La storia dell’evangelizzazione della Cina è costellata da innumerevoli martiri, missionari europei, clero locale, catechisti cinesi, fedeli convertiti, che donarono la loro vita, durante le ricorrenti persecuzioni, che si alternarono a periodi di pace e di proficua evangelizzazione, scatenate o sobillate da bonzi invidiosi, fanatici ‘boxer’, crudeli mandarini e imperatori, soldataglia avida di sangue e saccheggi.
In questa eroica schiera di martiri caduti negli ultimi quattro secoli, è compreso Augusto Chapdelaine, missionario dell’Istituto delle Missioni Estere di Parigi.
Augusto, al secolo Auguste, nacque a La Rochelle (F), il 6 gennaio 1814; coltivò con i fratelli, fino ai 20 anni, gli ampi poderi agricoli presi in affitto dalla famiglia; ma dopo la morte di due di essi e la riduzione della superficie dei terreni, lasciò l’azienda e si dedicò alla desiderata carriera ecclesiastica.
Frequentò il Seminario diocesano e fu ordinato sacerdote nel 1843; ebbe il compito, prima di vicario e poi di parroco del villaggio di Boucey.
Ma il suo desiderio era quello di essere missionario, quindi nel 1851 passò al noviziato dell’Istituto delle Missioni Estere di Parigi e il 29 aprile 1852 s’imbarcò ad Anversa, diretto alla missione cinese del Kuang-Si; ma si fermò a Ta-Chan vicino alla frontiera, per ambientarsi, imparare la lingua e aspettare il momento propizio, perché il Kuang-Si era stato per più di un secolo senza la presenza di un missionario e quindi non si era più certi dell’accoglienza dei suoi abitanti.
Trascorsero quasi tre anni, poi nel 1855 poté entrare nello Kuang-Si, dove si mise subito a fare apostolato, percorrendo il territorio in lungo e in largo; in breve tempo i neofiti divennero circa duecento e ulteriori conversioni erano prossime, quando un certo Pé-San, uomo di costumi corrotti, avendo saputo che una donna da lui sedotta, si era convertita al cristianesimo, denunciò la presenza del missionario al mandarino di Sy-Lin-Hien, acerrimo nemico dei cristiani, accusandolo di sobillare il popolo, fomentando disordini.
Il mandarino, allora, inviò le sue guardie a Yan-Chan, dov’era padre Augusto Chapdelaine, per arrestarlo, ma questi, avvertito in tempo, sfuggì alla cattura rifugiandosi in casa di un letterato cristiano a Sy-Lin-Hien.
Il 25 febbraio 1856, la casa venne circondata dalle guardie e perquisita; padre Chapdelaine fu fatto prigioniero insieme a quattro fedeli cristiani che l’avevano accompagnato.
Il 26 febbraio il missionario fu interrogato e accusato; ricevé per punizione centinaia di colpi di bambù che lo resero tutto una piaga. Il giorno dopo fu incatenato con le ginocchia piegate e strette sopra delle catene di ferro e così rimase in quella dolorosissima posizione fino al 28, in attesa di un ingente riscatto da parte dei cristiani, che comunque erano nascosti ed impauriti.
Fu condannato a morire nella gabbia e il 29 febbraio 1856, con il collo entro un foro del coperchio superiore e il corpo, tolto il fondo della gabbia, sospeso, il missionario morì come fosse impiccato.
Padre Augusto Chapdelaine fu beatificato il 27 maggio 1900 da papa Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci, 1878-1903) e proclamato santo, insieme ad altri 119 martiri in Cina († 1648-1930), il 1° ottobre 2000, dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005).
Nel Martilologio Romano viene commemorato il 28 febbraio (negli anni bisestili : 29 febbraio).
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mercoledì 29 febbraio 2012
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