindi che nella collana di parabole che stiamo esaminando, alle perle sulla misericordia divina seguono altre sulla povertà umana, anche queste conservate dal solo forziere di Luca. Che il rinunziare alla ricchezza fosse un atto di accortezza da parte del seguace di Gesù, fu da lui mostrato con la seguente parabola. Ci fu un uomo ricco che aveva un fattore, e costui fu accusato presso il padrone di dissiparne i beni; perciò fu chiamato dal pa­drone, che gli disse seccamente: Mi sono giunte all'orecchio cattive voci sul conto tuo; presèntami al più presto i conti della tua am­ministrazione! - Uscito di là, il fattore pensò ai casi suoi, e si vide perduto se non avesse trovato qualche ripiego per campar la vita nella sua vecchiaia. Cominciò quindi a ragionare: Adesso che mi sa­rà tolta l'amministrazione, come potrò mantenermi? A lavorare nei campi non sono più capace; a domandar l'elemosina mi vergogno. Dopo averci ripensato su lungamente, decise di far ricadere sul pa­drone il peso del suo sostentamento per mezzo di un'astuta truffa. Si trattava di diminuire falsamente il debito che ciascun colono aveva col padrone, affinché poi quei debitori fraudolentemente beneficiati si mostrassero grati col fattore ricompensandolo. Chiamato perciò un colono gli domandò: Quanto devi al mio padrone? - Quello rispose: Cento barili d'olio. - Il fattore allora: No, prendi qua la ricevuta e scrivi cinquanta! - Cosicché a questo primo debitore era rimessa la metà del debito. Chiamato poi un altro, gli fece la stessa doman­da; e quello rispose: Devo cento misure di grano. - E il fattore: No, prendi qua la ricevuta, e scrivi ottanta! - Naturalmente con questo metodo egli trattò tutti gli altri coloni del padrone, i quali gli furo­no ben grati nel presente e anche nel futuro. E in tal modo il fat­tore esonerato provvide alla sua vecchiaia. Un furto, senza dubbio. Ma un furto furbo, ben congegnato, che mostra l'accortezza e la previdenza di quel fattore, riluttante a finire nella miseria. Qui appunto sta la forza della parabola, la quale - astraendo dalla disonestà del furto che non entra in considerazione - converge tutta su quella accortezza e quella previdenza. La parabola infatti prosegue dicendo che quel padrone, parlando del­la frode di cui era stato vittima, lodò il suo fattore truffaldino per­ché prudentemente aveva agito. Era un uomo di spirito quel pa­drone, e sapeva prendere da gran signore i dispiaceri della vita met­tendone in luce gli aspetti interessanti! La parabola quindi termina ammonendo che i figli di questo secolo sono piu' prudenti dei figli della luce fra (quelli della) loro generazione, cioè confrontati con i membri della rispettiva categoria. Ma a spiegar meglio il funzionamento di questa prudenza, Gesù ag­giunse: E io vi dico:”Fatevi degli amici per mezzo dell'iniquo Mam­mona (§ 331), affinché quando (esso) venga a mancare vi accolgano negli eterni tabernacoli ». Con queste parole il funzionamento della prudenza è chiaro, e la parabola, trasportata ad un'atmosfera superiore, è applicata con precisione. Le ricchezze terrene siano spese tutte per acquistare, non già beni terreni che sono egualmente tran­sitori e fallaci, bensì beni perenni e sicuri. E in qual modo? Impie­gando quelle ricchezze nel beneficare i poveri. Questa beneficenza è un frutto imperituro delle ricchezze, perehé i beneficati diventano gli amici del beneficante e al crollo di questo secolo lo ricompenseranno accogliendolo negli eterni tabernacoli. Con ciò riappare evidentis­sima la sanzione ultraterrena che è alla base di tutta la dottrina di Gesù (§ 319): erogare le proprie ricchezze in vista e in attesa della vita futura. In quella suprema attesa (§ 450 segg.) la povertà è somma prudenza.

§ 471. I Farisei, che udirono l'esposizione di questi principii ma non partecipavano alla suprema attesa, trovarono che tutto ciò era scioc­co. Udivano tutte queste cose i Farisei, che erano amatori del dena­ro, e lo beffeggiavano. E che modo di parlare era quello? Buttar via il proprio denaro per rimaner poi nudi come un lumacone senza guscio? Queste erano, non soltanto pazzie da mentecatto, ma anche bestemmie da eretico! La legge ebraica parlava ben chiaro: la pro­sperità materiale era una benedizione di Dio e un premio per chi osserva le norme della morale religiosa (cfr. Levitico, 26, 3 segg.), mentre la povertà e la miseria erano il retaggio degli empi secondo l'antica tradizione ebraica (cfr. Giobbe, 8, 8 segg.; 20, 4 segg.; 27, 13 segg.). Se dunque Gesù era povero, peggio per lui: era segno che Dio non gli concedeva il premio dei giusti perché non lo meritava; ma cessasse di sconvolgere la Legge e la tradizione ebraica. Gesù, riferendosi al vero motivo che faceva parlare i Farisei in difesa delle ricchezze, rispose: Voi siete coloro che si dimostrano giusti davanti agli uomini (in quanto cioè si spacciavano per giusti perché ricchi), ma iddio conosce i vostri cuori; perché ciò che e' eccelso tra gli uomini e' abominio davanti a Iddio. Quanto alla Legge e alla tra­dizione, questo delle ricchezze era uno dei casi in cui l'antica Legge doveva essere compiuta e perfezionata (§ 322): infatti la Legge e i Profeti, fino a Giovanni (il Battista); da allora, del regno d'iddio si dà la buona novella e ognuno fa violenza verso di esso (Luca, 16, 15-16). La Legge allettava i suoi seguaci anche con la promessa delle ricchezze; ma dopo Giovanni il Battista la Legge è stata sostituita dal regno di Dio, che non promette più beni materiali ed esige anzi la violenza morale di distaccarsi da essi. Del resto lo stesso spirito intimo della Legge antica non induceva ad attaccarsi alle ricchezze ma a superarle, perché esse erano proposte come mezzo e non come fine: chi si fermava a questo mezzo allettativo, tradiva lo spirito della Legge. Questo è l'insegnamento che Gesù illustrò con una nuova parabola strettamente aderente a vari concetti del giudaismo, tanto da apparire sotto un certo aspetto la più giudaica delle parabole di Gesù.

