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giovedì 21 luglio 2011

1026 - Vita di Gesù (paragrafi 160 - 165)

§ 160. L'Egitto è rappresentato da Clemente Alessandrino; il quale, immediatamente appresso all'ultimo suo tratto che citammo a pro­posito del vangelo di Marco (§ 130) aggiunge Ultimo, pertanto, e' Giovanni: vedendo che negli evangeli (precedenti) erano state ma­nifestate le cose corporee, spinto dagli amici, divina­mente portato dallo Spirito produsse un vangelo spirituale. Anche in questa affermazione Clemente, più che parlare del proprio, riporta la tradizione degli an­tichi presbiteri a cui si appella (ivi, 5); d'altra parte egli concorda col Frammento Muratoriano, almeno genericamente, ritenendo che Giovanni scrisse per esortazione altrui: nè si può dubitare che il Giovanni di Clemente sia l'apostolo, come è dimostrato fra altro dall'episodio del giovane pervertitosi e poi convertito da Giovanni, che Clemente narra nel Quis dives salvetur, 42, e ch'è riportato da Eusebio (Hist. eccì., III, 23, 6 segg.). L'appellativo di vangelo spirituale, in contrapposto a corporeo, risente della nota distinzione antropologica (corpo, anima, spirito) comune nell'ellenismo, ma coglie nel segno nel definire l'indole del IV vangelo, e perciò trovò molta for­tuna in seguito. Le testimonianze fin qui viste sono le principali, ma non tutte, dei primi due secoli; sarebbe pertanto inutile scendere lungo il secolo III, perché nessuno nega che già alla fine del II secolo Giovanni l'a­postolo fosse ritenuto concordemente quale autore del IV vangelo. Inoltre oggi sarebbe anche inutile elencare le varie tracce che di questo vangelo si trovano già nella prima metà del secolo i, sia presso scrittori ortodossi, uali Ignazio d'Antiochia, Giustino mar­tire e altri, sia presso i vari maestri della gnosi quali Valentino, Era­cleone, ecc., e presso lo stesso Marcione; oggi la segnalazione di tali tracce sarebbe inutile, perché è dimostrato in maniera lampante che il IV vangelo circolava in Egitto già verso l'anno 130. Oltre al papiro (Egerton), di cui già parlammo (§100) e che tra­disce una indubbia dipendenza dal IV vangelo, è stato pubblicato nel 1935 un frammento di papiro contenente tratti di questo van­gelo. Il frammento è minimo, di circa 8 centimetri, e contiene solo pochi versetti relativi al dialogo di Gesù con Pilato (cioè Giov., 18, 31-33 e 37-38), ma la sua incomparabile importanza è data dalla sua antichità: i più competenti specialisti mondiali, consultati in proposito, sono convenuti nell'attribuire il frammento alla prima metà del secolo II, e più probabilmente ai primi decenni di quella metà che agli ultimi: come media, quindi, può valere l'anno 130. E poi da notare che il frammento, che faceva parte d'un intero codex (non d'un volumen), proviene dall'Egitto certamente, sebbene non se ne conosca il luogo preciso: quindi, nel detto anno, l'Egitto già co­nosceva questo scritto composto in Asia Minore. Si sottragga per­tanto dalla cifra 130 un numero d'anni proporzionato per permet­tere allo scritto nato in Asia di raggiungere l'Egitto, e di esservi ri­copiato e diffuso, e si otterrà la data che la tradizione assegna all'ori­gine del IV vangelo, cioè la fine del secolo I. E bastato quel misero cencio di papiro per dissipare le aprioristiche elucubrazioni di quegli studiosi che avevano sentenziato non essere il IV vangelo anteriore al 130, o al 150, o anche al 170: e non erano soltanto studiosi del secolo scorso, perché ancora nel 1933, quando cioè il papiro si trovava già in Europa benché inedito, il Loisy (La naissance du christianisme, pag. 59) affermava che il IV vangelo ave­va avuto due redazioni, di cui la prima e più antica cadeva fra gli anni 135-140 e la seconda fra il 150-160.


