Il Signore ti benedica,ti custodisca e ti mostri il Suo volto misericordioso!

Quando pensi di aver toccato il fondo e che nessuno ti voglia o ti ami più, Dio si fa uomo per incontrarti, Gesù ti viene accanto

CIAO A TE !!

Nulla è più urgente nel mondo d'oggi di proclamare Cristo alle genti. Chiunque tu sia, puoi, se vuoi, lasciare un tuo contributo, piccolo o grande che sia, per dire, comunicare, annunciare la persona di Gesù Cristo, unico nostro salvatore. Uno speciale benvenuto a LADYBUG che si è aggiunta di recente ai sostenitori ! *************************************************** Questo blog è sotto la protezione di N.S. Gesù Cristo e della SS Vergine Maria, Sua Madre ed ha come unica ragione di esistere di fornire un contributo, sia pure piccolo ed umile, alla crescita della loro Gloria. ***************************************************



Con Cristo non ci sono problemi, senza Cristo non ci sono soluzioni.

mi trovate anche su questo blog
---------------------------------------------------------------



venerdì 15 luglio 2011

1018 - Vita di Gesù (paragrafi 155 - 159)

XX - Giovanni


§ 155. I tre vangeli sinottici non contengono alcuna designazione diretta dei propri autori; al contrario nel IV vangelo, unico non sinottico, siffatta designazione è contenuta, sebbene in maniera velata, dicendosi alla fine dello scritto: Costui e' il discepolo che testimonia circa queste cose e scrisse queste cose (Giovanni, 21, 24); nella quale proposizione il pronome costui si riferisce a un discepolo che Gesù amava, e di cui si è trattato poco prima (21, 10). Questa dichiarazione conclusiva di tutto il libro, se non è una palese firma dell'autore, ne è come una velata sigla. Come interpretare que­sta sigla? Chi è l'anonimo discepolo che Gesu' amava? La stessa designazione affettiva ritorna altre volte (13, 23; 19, 26; 20, 2; 21, 7.20), ma solo da quando la biografia di Gesù volge alla conclusione entrando nel periodo più tragico e più patetico, cioè dall'ultima cena in poi (13, 23): prima di questo periodo, quella designazione affettiva non compare. Ma compare un discepolo di Gesù, egualmente innominato, che è tra i primi a seguire Gesù, e che passa a lui, dopo essere stato alla sequela di Giovanni il Battista, insieme con Andrea di Bethsaida, fratello di Simone Pietro (1, 35-44). Compare anche nel processo di Gesù un innominato discepolo il quale, essendo conosciuto dal sommo sacerdote, si serve di questa conoscenza per far entrare Simone Pietro nell'atrio del sommo sa­cerdote (18, 15-16). Ora, questo discepolo anonimo e il discepolo che Gesu' amava sono in realtà una sola e identica persona. Dai Sinottici, infatti, appren­diamo che i discepoli prediletti da Gesù erano gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni: dunque, ragionevolmente, fra questi tre deve stare il discepolo che Gesu' amava. Ma costui certamente non è Pietro, il quale più d'una volta è nettamente distinto dal nostro ricercato (13, 23-24; 18, 15; 20, 2; ecc.); ma neppure è Giacomo, per le seguenti ragioni. Il Giacomo in questione è Giacomo il Maggiore, che aveva per pa­dre Zebedeo e per madre Salome, ed era perciò fratello dell'apostolo Giovanni: essendo questi due fratelli nativi di Bethsaida, si com­prende facilmente che fossero amici degli altri due fratelli Andrea e Simone Pietro, ch'erano della stessa borgata (1, 35-44; cfr. Marco, 1, 16-20). Senonché questo Giacomo fu ucciso da Erode Agrippa I assai presto (Atti, 12, 2), nell'anno 44, quando nessuno dei nostri vangeli era scritto, tanto meno dunque il IV e ultimo, che è appunto attribuito al prediletto discepolo che ricerchiamo. Costui dunque deve essere l'altro fratello, cioè l'apostolo Giovanni, figlio di Ze­bedeo. Vari rilievi confermano questa conclusione. L'amicizia particolare che esisteva fra i compaesani Simone Pietro e Giovanni di Zebedeo, esisteva anche fra Simone Pietro e il discepolo che Gesu' amava (13, 24-26; 18, 15-16; 20, 2 segg.; 21,7. 20 segg.). Inoltre mentre Simone Pietro è nominato in questo vangelo ben una quarantina di volte, e spesso anche altri Apostoli, soltanto i fratelli Giacomo e Gio­vanni non vi sono giammai nominati, e solo una volta vi sono desi­gnati appellativamente come quelli di Zebedeo (21, 2); perché mai questa ignoranza, se specialmente Giovanni risulta dagli Atti come persona di somma autorità, e dallo stesso Paolo è ricordato subito dopo Pietro come una delle colonne della Chiesa (Galati, 2, 9)? E’ dunque un'ignoranza fittizia, dettata da modestia: è un riserbo si­mile a quello per cui Marco, “interprete” di Pietro, omette volen­tieri nel suo vangelo i fatti onorifici a Pietro (§ 134). Si vedrà in seguito se, ai caratteri dell'autore cosi svelato, corrispon­dano le qualità interne dello scritto. Adesso, invece, ascoltiamo che cosa l'antica tradizione dice di lui.


