Arialdo nacque a Cucciago (Como), poco dopo l'anno 1000, sembra da una famiglia di valvassori, originaria, secondo alcuni, del vicino villaggio di Alzate Brianza, secondo altri di Carimate, paese ugualmente nei dintorni di Cucciago, donde l'appellativo "da Carimate" aggiunto al nome del santo. Ben presto avviato dai genitori alla vita ecclesiastica, Arialdo fu dapprima istruito da maestri locali nelle arti del Trivio e del Quadrivio, e successivamente perfezionò i suoi studi presso scuole superiori, di tipo universitario. Non si sa con certezza quali centri di studio egli abbia frequentato (forse anche Parigi): è certo, però, che in quel tempo venne a contatto col moto della riforma, di ispirazione cluniacense, detta poi Gregoriana, per l'impulso datovi da Gregorio VII.
Ritornato a Milano in età già matura poco prima del 1050, venne ordinato diacono dall'arcivescovo Guido da Velate (1045-1071), aggregato alla cappella arcivescovile ed incaricato dell'insegnamento delle arti liberali nella scuola per i giovani aspiranti alla vita ecclesiastica, aperta presso la cattedrale iemale di S. Maria.
Fu allora che Arialdo prese a colpire. con la sua ardente parola, non solo la simoniá ma soprattutto il grave abuso di ammettere agli ordini sacri persone già sposate e di permettere loro la continuazione della vita coniugale. L'abuso della clerogamia, definita polemicamente dai propugnatori della riforma "concubinato del clero", era così radicato nell'Italia settentrionale (probabilmente sotto l'influsso di costumanze orientali), da costituire una prassi generale, e, successivamente, negli anni più cruciali della lotta per la riforma gregoriana, esso venne difeso ufficialmente come una libertà della Chiesa ambrosiana.
Visto lo scarso successo della predicazione riformatrice fatta in mezzo al clero, Anselmo da Baggio, A., i fratelli Landolfo Cotta ed Erlembaldo ed altri, gettarono le basi di una associazione vera e propria di buoni popolani, che si impegnavano a favorire la riforma. La nuova società venne detta con disprezzo dagli avversari Pataria (dal vocabolo dialettale milanese patée adoperato per designare i venditori di cianfrusaglie usate, e sinonimo perciò di straccioni). La Pataria, oltre a quello religioso, perseguiva anche altri fini: e cioè l'indipendenza dalla tutela degli imperatori germanici e la lotta contro il feudalismo. Così si spiegano sia certe asprezze della lotta, sia anche gesti ingiusti compiuti da qualche elemento torbido che talora riusciva ad infiltrarsi anche nei movimenti migliori, per compiere vendette personali o per sfruttare situazioni a proprio vantaggio.
I seguaci della Pataria, sotto la guida di A., divenuto capo del movimento, assieme a Landolfo Cotta, dopo la nomina di Anselmo da Baggio a vescovo di Lucca (1057), fecero approvare un proclama de castitate servarlda, da far sottoscrivere a tutti i membri del clero.
Arialdo e Landolfo Cotta, scomunicati dai vescovi della provincia lombarda, ricorsero a Roma che li assolse ed inviò i suoi legati per ben due volte: alla fine del 1057, Anselmo da Lucca ed il monaco Ildebrando, nel 1059 Pier Damiani e ancora Anselmo da Lucca, i quali ottennero dall'arcivescovo Guido promessa formale d i attuare anche a Milano la riforma.
Arialdo, dal canto suo, aveva organizzato una comunità di chierici esemplari con la forma giuridica dei canonici regolari, costruendo per loro un'abitazione comune, detta "la Canonica", accanto ad una chiesa dedicata alla Vergine Maria, situata nella zona dell'attuale piazza Cavour. Profondamente imbevuto di senso liturgico, A. biasimò con una certa vivacità sia l'uso di anticipare al mattino del sabato santo le funzioni della notte santa di Pasqua, sia anche l'uso di celebrare le Litanie Minori, in quanto in contrasto con lo spirito di letizia proprio del tempo pasquale.
Nel frattempo, nel 1061 era divenuto papa, col nome di Alessandro II, Anselmo da Baggio, uno dei fondatori della Pataria, il quale aveva nominato Erlembaldo gonfaloniere di Santa Romana Chiesa. La lotta a Milano si riaccese furibonda e culminò nella festa di Pentecoste del 1066 (4 giug.), quando in Duomo l'arcivescovo Guido, pubblicamente ribellatosi alla scomunica papale, recapitatagli da Erlembaldo, si scagliò contro A. e i suoi seguaci e, sfruttando abilmente il campanilismo milanese, riuscì a farli scacciare dalla città. A. si mise in viaggio segretamente per Roma, accompagnato da Erlembaldo: fermato e tradito dai partigiani di Guido, venne condotto nel castello di Angera, dominato da Oliva, nipote dell'arcivescovo. L'empia donna fece condurre A. in uno degli isolotti del Lago Maggiore, e il 27 giugno 1066, dietro suo ordine, Arialdo venne assassinato da due preti scellerati che fecero scempio del suo cadavere.
Erlembaldo in seguito riportò a Milano il corpo del suo amico e, la festa di Pentecoste del 1067, lo fece seppellire nella chiesa milanese di S. Célso. Nello stesso anno papa Alessandro II, che a quanto pare già annoverava Arialdo tra i martiri, moderò gli eccessi di zelo dei Patarini inviando a Milano una legazione che assolse Guido dalla scomunica, avendo egli promesso di attuare la riforma.
Le reliquie di s. Arialdo, trasferite nel 1099 dall'arcivescovo Anselmo da Bovisio nella chiesa di S. Dionigi, accanto a quelle di Erlembaldo, e poi, nel 1528, nel Duomo, furono ritrovate e solennemente ricomposte nel 1940 dal cardinale Ildefonso Schuster.
