Giornale dell'anima, agosto 1961
Guardando indietro alla mia umile vita e alle sue vicissitudini, devo riconoscere che il Signore mi ha dispensato fino ad ora da quelle tribolazioni che, per tante anime, rendono difficile e senza fascino il servizio della verità, della giustizia e della carità... O Dio buono, come ringraziarti per i riguardi che mi sono sempre stati riservati ovunque mi sono recato nel tuo nome, e sempre per pura obbedienza non alla mia volontà, bensì alla tua? « Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?» (Sal 115,12). Vedo benissimo che la risposta da fare a me stesso e al Signore è sempre di «alzare il calice della salvezza e invocare il nome del Signore» (vs 13).
L'ho accennato in queste pagine: se un giorno mi succederà una grande tribolazione, occorrerà accoglierla; e se essa si farà aspettare ancora un po', dovrò continuare ad abbeverarmi del sangue di Gesù con il corteo di tribolazioni piccole o grandi di cui la bontà del Signore vorrà circondarlo. Sono sempre stato impressionato, e ancora oggi lo sono, da questo piccolo salmo 130 che dice: « Signore non si inorgoglisce il mio cuore, e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia» Oh! quanto amo queste parole! Ma se dovessi turbarmi verso la fine della mia vita, mio Signore Gesù, mi rafforzerai nella tribolazione. Il tuo sangue, il tuo sangue che continuirò a bere al tuo calice, cioè al tuo cuore, sarà per me il pegno della salvezza e della gioia eterna. «Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (2 Cor 4,17)
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