§ 161. Su un altro argomento importantissimo i nuovi ritrovamenti smentiscono giudizi arbitrari e tendenziosi. Per molti studiosi anche dei nostri giorni, il IV vangelo è un teorema teologico che conserva a mala pena le apparenze della storia (Loisy); ossia, è uno scritto allegorico e simbolico, che si muove nel mondo delle astrazioni mi­stiche e che tutt'al più solo apparentemente inquadra le sue scene in una cornice geografica, non senza manifesti contrasti con la vera topografia. Come al solito, questa condanna è stata motivata soprattutto da preconcetti filosofici; ma, per giunta, coloro che l'han­no pronunziata sono studiosi da tavolino, ben pochi di essi hanno visitato accuratamente o anche fugacemente la Palestina, e tutti ad ogni modo danno ben poco peso all'archeologia e alla geografia sto­rica. L'imprudenza è grave: tanto più che lo stesso Renan, che per primo ricorse a sopraluoghi geografici (benché a suo modo) per una biografia di Gesù, poté scrivere: La trama storica del quarto van­gelo e, secondo me, la vita di Gesu' qual era nota al gruppo accen­trato attorno a Giovanni. Anzi, secondo la mia opinione, questa scuola sapeva diverse circostanze esteriori della vita del fondatore meglio del gruppo i cui ricordi hanno costituito i vangeli sinottici. Ma, nonostante questa non sospetta ammonizione, si continuò ad affermare che l'autore del IV vangelo era ignaro della topografia pa­lestinese, al punto da non avere un'idea chiara neppure della situa­zione di Gerusalemme (quest'ultima affermazione è di un dilettante italiano, che non mette neppure conto di nominare). La verità è precisamente al contrario. L'autore del IV vangelo di­mostra una conoscenza topografica più accurata di quella dei Sinot­ tici, e suole scendere in molte narrazioni a particolarità sorpren­denti, che avrebbe potuto omettere del tutto senza che la narrazione ne risentisse; se non le ha omesse, è perché si sentiva ben sicuro del fatto suo. Almeno una decina sono le designazioni di luoghi pale­stinesi che appaiono soltanto nel IV vangelo; di esse, non solo nessu­na è stata dimostrata falsa, ma varie sono state dimostrate precise ed esatte contro ogni aspettativa. Citiamo, come esempio, due o tre casi.


§ 162. In Giov., 2, 28, si parla di una Bethania di la' dal Giordano, sconosciuta altronde; al contrario, in 11, 18, si ricorda che Bethania era soltanto a 15 stadi da Gerusalemme, cioè a circa 2800 metri, mentre da Gerusalemme per arrivare al Giordano, sono una quaran­tina di chilometri. - Senonché c'erano due Bethanie (come c'erano due Beth-lehem, e due Beth-horon, ecc.). La Bethania del Giordano era vicina ad un passaggio del fiume che si compiva su barca, don­de forse il suo nome (beth-onijjah, «casa della nave»); ma il luogo, per la stessa ragione, era chiamato anche Beth-abarah (« casa del passaggio »), come Origene legge in questo tratto invece di Betha­nia. Sul posto si sono trovate recentemente antiche installazioni. In 5, 2 (testo greco) si dice che a Gerusalemme, presso la Porta delle pecore o Probatica, c'era una piscina chiamata Bethzatha, o Bezetha, forse dal nome del quartiere; ma si aggiunge che questa Pi­scina aveva cinque portici. Era dunque recinta da un porticato pen­tagonale? Forma assai strana: la quale non ha mancato di suggerire a studiosi moderni che deve trattarsi di una scena tutta allegorica, in cui la piscina simboleggia la fonte spirituale del giudaismo, e i cinque portici rappresentano i cinque libri della Legge. - Senon­ché, anche qui, gli scavi recenti hanno fatto crollare tutto questo bel castello di fantasie allegorizzanti. Si è trovato, cioè, che la pisci­na era regolarmente recinta da quattro portici, formando un rettan­golo lungo 120 metri e largo 60; ma un quinto portico l'attraversava in mezzo, dividendola in due bacini (§ 384). In 19, 13 si narra che Pilato, mentre si svolgeva il processo, condus­se fuori Gesù e si assise su tribunale in un luogo chiamato Lithostro­tas, ma in ebraico Gabbatha. Dov'era questo luogo dal doppio no­me, di cui non si hanno altre notizie? - Precise notizie invece sono state fornite da scavi di qualche anno fa. I due nomi non preten­dono affatto di essere la traduzione etimologica l'uno dell'altro, ben­sì sono due equivalenti designazioni di uno stesso luogo: questo luo­go, ch'era sulla fortezza Antonia, è stato testé ritrovato, e archeolo­gicamente mostra tutti i caratteri dell'epoca di Erode il Grande, costruttore dell'Antonia (§ 578).