Il culto locale di s. Arialdo è stato approvato con la formula "sanctus vel beatus nuncupatus dalla S. Congregazione dei Riti, con decreto del 12 luglio 1904 (approvato da Pio X il giorno successivo), e successivamente il 25 novembre dello stesso anno furono approvati l'Ufficio e la Messa propri del santo.
Ritornato a Milano in età già matura poco prima del 1050, venne ordinato diacono dall'arcivescovo Guido da Velate (1045-1071), aggregato alla cappella arcivescovile ed incaricato dell'insegnamento delle arti liberali nella scuola per i giovani aspiranti alla vita ecclesiastica, aperta presso la cattedrale iemale di S. Maria.
Fu allora che Arialdo prese a colpire. con la sua ardente parola, non solo la simoniá ma soprattutto il grave abuso di ammettere agli ordini sacri persone già sposate e di permettere loro la continuazione della vita coniugale. L'abuso della clerogamia, definita polemicamente dai propugnatori della riforma "concubinato del clero", era così radicato nell'Italia settentrionale (probabilmente sotto l'influsso di costumanze orientali), da costituire una prassi generale, e, successivamente, negli anni più cruciali della lotta per la riforma gregoriana, esso venne difeso ufficialmente come una libertà della Chiesa ambrosiana.
Visto lo scarso successo della predicazione riformatrice fatta in mezzo al clero, Anselmo da Baggio, A., i fratelli Landolfo Cotta ed Erlembaldo ed altri, gettarono le basi di una associazione vera e propria di buoni popolani, che si impegnavano a favorire la riforma. La nuova società venne detta con disprezzo dagli avversari Pataria (dal vocabolo dialettale milanese patée adoperato per designare i venditori di cianfrusaglie usate, e sinonimo perciò di straccioni). La Pataria, oltre a quello religioso, perseguiva anche altri fini: e cioè l'indipendenza dalla tutela degli imperatori germanici e la lotta contro il feudalismo. Così si spiegano sia certe asprezze della lotta, sia anche gesti ingiusti compiuti da qualche elemento torbido che talora riusciva ad infiltrarsi anche nei movimenti migliori, per compiere vendette personali o per sfruttare situazioni a proprio vantaggio.
I seguaci della Pataria, sotto la guida di A., divenuto capo del movimento, assieme a Landolfo Cotta, dopo la nomina di Anselmo da Baggio a vescovo di Lucca (1057), fecero approvare un proclama de castitate servarlda, da far sottoscrivere a tutti i membri del clero.
Arialdo e Landolfo Cotta, scomunicati dai vescovi della provincia lombarda, ricorsero a Roma che li assolse ed inviò i suoi legati per ben due volte: alla fine del 1057, Anselmo da Lucca ed il monaco Ildebrando, nel 1059 Pier Damiani e ancora Anselmo da Lucca, i quali ottennero dall'arcivescovo Guido promessa formale d i attuare anche a Milano la riforma.
Arialdo, dal canto suo, aveva organizzato una comunità di chierici esemplari con la forma giuridica dei canonici regolari, costruendo per loro un'abitazione comune, detta "la Canonica", accanto ad una chiesa dedicata alla Vergine Maria, situata nella zona dell'attuale piazza Cavour. Profondamente imbevuto di senso liturgico, A. biasimò con una certa vivacità sia l'uso di anticipare al mattino del sabato santo le funzioni della notte santa di Pasqua, sia anche l'uso di celebrare le Litanie Minori, in quanto in contrasto con lo spirito di letizia proprio del tempo pasquale.
Nel frattempo, nel 1061 era divenuto papa, col nome di Alessandro II, Anselmo da Baggio, uno dei fondatori della Pataria, il quale aveva nominato Erlembaldo gonfaloniere di Santa Romana Chiesa. La lotta a Milano si riaccese furibonda e culminò nella festa di Pentecoste del 1066 (4 giug.), quando in Duomo l'arcivescovo Guido, pubblicamente ribellatosi alla scomunica papale, recapitatagli da Erlembaldo, si scagliò contro A. e i suoi seguaci e, sfruttando abilmente il campanilismo milanese, riuscì a farli scacciare dalla città. A. si mise in viaggio segretamente per Roma, accompagnato da Erlembaldo: fermato e tradito dai partigiani di Guido, venne condotto nel castello di Angera, dominato da Oliva, nipote dell'arcivescovo. L'empia donna fece condurre A. in uno degli isolotti del Lago Maggiore, e il 27 giugno 1066, dietro suo ordine, Arialdo venne assassinato da due preti scellerati che fecero scempio del suo cadavere.
Erlembaldo in seguito riportò a Milano il corpo del suo amico e, la festa di Pentecoste del 1067, lo fece seppellire nella chiesa milanese di S. Célso. Nello stesso anno papa Alessandro II, che a quanto pare già annoverava Arialdo tra i martiri, moderò gli eccessi di zelo dei Patarini inviando a Milano una legazione che assolse Guido dalla scomunica, avendo egli promesso di attuare la riforma.
Le reliquie di s. Arialdo, trasferite nel 1099 dall'arcivescovo Anselmo da Bovisio nella chiesa di S. Dionigi, accanto a quelle di Erlembaldo, e poi, nel 1528, nel Duomo, furono ritrovate e solennemente ricomposte nel 1940 dal cardinale Ildefonso Schuster.
Il culto locale di s. Arialdo è stato approvato con la formula "sanctus vel beatus nuncupatus dalla S. Congregazione dei Riti, con decreto del 12 luglio 1904 (approvato da Pio X il giorno successivo), e successivamente il 25 novembre dello stesso anno furono approvati l'Ufficio e la Messa propri del santo.
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