§ 156. Ai piedi della croce di Gesù, insieme con Maria madre di lui, stava Giovanni, e da quell’ora la prese il discepolo in (casa) sua (Giov., 19, 27). Dopo la Pentecoste, Giovanni appare a fianco a Pietro in Gerusalemme (Atti, 3, 1 segg.) e poi in Samaria (ivi, 8, 14). Recandosi Paolo nell'anno 49 a Gerusalemme, per partecipare al concilio apostolico, vi trova Giovanni (Gal., 2, 9; cfr. Atti, 15, i segg.). Dopo ciò il custode della madre di Gesù non compare più in Palestina; probabilmente ne era partito prima dell'anno 58, al­lorché tornando Paolo a Gerusalemme non si fa menzione di Giovanni (Atti, 21, 15 segg.). La successiva tradizione addita Giovanni in Asia Minore, ad Efeso, sul finire del secolo I Durante la perse­cuzione, mossa insieme contro Giudei e cristiani da Domiziano negli ultimi due anni del suo impero (anni 81-96), Giovanni fu relegato nell'isola di Patmos, ove scrisse l'Apocalisse. Morto Domiziano, tornò ad Efeso, ove visse durante l'impero di Nerva (anni 96-98) e una parte di quello di Traiano; morì vecchissimo, forse nell'anno settimo di Traiano, cioè nel 104, di morte naturale. La sua tomba era ve­nerata ad Efeso. Su questo fondo costante della tradizione si sovrapposero ben presto leggende e amplificazioni, favorite certo da quell'aura d'arcano pro­digio che doveva aver circonfuso, già nella sua longevità, colui ch'era stato il prediletto amico di Gesù e il suo spirituale biografo. Una traccia di siffatte leggende si ritrova in fondo allo stesso vangelo, ove sta scritto: Usci' pertanto tra i fratelli questa parola “Quel di­scepolo non muore”. Tuttavia Gesu' non gli disse “non muore”, bensi “Se io voglio ch'egli rimanga finché io vengo, che importa a te (Pietro)?” (21, 23). Dunque, fra gli ammiratori del vegliardo erano alcuni i quali credevano ch'egli, non tocco da morte, sarebbe rimasto unico superstite dei discepoli di Gesù fino alla nuova venuta gloriosa di lui: credenza pia ed affettuosa, ma che lo scrittore provvede a dissipare. Recentemente invece, si è fatto il tentativo inverso, essendosi ordita una regolare congiura per far morire Giovanni prima del tempo; alcuni studiosi, infatti, hanno supposto che egli sia stato ucciso nel 44 insieme con suo fratello Giacomo, o almeno in un anno imprecisato di poco posteriore. Questa sconcertante ipotesi, che merita appena d'esser presa in speciale considerazione, adduce come prove un passo evangelico interpretato arbitrariamente e un paio di testi incertissimi e tardivi, mentre a cuor leggiero respinge una con­gerie di testimonianze nettissime ed antiche; ma quei testi sono in realtà dei pretesti, mentre il vero motivo dell'ipotesi è di rendere impossibile l'attribuzione del IV vangelo a Giovanni l'apostolo.


