"E' un monaco esemplare", dicono certi confratelli. «Troppo esemplare», mormorano certi altri, meno spirituali. Infatti nel monastero gli fanno amministrare la mensa, e lui raziona severamente cibo e bevande a tutti, cominciando da sé stesso. Nato da una famiglia gallo-romana di limitate risorse, sui vent’anni si è fatto monaco a Lérins, nel minuscolo arcipelago al largo di Cannes, presso il monastero che è già un illustre centro di studi e spiritualità.
A Lérins, Cesario rimane per sette anni e poi il vescovo Eonio di Arles lo chiama presso di sé, gli conferisce il sacerdozio e lo manda in un altro monastero a riportare la disciplina. È un po’ la sua specialità: «Uso severità perché dovrò renderne conto al Giudice eterno». Intorno ai 33 anni, morto Eonio, eccolo vescovo di Arles, l’antica città sul Rodano, capitale della Gallia romana dal 395 fino alla caduta dell’Impero d’Occidente.
Ora la Gallia è un enorme condominio di Ostrogoti, Visigoti, Burgundi, ai quali si aggiungono dal Nord i Franchi, futuri padroni di tutto. Cesario è vescovo dei cattolici in una terra dove comandano i Visigoti ariani, con le campagne ancora scarsamente e irregolarmente evangelizzate. Lui però si considera debitore di tutti, chiamato a offrire aiuto in un tempo disgraziato, con tanti prigionieri di guerra, tanta gente deportata altrove, famiglie smembrate... In questa situazione, Cesario si realizza come il tipico vescovo dei “tempi di ferro”, difensore di tutti gli indifesi, che cresce in autorità per la sua dedizione alle popolazioni che nessun altro aiuta. Vende gli oggetti preziosi delle chiese per pagare i riscatti, si rivolge ai governanti e ai sovrani visigoti e burgundi; si ritrova pure accusato di congiura (ma dimostra poi la sua innocenza). E costruisce ad Arles l’ospedale più importante di tutta la Gallia.
Nei suoi quarant’anni da vescovo, Cesario promuove concili locali e sinodi per affrontare problemi di dottrina, di organizzazione e disciplina ecclesiastica. Ma è soprattutto un grande predicatore. Col suo consueto rigore, ammonisce i preti: «Chi non predica la parola di Dio dovrà renderne conto al Giudice». Dà al suo clero anche indicazioni pratiche sul modo di parlare, specialmente alla gente di campagna; e a quei preti che proprio non se la cavano, manda copia delle sue prediche. Molte di esse sono giunte fino a noi grazie alle ricerche del benedettino francese padre Leopoldo Germano Morin. Cesario predica per lo più ricorrendo al metodo delle domande e risposte, presentando i suoi concetti attraverso immagini familiari ai fedeli: e poi le sue prediche sono brevi; una ventina di minuti. Si può dire che Cesario abbia continuato a predicare anche dopo la morte, perché i suoi sermoni hanno avuto un’ampia diffusione nell’Alto Medioevo, e sono stati utilizzati da generazioni di predicatori.
Il vescovo-monaco è anche autore della Regola per un monastero femminile (fondato da sua sorella Cesaria), poi accolta anche da comunità maschili. Morto già in fama di santità, Cesario viene sepolto nella basilica di Santa Maria, devastata durante l’invasione saracena dell’VIII secolo. Ad Arles si conserva il coperchio del suo sarcofago.
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martedì 27 agosto 2013
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