§ 163. Questa precisione riguardo alla topografia si ritrova anche n­guardo alla cronologia, quasi per dar ragione al noto assioma che i due occhi della vera storia sono la geografia e la cronologia. Confrontando la cronologia interna offerta dai Sinottici nella bio­grafia di Gesù, con quella offerta da Giovanni, si ha l'impressione che quest'ultimo vada in cerca d'occasioni per precisare e delimitare ciò che quelli hanno lasciato nel vago. Limitandosi ai Sinottici, sem­brerebbe che la vita pubblica di Gesù potesse restringersi entro un solo anno, e anche meno; Giovanni invece, ricordando espressamen­te tre differenti Pasque, estende quella durata almeno a due anni e qualche mese (§177). In 2, lì, si fa espressamente notare che l'inizio dei miracoli operati da Gesù fu quello delle nozze di Cana, cioè proprio un fatto non narrato dai Sinottici; e subito appresso (2, 13 segg.) si mette, quasi come primo atto solenne e autoritario della vita pubblica di Gesù, la cacciata dei venditori dal Tempio, mentre i Sinottici trattano di questo argomento solo pochi giorni prima della morte di Gesù. E in quale anno avvenne la cacciata dei venditori dal Tempio, com­putando da qualche insigne avvenimento della storia palestinese? Avvenne 46 anni dopo che si era cominciata la ricostruzione del “santuario” nel Tempio: ma anche ciò sappiamo solo da Gio­vanni (2, 20). Infine, se si legge il racconto della passione secondo i Sinottici, si conclude che Gesù ha celebrato con i suoi discepoli il banchetto della Pasqua ebraica la sera precedente al giorno di sua morte: quel ban­chetto, cioè, che legalmente doveva celebrarsi la sera del giorno 14 del mese Nisan, cosicché Gesù sarebbe morto il 15 Nisan. Giovanni invece ha cura di avvertire che, il mattino stesso del giorno in cui Gesù fu ucciso, i Giudei che in folla lo accusavano davanti a Pilato non avevano ancora celebrato il banchetto pasquale; infatti essi non entrarono nel pretorio affinché non si contaminassero, bensì mangiassero la Pasqua (Giov., 18, 28), giacché contaminandosi si sarebbero resi inabili a quella celebrazione da tenersi la sera stessa: in tal caso Gesù sarebbe morto il 14 Nisan, ma il suo banchetto della sera precedente non sarebbe stato quello legale della Pasqua ebraica. Non è questo il momento d'addentrarsi in questa celebre questione, per mostrare che i Sinottici e Giovanni possono avere egualmente ra­gione (§ 536 segg.): ma è ben opportuno far rilevare, ancora una volta, con quanta studiata fermezza Giovanni segua una sua propria cronologia, precisando ciò che gli evangelisti anteriori avevano lasciato imprecisato.


§ 164. Questi, del resto, sono soltanto alcuni tratti da cui risulta che il narratore scrive con una conoscenza tutta personale e diretta dei fatti, ma le prove potrebbero facilmente allungarsi di molto. Giovanni sa bene ciò che hanno raccontato i Sinottici, ma delibera­tamente vuoi battere una strada diversa dalla loro. Senza pretendere affatto di esaurire l'argomento (cfr. Giov., 21, 25), egli vuole sup­plire parzialmente a quanto i Sinottici non hanno narrato: il com­puto materiale dimostra che su 100 parti del IV vangelo, 92 non si ritrovano nei Sinottici. Qualche volta, tuttavia, i due racconti si corrispondono necessariamente a causa dell'argomento: ma anche in questi casi Giovanni appare spesso come il testimonio che vuole inte­grare e precisare. Ciò è chiarissimo nel racconto della passione. I Sinottici non hanno detto chi fosse quel discepolo che con un colpo di spada mozzò l'orecchio destro al servo del sommo sacerdote, né come si chiamasse il servo; Giovanni precisa che il discepolo fu Simone Pietro e che il servo si chiamava Malcho (18, 10). Arre­stato Gesù, sembrerebbe secondo i Sinottici che fosse condotto diret­tamente alla casa del sommo sacerdote Caifa; Giovanni vuol dissi­pare questa inesatta apparenza, ed informa che lo condussero presso Anna dapprima (18, 13) dandone subito appresso la ragione. - I Sinottici fanno che Pietro segua l'arrestato ed entri immediata­mente nell'atrio del sommo sacerdote; secondo Giovanni, invece, Pietro segue insieme con un altro discepolo ma si ferma dapprima fuori dell'atrio, mentre l'altro discepolo entra subito, e solo più tardi Pietro può entrare grazie all'intercessione del discepolo (18, 15-16). - Dal solo Giovanni e non dai Sinottici, si apprende che Pilato interroga Gesù nell'interno del pretorio, mentre i Giudei restano al di fuori; come pure solo Giovanni descrive la scena dell'Ecce homo, e riporta la discussione fra Pilato e i Giudei, mentre il primo anche dopo la flagellazione di Gesù tenta di liberarlo e i secondi si prote­stano fedeli sudditi di Cesare (18, 33 segg.; 19, 4 segg.). - Soltanto Giovanni fa sapere che a Gesù morto non fu praticato il crurifragio romano, ma che in sua vece gli fu squarciato il petto con una lan­ciata (19, 31-34). Subito appresso a quest'ultima notizia si aggiunge: E chi ha visto (ciò) ha testimoniato, e verace e' la testimonianza di lui (19, 35); questo testimonio oculare è appunto il discepolo pre­diletto, la cui presenza ai piedi della croce, insieme con la madre di Gesu', è stata ricordata poco prima egualmente dal solo Giovanni (19, 25-27). In tutti questi particolari, cosi minuziosi e realistici, non traspare in alcun modo nessuno di quei tanti sottintesi allegorici che taluni stu­diosi recenti v'insinuano di proprio arbitrio.


