Discorsi, 194, 3
Chi di noi uomini potrà mai conoscere tutti i tesori della sapienza e della scienza racchiusi in Cristo e nascosti nella povertà della sua carne? Poiché «per noi si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà» (2 Cor 8,9).
Quando assunse la natura mortale e consumò la morte si mostrò nella povertà, ma promise le sue ricchezze che aveva differite, non le perse per essergli state tolte. «Quanto è immensa la sua bontà che riserva per coloro che lo temono ma che concede a chi conserva la sua speranza in lui!» (Sal 30,20)...
Per farci diventare capaci di possederlo egli, uguale al Padre nella natura divina e divenuto simile a noi nella natura di servo, ci rifà a somiglianza di Dio.
L'unico Figlio di Dio, divenuto figlio dell'uomo, fa diventare figli di Dio molti figli dell'uomo; e nutrendo i servi con l'assumere la natura visibile di servo, li rende figli, capaci di poter vedere la natura di Dio.
Infatti «siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato quello che saremo. Sappiamo che quando ciò verrà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è» (1 Gv 3,2).
In che senso in lui ci sono tesori di sapienza e di scienza, in che senso si parla di ricchezze divine se non perché ci basteranno?
E in che senso è grande la sua bontà se non perché ci sazierà?
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