§ 472. C'erano due Giudei, uno ricchissimo, l'altro poverissimo. il ricco portava vesti fatte di porpora di Tiro e di bisso d'Egitto, e ogni giorno teneva conviti interminabili. Il povero, che aveva il comu­nissimo nome di Lazaro, giaceva ricoperto di piaghe sulla strada presso l'atrio del ricco; di là egli sentiva il lontano frastuono dei conviti del ricco e suo sogno supremo sarebbe stato saziarsi di ciò che cadeva da quelle mense, ma nessuno badava a lui: anzi, pur in quella sua povertà così nera, sembra che egli recasse qualche utilità al ricco, giacché i cani (forse di costui) ogni tanto al passargli davanti si fer­mavano a leccare il marciume delle piaghe che gli ricoprivano il corpo. Ma, come Dio volle, morirono ambedue, e allora le parti si invertirono. Morto prima Lazaro, vennero gli angeli e lo trasporta­rono di peso su in alto nel luogo di felicità eterna deponendolo nel seno di Abramo, fra le braccia del privilegiato « amico di Dio » ca­postipite degli Ebrei. Morto poi il ricco, fu sepolto con gran pompa; la quale però fu anche l'ultima, giacché dalla sua splendida tomba egli rotolò giù nella Sheol (§ 79), ove si trovò immerso in atroci tormenti. Capovoltasi in tal modo la situazione, il già ricco alzando gli occhi dalla Sheol vide su in alto Abramo che sorreggeva dolcemente in seno il già povero Lazaro. Alzò allora anche la voce gridando: “Pa­dre Abramo! Abbi pietà di me, e invia Lazaro affinché bagni d'acqua la punta del suo dito e refrigeri la mia lingua, perché spasimo in questa fiamma!”. Ma Abramo disse: “Figlio! Ricòrdati che rice­vesti i tuoi beni nella vita tua e Lazaro egualmente i mali; adesso però qui (egli) é consolato, tu invece spasimi”. Il giusto Abramo fa rilevare la giustizia della doppia sorte: poiché il ricco è stato dimo­strato giusto davanti agli uomini (Luca, 16, 15) dalle sue ricchezze e la sua religione è consistita tutta in questo, egli è già stato ricom­pensato sufficientemente; poiché d'altra parte ciò ch'e' eccelso fra gli uomini e' abominio davanti a Iddio, adesso davanti a Dio le sue pas­sate ricchezze diventino per lui ragione di sofferenza. Precisamente il contrario, per la ragione inversa, avvenga a Lazaro. Del resto le nuo­ve sorti sono assolutamente immutabili, e Abramo non può far niente anche per uno della sua razza che non stia lassù vicino a lui: « E oltre a tutto questo, tra noi e voi é stato stabilito un abisso grande, affinché quei che volessero passare di qui verso di voi non possano né di costà si attraversi verso di noi“. Anche qui si trova la sorte perfettamente invertita: come prima della morte il ricco non faceva nulla in pro di Lazaro, così adesso Lazaro non fa nulla in pro del ricco; l'abisso morale che separava i due è diventato adesso un abisso cosmologico. Tuttavia il ricco, anche rotolato nella Sheol, ripensa ai suoi parenti e desidera che almeno essi sfuggano in futuro alla sorte presente di lui. A tale scopo torna a pregare Abramo: “Ti chiedo perciò, padre, che invii lui (Lazaro) a casa di mio padre - ho infatti cinque fratelli - affinché faccia testimonianza ad essi, si che non vengano anch'essi in questo luogo del tormento”. Ma neppure questa domanda è accolta da Abramo, il quale secco secco risponde: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino quelli!”, cioè regolino la loro condotta conforme alle norme di Mosè e dei Profeti consegnate nella sacra Scrittura, e ciò basterà ad evitare il luogo del tormento. Ma il ricco non è di questa opinione, e perciò insiste: “No, padre Abramo! Ma se alcuno da(lla regione dei) morti vada a loro, cambieranno di mente La ragione è respinta risolutamente da Abramo, che chiude la disputa sentenziando: “Se non ascoltano Mose' e Profeti, neppure se alcuno sia risorto dai morti saranno persuasi”. In conclusione, la Legge ebraica non solo non è abolita, ma è dichia­rata più efficace della rivelazione privata fatta da un morto risusci­tato. Inoltre, lo spirito di quella legge invita a servirsi delle ricchezze come di una scala per salire a Dio, ma non già a fermarsi sulla scala; il regno di Dio, poi, respinge senz'altro la scala.
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