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venerdì 9 dicembre 2011

1206 - Vita di Gesù (paragrafi 240-243)

Nascita di Gesù


§ 240. L'appartenenza di Giuseppe e della sua famiglia al casato di David, che era originario di Beth-lehem, ebbe ben presto una con­seguenza nel campo civile in occasione del censimento ordinato da Roma ed eseguito sotto Quirinio. Di questo famoso censimento ab­biamo trattato a parte (§ 183 segg.), e perciò qui supponiamo già note le osservazioni fatte. In Oriente l'attaccamento al proprio luogo d'origine era, ed è tutt’ora, tenace. Presso gli Ebrei una tribù si divideva in grandi “famiglie”, le famiglie si suddividevano in casati “pater­ni” e i casati paterni si frazionavano man mano in nuovi casati che potevano sciamare dall'alveare umano di loro origine e trasferirsi altrove; ma, ovunque andassero, i nuovi raggruppamenti familiari conservavano tenacemente il ricordo dell'alveare originario, sia demograficamente sia geograficamente. Si sapeva, cioè, che il decimo o il ventesimo antenato della propria famiglia era il Tale figlio del Tale, il quale aveva dimorato nella tale borgata, ivi aveva impiantato il suo casato e di là altre discendenze avevano sciamato. La storia degli Arabi è intessuta di nomi quali Banu X, Banu Y, cioè figli di X, figli di Y, come i Banu Quraish a cui appartenne Maometto; e anche oggi non è affatto difficile trovare un arabo, musulmano o cristiano, emigrato in Europa od America che sappia dire appuntino a quale grande casato egli appartenga e quale regione o borgata sia il centro geografico originario del suo casato. Questo attaccamento al proprio luogo d'origine formava presso i Giudei la base di un censimento, e i Romani nel primo censimento di Quirinio seguirono questa norma locale, sia per le ragioni poli­tiche che già sappiamo (§ 188), sia per frenare in qualche maniera lo spopolamento delle campagne causato dall'inurbanesimo. Per­ciò, bandito che fu il censimento, su Giuseppe incombé l'obbligo di presentarsi agli ufficiali dell'anagrafe in Beth-lehem, giacché egli era del “casato” e della “famiglia” di David (Luca, 2, 4) la quale era originaria di Beth-lehem.


§ 241. Beth-lehem è oggi una cittadina di circa 20.000 abitanti, si­tuata 9 chilometri a sud di Gerusalemme all'altezza di 770 metri sul mare. Il suo nome era originariamente Beth-Lahamu “casa del (dio) Lahamu”, divinità dei Babilonesi venerata anche dai Cananei del posto; sottentrati poi gli Ebrei ai Cananei, il nome finì per es­sere interpretato nel senso dell'ebraico beth-lehem, ”casa del pane”. Con l'avvento degli Ebrei in Palestina, s'insediò ivi il casato di Efra­ta (I Cronache, 2, 50-54; 4, 4), quindi il luogo fu chiamato sia Efrata sia Beth-lehem (Genesi, 35, 19; Ruth, 1, 2; 4, 11). Ivi, discendendo dal ramo di Isai (Jesse), era nato David (Ruth, 4, 22; I Cron., 2, 13-15). Se Nazareth era d'importanza così scarsa da non essere menzionata da nessun documento antico (§ 228), Beth-Iehem a sua volta era un villaggio assai meschino ai tempi di Gesù. Già nel secolo VIII av. Cr. il profeta Michea (5, I ebr.) aveva chiamato Beth-lehem piccola fra le ripartizioni della tribù di Giuda; il villaggio col territorio circo­stante doveva albergare poco più di 1000 abitanti, in massima parte pastori o poveri contadini. Era però un luogo di passaggio per le carovane che da Gerusalemme scendevano in Egitto: difatti una so­sta per carovane, ossia un caravanserraglio vi fu costruita da Chamaam, ch'era forse figlio d'un amico di David (II Samuele, 19, 37 segg.), e perciò fu chiamata “foreste­ria di Chamaam” (Geremia, 41, 17). Da Nazareth a Beth-lehem sono per la strada odierna 150 chilome­tri, e ai tempi di Gesù poteva esservi una piccola differenza in meno: era dunque un viaggio di tre o quattro giorni per le carovane d'al­lora. Non consta con certezza se a presentarsi personalmente in Beth-lehem fosse obbligato soltanto Giuseppe, ovvero pure Maria; ma anche se Maria non era inclusa nella legge, sta di fatto che Giuseppe vi si recò insieme con Maria, la fidanzata di lui, ch'era gravida (Luca, 2, 5). Queste parole possono benissimo valere come delicato accenno ad una almeno delle ragioni per cui venne anche Maria, cioè la vicinanza del parto in cui essa non doveva essere lasciata sola. Ma un'altra ragione - oltre al possibile obbligo di legge - poté essere che i due coniugi pensassero di trasferirsi stabilmente nel luogo originario del casato di David: poiché l'angelo aveva an­nunziato che Dio avrebbe dato al nascituro il trono di David padre suo (§ 230), quale pensiero più naturale che far ritorno alla patria di David per aspettare ivi l'attuazione dei misteriosi disegni divini? Già da vari secoli il profeta Michea aveva additato appunto la piccola Beth-lehem come luogo di provenienza di colui che avrebbe dominato su Israele (§ 254).


