La sua famiglia è di probabile origine latina (il padre si chiama Prisco) e vive a Flavia Neapolis, città fondata in Samaria dai Romani dopo avere schiacciato l’insurrezione nazionale ebraica e aver distrutto il Tempio di Gerusalemme. Nato nel paganesimo, Giustino studia a fondo i filosofi greci, e soprattutto Platone. Poi viene attratto dai Profeti di Israele, e per questa via arriva a farsi cristiano, ricevendo il battesimo verso l’anno 130, a Efeso.
Ma questo non significa una rottura con il suo passato di studioso dell’ellenismo. Anzi: egli sente di avere raggiunto un traguardo, trovando in Cristo la verità che i pensatori greci gli hanno insegnato a ricercare.
Negli anni 131-132 lo troviamo a Roma, annunciatore del Vangelo agli studiosi pagani; un missionario-filosofo, che parla e scrive. Nella prima delle sue due Apologie, egli onora la sapienza antica, collocandola nel piano divino di salvezza che si realizza in Cristo. È l’uomo, insomma, dei primi passi nel dialogo con la cultura greco-romana.
Al tempo stesso, Giustino si batte contro i pregiudizi che l’ignoranza alimenta contro i cristiani, esalta il vigore della loro fede anche nella persecuzione, la loro mitezza e l’amore per il prossimo. Vuole sradicare quella taccia di “nemici dello Stato”, che giustifica avversioni e paure. Il successivo Dialogo con Trifone ha invece la forma letteraria di una sua disputa a Efeso con un rabbino, nel quale Giustino illustra come Gesù ha dato adempimento in vita e in morte alla Legge e agli annunci dei Profeti.
Predicatore e studioso itinerante, Giustino soggiorna in varie città dell’Impero; ma è ancora a Roma che si conclude la sua vita. Qui alcuni cristiani sono stati messi a morte come “atei” (cioè sovversivi, nemici dello Stato e dei suoi culti). Allora lui scrive una seconda Apologia, indirizzata al Senato romano, e si scaglia contro un accanito denunciatore, il filosofo Crescente: sappiano i senatori che costui è un calunniatore, già ampiamente svergognato come tale da lui, Giustino, in pubblici contraddittori. Ma Crescente sta con il potere, e Giustino finisce in carcere, anche lui come “ateo”, per essere decapitato con altri sei compagni di fede, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio. Lo attestano gli Acta Sancti Iustini et sociorum, il cui valore storico è riconosciuto unanimemente. Non ci è noto il luogo della sua sepoltura.
Anche la maggior parte dei suoi scritti è andata perduta. Eppure la sua voce ha continuato a parlare. Nel Concilio Vaticano I i vescovi vollero che egli fosse ricordato ogni anno dalla Chiesa universale. E il Concilio Vaticano II ha richiamato il suo insegnamento in due dei suoi testi fondamentali: la costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, e la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes.
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sabato 1 giugno 2013
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