§ 157. Ecco pertanto le più antiche attestazioni circa la presenza di Giovanni e il suo vangelo. Anche qui primo in ordine di tempo è Papia, sebbene la sua testimonianza questa volta sia più indiretta del solito e soltanto riassunta. La notizia che il vangelo fu pubblicato da Giovanni adhuc in corpore constituto, mentre smentisce, a morte avvenuta, la leggenda del­l'immortalità di Giovanni, vuole rilevare che lo scritto non fu pub­blicato postumo, come forse si potrebbe erroneamente concludere dalla sua finale. Verso l'anno 180 Ireneo, dopo aver parlato dei tre primi vangeli, soggiunse: Quindi Giovanni, il discepolo del Signore, quello che ri­posò pure sul petto di lui, anch'egli pubblicò il vangelo, dimorando in Efeso d'Asia; testo greco in Eusebio, Hist. eccl., v, 8, 4). Non vi può esser ragionevole dubbio che per Ireneo questo Giovanni, discepolo del Signore, sia l'apostolo che nell'ultima cena riposò sul petto di Gesu' (Giov., 13, 23); ma il valore singolare d'Ireneo come testimonio su tale questione è dato dalla circostanza che egli da giovanetto, in Asia Minore, era stato uditore di Policarpo di Smirne, morto quasi novantenne nel 155, il quale a sua volta era stato uditore di Giovanni: cosicché da Ireneo si risale a Giovanni per il solo intermediario di Policarpo.


§ 158. Ma qui è da accennare ad una celebre questione, suscitata da un passo di Papia e dal commento che vi aggiunge Eusebio nel riportare il passo: cioè, se Ireneo non abbia confuso l'apostolo Giovanni con un suo omonimo. Papia dunque, volendo a principio del suo scritto manifestare la provenienza dei suoi insegnamenti, cosi' si esprime: Se mai fosse venuto taluno ch'era stato al seguito dei presbiteri (o anziani) io interrogavo sui detti dei presbiteri, che cosa Andrea o che cosa Pietro disse, o che cosa Filippo, o che cosa Tommaso o Giacomo, o che cosa Giovanni o Matteo, o alcun altro dei discepoli del Signore, inoltre quelle cose che Aristione e il presbi­tero Giovanni, discepoli del Signore, dicono. Alla quale citazione di Papia (tradotta con fedeltà meticolosa) Eusebio fa seguire questo commento: Qui e' anche opportuno rilevare che egli due volte enu­mera il nome di Giovanni, il primo dei quali egli cataloga insieme con Pietro e Giacomo e Matteo e gli altri apostoli, mostrando aper­tamente (che e') l'evangelista: invece l'altro Giovanni egli colloca - facendo una distinzione nel ragionamento - tra gli altri fuor del nu­mero degli apostoli, mettendo avanti a lui Aristione e apertamente chiamandolo presbitero. Cosicché, pure da tali cose, e' dimostrata vera l'informazione di coloro che hanno detto esservi stati due omo­nimi in Asia ed esistere in Efeso due tombe, dette anche adesso am­bedue di Giovanni. E’anche necessario fare attenzione a queste cose, poiché se taluno non ammette che sia stato il primo, e' verosimile che sia stato il secondo, colui che ha contemplato l'Apocalisse che va in giro sotto il nome di Giovann; di qui Eusebio conclude che Ireneo, affermando che Papia è stato l'uditore di Giovanni e compagno di Policarpo, abbia scambiato Giovanni il Presbitero con Giovanni l'apostolo (ivi, 1-2). Infinite sono state le discussioni su questi testi, a cominciar da quella sull'esattezza della loro trasmissione. Prima di Eusebio, a quanto ci risulta, nessuno pensò all'esistenza di due Giovanni, salvo Dionisio d'Alessandria a mezzo il secolo III; il quale tuttavia attribuisce il vangelo all'apostolo e non al Presbitero (ivi, vii, 25, 7-16), come del resto fa pure Eusebio. Cedendo alla prima impressione che fanno le nude parole di Papia, verrebbe certo spontanea la distinzione di due Giovanni: ma questa prima impressione potrebbe anche esser fal­lace, per varie ragioni che sarebbe qui fuor di luogo ricordare. Ad ogni modo, anche se si preferisce distinguere due Giovanni, l'attri­buzione del vangelo a Giovanni l'apostolo non resta minimamente pregiudicata, come appare già dall'opinione di Dionisio e di Eusebio, il quale ultimo aveva sott'occhio l'intero scritto di Papia. Quand'anche si dimostrasse con certezza che Ireneo abbia confuso due Gio­vanni diversi, altrettanto non si potrebbe davvero dire di Policarpo ch'era stato in relazioni personali con Giovanni; come d'altra parte all'apostolo Giovanni, indipendentemente dall'esistenza di un altro Giovanni, è attribuito il vangelo dalle attestazioni di altre chiese d'Asia e d'Occidente, le quali - checché si sia congetturato recentemente - non sono in alcuna maniera sotto l'influenza di Ireneo.


