+ Dal Vangelo secondo Matteo (9,9-13)
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e Lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro Maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia Io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
La chiamata di Matteo è singolare, molto diversa dagli altri Apostoli e sicuramente molto più sofferta. Matteo era un pubblicano e nel mondo romano era un appaltatore delle imposte, che pagava allo Stato un canone come prodotto di una tassa che poi esigeva per proprio conto. Un esattore esoso, dedito al denaro e alla mondanità.
Da quanto afferma il Vangelo, Matteo lasciò il banco delle imposte e seguì il Signore senza battere ciglio, convinto della migliore scelta che stava per compiere e non tentennò affatto nel lasciare sul tavolo tutto il denaro. Fu quel comando di Gesù a scuoterlo o dobbiamo considerare qualche altra vicenda?
In effetti, rimane difficile accogliere la tesi dell’abbandono istintivo del denaro, soprattutto del posto che occupava con il suo tavolo nella via pubblica e che costringeva i viaggiatori a pagare le tasse per passare.
Non è nella logica di Gesù chiamare qualcuno lontano da Lui senza prima una graduale preparazione. Pensiamo alla conversione di San Paolo sulla via di Damasco, lui che era un acerrimo nemico del Cristianesimo e voleva sterminare tutti i seguaci di Gesù.
La vicenda di San Paolo appare come una conversione forzata, non è così, egli poteva dissentire e rifiutare di recarsi dove gli indicava Gesù. Rileggiamo i passi salienti della sua conversione.
«Saulo (Paolo) sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati.
E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal Cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”.
Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda» (At 9,1-9).
Trovo almeno due differenze nelle due conversioni, la prima è l’intervento di Gesù. Lui interviene in Matteo perché questi da lungo tempo avvertiva un forte disagio interiore, non riusciva più a rallegrarsi nonostante le ricchezze che possedeva e di nascosto faceva elevate offerte periodiche al Signore per i bisogni dei discepoli e dei poveri.
L’intervento di Gesù in Paolo non è violento, erano state le lunghe preghiere della Madonna a suscitare questo grande miracolo come la conversione del più accanito persecutore dei cristiani. Gesù non violenta la libertà decisionale di Paolo, ma sorge in Paolo il dubbio causato dall’incessante preghiera della Madre Santissima.
Il Signore intervenne solo perché invocato dall'unica Creatura Immacolata e a Lei non poteva dire di no. Il suo intervento ha perseguito la via migliore per mettere Paolo nella possibilità di scegliere tra la sua cocciutaggine e l’incontro con Gesù, considerato da lui un falso Profeta.
Il Signore dovette “escogitare” un piano per dare a Paolo tre giorni di tempo per riflettere serenamente e capire se quello che commetteva veniva dal Dio degli ebrei oppure si trattava di una violenta esaltazione, un accanimento causato dall’odio e dall’invidia.
La seconda differenza già accennata riguarda le due diverse disposizioni nel seguire Gesù. Erano due peccatori ma Matteo aveva fatto un silenzioso e nascosto cammino solitario con la sua coscienza. Più sentiva parlare agli altri di Gesù e dei suoi miracoli, più ardeva in lui il desiderio di avvicinarsi al Signore, ma non immaginava di diventare un Apostolo. Non poteva sognare un premio simile.
Gesù invece conosceva il suo cuore e la sua disposizione interiore, per questo passando lo chiamò senza tentennamenti: “Seguimi”.
Molti cristiani si trovano nelle condizioni di Matteo o in quelle di Paolo, anche se la persecuzione contro Gesù vede coinvolti i suoi apostoli e i discepoli. Questa la ragione delle prima parole che disse a Paolo, considerando che Paolo perseguitava i cristiani e non Cristo, perché salito al Cielo.
«Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare» (At 9,4-6). Chi perseguita i cristiani, perseguita Cristo!
Paolo perseguitava i cristiani ma quei cristiani erano seguaci di Gesù, per questo considerava contro Lui la persecuzione. Chi ama Gesù è buono.
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