§ 165. Che Giovanni batta una strada diversa dai Sinottici, appare da tutto il contenuto. I Sinottici insistono sul ministero di Gesù in Galilea, Giovanni invece insiste sul ministero in Giudea e Geru­salemme. Soltanto sette miracoli di Gesù sono riferiti da Giovanni, ma di essi ben cinque non si trovano nei Sinottici. Più che ai fatti di Gesù, Giovanni fa posto ai ragionamenti dottrinali di lui, e spe­cialmente alle sue dispute con i maggiorenti Giudei. In questi discorsi, come nel restante dello scritto, affiorano frequentemente al­cuni concetti caratteristici, che presso i Sinottici sono ben rari o del tutto sconosciuti: tali i simboli Luce, Tenebra, Acqua, Mondo, Carne, o gli astratti Vita, Morte, Verità, Giustizia, Peccato. Ma Giovanni, se non segue la tradizione sinottica, non la perde mai d'occhio. Giustamente ha detto il Renan che Giovanni aveva una sua propria tradizione, una tradizione parallela a quella dei sinotti­ci, e che la sua posizione e' quella d'un autore che non ignora ciò ch'e' già stato scritto sull'argomento ch'egli tratta, approva molte delle cose già dette, ma crede d'avere informazioni superiori e le comunica senza preoccuparsi degli altri. Non è però tutto qui. Giovanni, pur nel suo silenzio, impiega la tra­dizione sinottica indirettamente, in quanto la presuppone già nota ai lettori; come, dall'altro lato, nei Sinottici non mancano allusioni che trovano la loro piena giustificazione solo nella tradizione di Gio­vanni. Si direbbe che le due tradizioni, cortesemente, si dicano a vicenda: Nec tecum, nec sine te. Nulla racconta Giovanni né della nascita di Gesù, né della sua vita privata; parla della madre di lui ma senza nominarla giammai, benché nomini altre Marie; riporta due volte l'espressione Gesù figlio di Giuseppe (1, 45; 6, 42), ma senza sentire la necessità di spiegare tale ambigua designazione; dice di scrivere per indurre a credere che Gesu' e' il Cristo, il figlio d'iddio (20, 31), e non accenna affatto alla scena della trasfigurazione sul Tabor che sarebbe stata opportunissima a quello scopo; riporta un lungo discorso taciuto dai Sinottici in cui Gesù si presenta come mistico pane celestiale (6, 25 segg.), e non ha una parola sull'effettiva istituzione dell'Eucarestia all'ultima cena. Eppuse, queste manchevolezze non sono manchevoli e queste incongruenze sono congruentissime, per la semplice ragione che Giovanni non vuol ripetere ciò ch'era già notorio, e fa asse­gnamento sulla conoscenza che i suoi lettori già avevano della tra­dizione sinottica. Ma, alla sua volta, anche la tradizione sinottica presuppone quella di Giovanni. Pochissimo dicono i Sinottici, e specialmente i primi due, del ministero di Gesù a Gerusalemme; tuttavia due di essi ri­portano la deplorazione di Gesù: Gerusalemme, Gerusalemme, uc­cidente i profeti e lapidante gl'inviati ad essa! Quante volte volli coadunare insieme i tuoi figli, alla maniera che una gallina coaduna i suoi pulcini sotto le ali, e (voi) non voleste! (Matteo, 23, 37; Luca, 13, 34). Dalle sole narrazioni dei Sinottici non si riuscirebbe a giu­stificare l'esclamazione Quante volte volli...! perché essi trattano quasi esclusivamente il ministero di Gesù in Galilea. Giovanni in­vece, narrando non meno di quattro viaggi di Gesù a Gerusalemme, giustifica in pieno quell'esclamazione. Perciò i Sinottici presuppon­gono tacitamente la tradizione di Giovanni, e alla loro volta le ripe­tono: Nec tecum, nec sine te.
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