§ 159. Non è sotto tale influenza la testimonianza di Policrate che, non solo era vescovo di Efeso e scriveva a nome di altri vescovi d'Asia, ma era egli stesso l'ottavo vescovo di sua famiglia, e perciò erede di antiche tradizioni. Egli dunque, scrivendo al papa Vittore in Roma (anni 189-199), ricorda Giovanni, quello che riposò sul pet­to del Signore, che fu sacerdote portante il “petalon”, e martire e maestro: costui s'addormentò in Efeso (in Eusebio, Hist. eccl., v, 24, 3). L'accenno al petalon è un'applicazione simbolica della veste li­turgica riservata nell'Antico Testamento al sommo sacerdote (cfr. Esodo, 28, 36; 39, 30); il resto è chiaro, anche il termine martire impiegato in senso largo, come già accennammo (§ 156, nota) e come è confermato dal seguente s'addormentò. Veramente si è asserito che anche Policrate abbia confuso i due Giovanni, ma l'asserzione non è stata in alcun modo provata. In Occidente, la tradizione della chiesa di Roma è rappresentata specialmente dal Frammento Muratoriano (§ 136), che sul IV van­gelo si diffonde più che sugli altri scritti. Eccone il passo relativo, corretto anche questa volta dagli errori più grossolani: Quantum evangeliorum Johannis ex discipulis. Cohortantibus condisci pulis et episcopis suis dixit: Conieiunate mihi hoc triduo, et quid cui que 'uerit revelatum, alterutrum nobis enarremus. Eadem nocte revela­tum Andrea' ex apostolis, ut reco gnoscentibus cunctis Johannis suo nomine cuncta describeret. Et ideo, licet varia singulis evangeliorum libris princi pia doceantur, nihil tamen diflert credentium fidei, cum uno ac principali Spiritu declarata sint in omnibus omn... Quid ergo mirum” si fohannes tam constanter singula etiam in epistulis suis pro fert, dicens in semetipsum “Qua' vidimus oculis nostris, et auribus audivimus, et manus nostra' palpaverunt, hac scripsimus vobis” (cfr. I Giov., 1, 1)? Sic enim non solum visorem se et audito­rem, sed et scriptorem omnium mirabilium Domini per ordinem profitetur. In questa testimonianza si ritrovano elementi certo leg­gendari - come il patto fra Giovanni e i discepoli, e l'apparizione ad Andrea - che fantasticano forse sui dati di Giov., 21, 24; ma vi si ritrova anche una chiara preoccupazione polemica, per cui questo tratto riguardante il IV vangelo si estende ad una straordinaria lun­ghezza (che noi abbiamo anche accorciata). Senza dubbio tale pole­mica era diretta contro i rimasugli della scuola del prete romano Caio, il quale, per opporsi ai Montanisti che si facevano forti so­prattuto del IV vangelo, l'aveva respinto; ai seguaci di Caio fu perciò dato l'appellativo di Alogi, cioè privi di “logos”, giacché il IV vangelo è appunto il vangelo del Logos divino, ma l'appellativo valeva anche in senso non teologico come privi di ragione, cioè del logos umano.
------------

Nessun commento:

Posta un commento

Comunque tu sia arrivato fino qui, un tuo commento è gradito, si può dissentire ma non aggredire, la costruzione è preferita alla distruzione..

Medaglia di San Benedetto