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1312 - Vita di Gesù (paragrafi 298-299)
Ritorno e prima operosità in Galilea
§ 298. Passati due giorni con i Samaritani di Sychar, Gesù rientrò in Galilea. La ragione di questo ritorno è comunicata da Giovanni (4, 44) con le seguenti parole: Gesu' stesso, infatti, attestò che un profeta nella propria patria non ha onore. Qual è la patria a cui allude qui Giovanni? I Sinottici attribuiscono la stessa sentenza a Gesù ma in un occasione posteriore, quando cioè egli sarà scacciato in malo modo da Nazareth (Luca, 4, 16-30, e paralleli), e allora si comprende subito che la patria è Nazareth. In Giovanni ciò non è altrettanto chiaro, ma non per questo è da pensare che egli alluda alla Giudea da cui si allontanava per gl'intrighi dei Farisei (§ 292). Si dica piuttosto che Giovanni, presupponendo già noti i Sinottici (§165) e la sentenza di Gesù da essi riportata, la anticipi qui all'inizio della sua operosità in Galilea quasi per preammonire del mesto risultato di essa. Tuttavia, a principio, i Galilei accolsero Gesù con gioia: parecchi di essi erano stati testimoni delle opere straordinarie fatte da Gesù in Giudea, e al loro ritorno ne avevano parlato in Galilea suscitando fierezza fra i compatrioti del profeta. Recatosi nuovamente a Cana, il paese del primo miracolo (§ 281), Gesù fu subito ricercato per la sua fama di taumaturgo. Giaceva gravemente malato a Cafarnao il figlio d'un impiegato della corte reale; suo padre, saputo dell'arrivo di Gesù, andò in fretta a Cana pregandolo di venir subito a guarire il malato, ormai agli estremi. A quella preghiera Gesù si mostrò retrivo, e preoccupandosi soprattutto della propria missione rispose: Qualora non vediate segni e prodigi, non (sarà) che crediate! L'angosciato padre non si preoccupava che del figlio morente, e insistette: Signore, vieni giù (a Cafarnao) prima che il mio ragazzo muoia! Per esser sicuro della guarigione il padre esigeva la presenza personale di Gesù, come d'un medico. Gesù gli replicò: Va'; tuo figlio vive! Queste ferme parole infusero nel padre la fermezza di credere: se il taumaturgo aveva parlato così, non poteva essere altrimenti. Era l'ora settima, cioè l'una del pomeriggio; dopo il viaggio affannato del mattino da Cafarnao a Cana che sono più di 30 chilometri, non si poteva ripetere subito il percorso inverso spossando le bestie e gli uomini di scorta. Perciò il padre riparti il mattino seguente. Nell'avvicinarsi a Cafarnao, i familiari gli vennero incontro per annunziargli che il ragazzo stava bene; alla sua domanda, da quando avesse cominciato a riaversi, risposero: Ieri, all'ora settima, lo lasciò la febbre. L'accurato Giovanni (4, 54) fa notare che questo fu il secondo miracolo di Gesù, dopo quello di Cana egualmente in Galilea, ma astraendo dalla permanenza in Giudea (§ 287, nota seconda). Anche qui appare la mira di Giovanni di integrare i Sinottici.
§ 299. Tornato così in Galilea, Gesù iniziò senz'altro la sua missione predicando la « buona novella » d'iddio e dicendo: Si é compiuto il tempo e si e' avvicinato il regno d'Iddio; cambiate di mente (= pentitevi; § 266) e credete alla “buona novella”. In questo tempo egli dovette recarsi volta a volta un po' dappertutto nei vari centri della Galilea, poiché ci si dice che insegnava nelle sinagoghe di quelli ed era ascoltato da tutti con molta deferenza, e sicuramente anche con una certa fierezza regionale (Luca, 4, 14-15). Tuttavia i soggiorni più lunghi e più frequenti avvenivano a Cafarnao, ch'egli già aveva praticamente sostituita alla sua Nazareth (§ 285). Nulla vieta, anzi tutto induce a supporre che nel corso di queste peregrinazioni egli si recasse anche a Nazareth; ma l'episodio della sua predica nella sinagoga di Nazareth che si concluse con la sua cacciata dal villaggio (§ 357 segg.) dovette avvenire al termine e non al principio di questa operosità in Galilea, perché in quella occasione sono espressamente ricordati i miracoli fatti da lui a Cafarnao (Luca, 4, 23). Perciò, sebbene Luca ponga questo episodio a principio, è da preferirsi l'ordine cronologico qui seguito dagli altri due Sinottici (Matteo, 13, 54-58; Marco, 6, 1-6), i quali lo pongono sul finire di questo periodo di tempo, quando cioè Gesù era già stato lungo tempo a Cafarnao. Nelle varie borgate ove si recava, Gesù parlava soprattutto nella sinagoga del posto. Come già sappiamo (§ 2), ogni minimo centro palestinese ne era provvisto, e ivi puntualmente gli abitanti s'adunavano il sabato e talvolta anche altri giorni; ma, oltre all'uditorio bell'e pronto, c'era anche l'opportunità di parlare ad esso in piena conformità con le norme tradizionali, quando cioè l'archisinagogo dopo la lettura della Bibbia invitava qualcuno dei presenti a tenere l'usuale discorso istruttivo (§ 67): è naturale che Gesù si offrisse frequentemente per tale incombenza, che rispondeva così bene ai suoi scopi. Altre volte, tuttavia, egli parlava all'aperto o in edifici privati, quando si presentava l'opportunità o si era adunata presso di lui una certa folla. I suoi ascoltatori, infatti, crescevano rapidamente, perché avevano notato subito che egli insegnava loro come avente autorita' e non come gli Scribi (Marco, 1, 22; Luca, 4, 32; cfr. Matteo, 7, 29). Anche la plebe, nel suo semplice buon senso, trovava una profonda differenza fra le dottrine di Gesù e quelle degli Scribi; costoro si rifugiavano sempre sotto l'autorità degli antichi, e il loro ideale era di trasmettere integralmente gl'insegnamenti ricevuti senza nulla aggiungere e nulla tralasciare: Gesù invece apriva certi forzieri di cui egli possedeva l'unica chiave e sui quali egli solo “aveva autorità”, non rifuggendo neppure dal contraddire agli insegnamenti degli antichi quand'era necessario perfezionarli. Fu detta agli antichi la tal cosa; io invece vi dico la tal altra (Matteo, 5, 21 segg.). Gli Scribi, insomma, erano la voce della tradizione; Gesù invece era la voce di se stesso, e si attribuiva il diritto tanto di approvare quella tradizione quanto di respingerla e correggerla. Indubbiamente chi si attribuiva questo diritto, sotto la dittatura spirituale degli Scribi e dei Farisei, agiva come avente autorità.
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