La vita di S. Abercio venne scritta soltanto nel secolo IV, due secoli dopo la sua morte, e naturalmente ai fatti realmente accaduti e sui quali non si era forse più molto informati vennero aggiunti degli elementi leggendari, che resero veramente severi gli storici, che considerarono Abercio una figura poco più che inventata. Ma Abercio si prese una bella rivincita. Nel 1882 infatti a Kelendre nelle vicinanze dell'antica Gerapoli (o Hieropolis), capitale della Frigia Salutare, l'archeologo William Ramsay scoprì un'iscrizione greca, inserita in un pilastro posto dinanzi alla grande moschea. Erano esattamente l'inizio e la fine dell'"epitaffio" del vescovo Abercio che era stato conservato dalla vita, troppo precipitosamente scartata dal novero delle opere storicamente utilizzabili.
L'anno successivo, 1883, lo stesso Ramsay rinvenne altri due frammenti della parte centrale dell'epitaffio, che venne così interamente confermato. Il prestigioso reperto venne donato al papa Leone XIII nel 1892, in occasione del suo giubileo, e perciò viene ora conservato nella Galleria lapidaria del Museo Lateranense di Roma. Il testo di questo epitaffio è uno dei documenti più preziosi per la storia del cristianesimo, poichè ne attesta la diffusione e talune caratteristiche dogmatiche e liturgiche ad un'epoca che non è certamente posteriore al 216.
Ecco l'importante documento: "Cittadino di una eletta città, mi sono fatto questo monumento da vivo per avere qui una degna sepoltura per il mio corpo, io di nome Abercio, discepolo del casto pastore che pasce greggi di pecore per monti e per piani; egli ha grandi occhi che guardano dall'alto dovunque. Egli mi insegnò le scritture degne di fede; egli mi mandò a Roma a contemplare la reggia e vedere una regina dalle vesti e dalle calzature d'oro; io vidi colà un popolo che porta un fulgido sigillo. Visitai anche la pianura della Siria e tutte le sue città e, oltre l'Eufrate, Nisibi e dovunque trovai confratelli..., avendo Paolo con me, e la fede mi guidò dovunque e mi dette per cibo il pesce di fonte grandissimo, puro, che la casta vergine suole prendere e porgere a mangiare ogni giorno ai suoi fedeli amici, avendo un eccellente vino che suole donare col pane. Io Abercio ho fatto scrivere queste cose qui, in mia presenza, avendo settantadue anni. Chiunque comprende quel che dico e pensa come me, preghi per Abercio. Che nessuno ponga un altro nel mio sepolcro, altrimenti pagherà 2000 monete d'oro all'erario dei Romani e 1000 alla mia diletta patria".
L'anno successivo, 1883, lo stesso Ramsay rinvenne altri due frammenti della parte centrale dell'epitaffio, che venne così interamente confermato. Il prestigioso reperto venne donato al papa Leone XIII nel 1892, in occasione del suo giubileo, e perciò viene ora conservato nella Galleria lapidaria del Museo Lateranense di Roma. Il testo di questo epitaffio è uno dei documenti più preziosi per la storia del cristianesimo, poichè ne attesta la diffusione e talune caratteristiche dogmatiche e liturgiche ad un'epoca che non è certamente posteriore al 216.
Ecco l'importante documento: "Cittadino di una eletta città, mi sono fatto questo monumento da vivo per avere qui una degna sepoltura per il mio corpo, io di nome Abercio, discepolo del casto pastore che pasce greggi di pecore per monti e per piani; egli ha grandi occhi che guardano dall'alto dovunque. Egli mi insegnò le scritture degne di fede; egli mi mandò a Roma a contemplare la reggia e vedere una regina dalle vesti e dalle calzature d'oro; io vidi colà un popolo che porta un fulgido sigillo. Visitai anche la pianura della Siria e tutte le sue città e, oltre l'Eufrate, Nisibi e dovunque trovai confratelli..., avendo Paolo con me, e la fede mi guidò dovunque e mi dette per cibo il pesce di fonte grandissimo, puro, che la casta vergine suole prendere e porgere a mangiare ogni giorno ai suoi fedeli amici, avendo un eccellente vino che suole donare col pane. Io Abercio ho fatto scrivere queste cose qui, in mia presenza, avendo settantadue anni. Chiunque comprende quel che dico e pensa come me, preghi per Abercio. Che nessuno ponga un altro nel mio sepolcro, altrimenti pagherà 2000 monete d'oro all'erario dei Romani e 1000 alla mia diletta patria".
--------------
Nessun commento:
Posta un commento
Comunque tu sia arrivato fino qui, un tuo commento è gradito, si può dissentire ma non aggredire, la costruzione è preferita alla distruzione..