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mercoledì 7 novembre 2018

SC 276 Commento al Vangelo di mercoledì 07.11.2018 (Padre Giulio Maria Scozzaro)

+ Dal Vangelo secondo Luca (14,25-33)
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a Me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a Me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Gesù rimase sdegnato quando vide l’albero di fichi privo di frutti, come quando un cristiano è privo di meriti. Intendiamo bene il significato di meriti nel Cristianesimo. Sono le azioni lodevoli compiute dal cristiano che permettono di ricevere subito anche grandi ricompense da Gesù, e poi la vita eterna.
Guadagnare meriti davanti a Gesù significa vivere i valori morali, avere dei valori, praticare le virtù, essere un cristiano corretto.
I dati che arrivano dalla società sono nettamente fomentatori di una vasta tendenza contraria ai valori cristiani, tutto il circo mediatico sembra essersi accordato per danneggiare irrimediabilmente la Chiesa Cattolica. Se poi si trovano implicati anche personaggi della gerarchia della Chiesa, il quadro è completo.
Nel mondo c’è una lotta spirituale tra il Bene e il male, ogni persona è schierata da una parte, anche se molti si affannano per trovare una definitiva collocazione, nessuno può ritenere la sua attuale collocazione come quella finale.
Occorre una forza spirituale superiore per rimanere nel Cuore di Gesù e respingere tutti gli attacchi subdoli che arrivano dal mondo.
La mentalità di oggi arreca molto dolore soprattutto ai buoni, solo i buoni hanno un’anima«attiva», che ama e conserva i buoni sentimenti.
Si intravede il bene che compiono i buoni non solo dalle opere, perché è facile fare una buona azione e ritenersi scusato davanti a Dio; si capisce da come affrontano la vita, dalle reazioni dinanzi alla malattia, alle prove della vita e alle cattiverie che ricevono dal mondo privo di anima.
La croce è il simbolo e il segno del cristiano perché in essa si è consumata la redenzione del mondo. Gesù ha usato l’espressione «portare la croce» in varie circostanze per insegnare quale doveva essere l’atteggiamento dei suoi discepoli dinanzi al dolore e all’avversità.
»Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a Me, non può essere mio discepolo».
Ognuno di noi ha le sue croci, i più spirituali comprendono la differenza tra quelle che si confezionano da soli per gli errori di valutazione e le cantonate prese in pieno, da quelle che arrivano dal mondo egoista e che devono controllare con amore, anche sopportarle sempre con amore.
Mentre in quelli che di spiritualità ne masticano poca, c’è una forte agitazione continua e la loro vita è appesantita dalle croci costruite da loro stessi. Non hanno altro che croci nella vita, possono vivere nel benessere e nelle ricchezze, quelle croci rimangono sempre lì e non si smuovono.
Sono nei loro cuori, sono molto pesanti da portare. C’è da disperarsi e non chiedono aiuto ai Sacerdoti per capire come rimuoverle.
Il dolore, nelle sue varie manifestazioni, è una realtà universale, e l’esperienza ci insegna che tutte le creature, poveri e ricchi, giovani e anziani, uomini e donne, soffrono per cause e motivi diversi. C’è da sottolineare per quale motivo si soffre e in che modo si soffre.
L’identica sofferenza viene vissuta in modo opposto da due persone che hanno una diversa spiritualità, questo è scontato. Esse percepiscono il dolore in modo difforme, quindi c’è serenità in una persona e disperazione, rabbia nell’altra.
L’odio e la vendetta che trionfano nel mondo crescono nelle anime prive dell’Amore di Dio, sono persone con tanta collera dentro e non trovano pace in nessuna circostanza. Solo quando si sfogano con violenza o utilizzano droghe e alcool entrano nella galleria buia della finta illusione di non avere più sofferenze con cui confrontarsi.
È vera vita questa?
Noi invece comprendiamo che siamo chiamati per Amore, mediante la sofferenza e la mortificazione volontaria, a completare nel nostro corpo la Passione di Cristo, accettando con spirito benevolo di sopportazione le avversità e tutte le cattiverie.
Ci penserà Dio a dare ai cattivi quello che meritano, prima o poi questo avviene senza alcun dubbio. È la Giustizia di Dio.
In questa nostra lotta, Gesù e la Madonna sono sempre con noi, e vinciamo il male con la preghiera e il perdono dato nel silenzio del cuore.
L’albero della croce è ricolmo di molti frutti. Le sofferenze ci aiutano a essere più distaccati dai beni della terra, dalla salute. Possedendo Gesù non perdiamo un granché. Le tribolazioni sono una grande occasione di espiare gli errori e i peccati della vita passata.
Le difficoltà e le afflizioni che patiamo ci inducono a ricorrere con più prontezza e costanza alla misericordia divina. Il Santo Rosario ci salva.
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