§ 242. Il viaggio dovette essere spossante per Maria, ch'era al nono mese di gravidanza. Le strade della regione, non ancora tracciate e mantenute dai Romani maestri in materia, erano cattive e appena adatte per carovane di cammelli e asini; in quei giorni poi, col sub­buglio del censimento, saranno state più frequentate del solito e quindi anche più scomode. I due coniugi, nella migliore delle ipo­tesi, avranno avuto a loro disposizione un asino, che sarà stato ca­ricato anche delle cibarie e degli oggetti più necessari, uno di quegli asini che ancora oggi in Palestina si vedono precedere una fila di cammelli o seguire un gruppetto di pedoni i tre o quattro pernotta­menti del viaggio saranno stati fatti o in qualche casa amica, o più probabilmente nei luoghi pubblici di sosta sdraiandosi a terra fra gli altri viandanti in mezzo a un cammello ed un asino. Giunti a Bethlehem, le condizioni furono peggiori. Il piccolo villaggio rigurgitava di gente, che si era allogata un po' dappertutto a cominciare dal caravanserraglio. Questo era forse la vecchia costruzione di Cha­maam (§ 241) riattata lungo i secoli; Luca la chiama l'albergo, ma la parola italiana non deve trarre in errore facendo pensare a un'azienda che rassomigli anche lon­tanamente a una modestissima locanda dei nostri villaggi. Il caravanserraglio d'allora era in sostanza l'odierno khan palestinese (§ 439), cioè un mediocre spazio a cielo scoperto recinto da un muro piuttosto alto e fornito di un'unica porta; internamente, lungo uno o più lati del muro, correva un portico di riparo che per un certo tratto poteva esser chiuso da muretti, e così formava uno stanzone con a fianco qualche altra cameretta più piccola. L'”albergo” era tutto qui; le bestie erano radunate in mezzo, nel cortile a cielo sco­perto, e i viandanti si ricoveravano sotto il portico o dentro lo stan­zone finché c'era posto, altrimenti s'accampavano fra le bestie: le camerette più piccole, se esistevano, erano riservate a chi poteva permettersi quella comodità pagando. E là, fra quell'ammasso di uomini e di bestie, tutto alla rinfusa si questionava d'affari e si pre­gava Dio, si cantava e si dormiva, si mangiava e si defecava, si po­teva nascere e si poteva morire, tutto fra quel sudiciume e quel lezzo che appestano ancora oggi gli accampamenti di beduini palestinesi in viaggio.


§ 243. Luca ci fa sapere che, quando Giuseppe e Maria giunsero a Bethlehem, non c'era posto per essi nell'albergo (2,7). Questa frase è più studiata di quanto sembri all'apparenza. Se Luca avesse voluto dire soltanto che il caravanserraglio non poteva contenere più al­cuno, gli sarebbe bastato dire che ivi non c'era posto; egli invece aggiunge per essi, non senza riferirsi implicitamente alle loro par­ticolari condizioni, cioè a quelle di Maria nell'imminenza del parto. Potrà sembrare una sottigliezza, ma non è. In Bethlehem Giuseppe avrà avuto senza dubbio conoscenti o anche parenti a cui doman­dare ospitalità; sia pure che il villaggio era gremito, ma un angoletto per due persone cosi semplici e dimesse si poteva sempre tro­vare in Oriente: quando a Gerusalemme affluivano centinaia di mi­gliaia di pellegrini in occasione della Pasqua (§ 74), la capitale ri­gurgitava non meno che la Bethlehem del censimento, eppure tutti trovavano posto adattandosi. Ma naturalmente, in circostanze di quel genere, diventavano simili a caravanserragli anche le squallide case private, che consistevano di solito in un unico stanzone a pian­terreno: tutto vi era in comune, tutto si faceva in pubblico, non c'era riserbo o segretezza di sorta. Perciò si comprende perché Luca specifichi che “non c'era posto per essi”: nell'imminenza del parto, ciò che Maria ricercava era soltanto riserbo e segretezza. E avvenne che, mentre essi erano colà, si compirono i giorni per il parto di lei, e partorì il suo figlio primogenito, e lo infasciò e lo pose a giacere in una mangiatoia (Luca, 2, 6-7). Qui si parla solo di mangiatoia, ma questo è un indizio ben sicuro alla luce delle co­stumanze contemporanee. La mangiatoia svela una stalla, e la stalla esige secondo le costumanze d'allora una grotta, una piccola ca­verna, scavata sul fianco di qualche collinetta nei pressi del villaggio: grotte di questo genere e destinate a questo uso si trovano tuttora in Palestina nei dintorni di gruppi di case. Quella stalla su cui misero gli occhi i due coniugi sarà stata forse occupata parzialmente da bestie, sarà stata tetra e sudicia di letame, ma era alquanto disco­sta dal villaggio e quindi solitaria e tranquilla; ciò bastava alla fu­tura madre. Perciò, giunti i due a Beth-lehem e vista quell'affluenza di gente, si alloggiarono alla meglio in quella grotta solitaria, in attesa sia di com­piere le formalità del censimento, sia del parto che la gestante sen­tiva imminente. Giuseppe avrà predisposto alla meglio un angolo meno disadatto e meno sudicio, vi avrà preparato un giaciglio di pa­glia pulita, avrà estratto dalla bisaccia di viaggio le provviste e qualche altra cosa più necessaria disponendole sulla mangiatoia fissa­ta al muro, e tutto fu lì: altre comodità non potevano esigere allora in Palestina quei due viandanti di quel grado sociale, i quali per di più si erano segregati spontaneamente in una grotta da bestie. In conclusione, povertà e purità furono le cause storiche per cui Gesù nacque in una grotta da bestie: la povertà del suo padre legale, che non aveva denaro per affittarsi fra tanti concorrenti una stanza appartata; la purità della sua madre naturale, che volle circondare il suo parto di riverente riserbo.
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