I Magi
§ 253. I Magi venuti a Gerusalemme avevano dunque visto una stella in Oriente, avevano compreso ch'era la stella del “re dei Giudei”, e perciò si erano messi in viaggio dall'Oriente per venire ad adorarlo. Riguardo alla stella abbiamo già espresso la nostra opinione secondo cui Matteo intende presentarla come un fatto miracoloso, da non potersi identificare con un fenomeno naturale (§ 174) poco appresso egli dirà che, usciti i Magi da Gerusalemme, la stella li precederà a guisa di fiaccola indicatrice della strada e si fermerà proprio sul posto dove stava il bambino ricercato (Matteo, 2, 9). Se del re Mitridate si narrava che alla sua nascita e all'inizio del suo regno era spuntata una cometa (Giustino, Hist., XXXVII, 2), e altrettanto si affermava di Augusto per l'inizio del suo impero (Servio, in Eneide, X, 272), nessuno però aveva mai detto che tali comete avessero indicato ad uomini un dato cammino passo passo, aspettandoli anche nelle soste, e poi rimovendosi, e infine fermandosi definitivamente sopra alla mèta. Stabilito pertanto questo carattere miracoloso, come si spiega che i Magi, veduta la stella, la riconoscono come quella del “re dei Giudei”? Che sapevano in precedenza essi, nella lontana Persia, di un re dei Giudei aspettato come salvatore in Palestina? Il riconoscimento della stella da parte dei Magi è, nella narrazione di Matteo, strettamente legato col carattere della stella: la miracolosa stella miracolosamente si fa riconoscere da essi come segno del neonato. Ma riguardo alle predisposizioni culturali dei Magi, e alla loro possibile conoscenza dell'aspettativa messianica dei Giudei, siamo oggi informati da recenti studi meglio che per l'addietro, e possiamo affermare che in Persia si aspettava per tradizione interna una specie di salvatore e inoltre si sapeva che una analoga aspettativa esisteva in Palestina. Trattiamo di ciò in nota come di questione troppo lunga per discutersi qui, ma troppo importante per esser tralasciata. Matteo non dice quanti fossero i Magi venuti; la tradizione popolare tardiva li credette più o meno numerosi, da un minimo di due a un massimo di una dozzina, ma con preferenza del numero tre suggerito certamente dai tre doni ch'essi offrirono: di questi tre, già da prima del secolo IX, si seppero anche i nomi, Gaspare, Melchiore e Baldassare.
§ 254. Erano proprio stranieri quei Magi e non sapevano proprio nulla delle condizioni politiche di Gerusalemme, giacché appena entrati si dànno a domandare: Dov'e' il nato re dei Giudei? Di re dei Giudei non c'era altri che Erode; bastava del resto conoscere un pochino il carattere di costui (§ 9 segg.) per star sicuri che un suo eventuale competitore, appena si fosse mostrato, avrebbe avuto i giorni e anche le ore contate. Perciò, nell'interesse stesso del bambino ricercato, quella domanda era pericolosa nella sua ingenuità. I primi cittadini interpellati rimasero stupiti, e anche un po' turbati, perché una domanda di quel genere fatta da quegli ignoti personaggi induceva a subodorare tenebrose congiure, le quali si sarebbero portate appresso i soliti sconvolgimenti civili e le stragi di gente sospetta. Passando di bocca in bocca la domanda pervenne a gente della corte, e quindi anche ad Erode. Il vecchio monarca, che per sospetti di congiure aveva già ammazzato due figli e stava per ammazzarne un terzo, non poté non turbarsene; ma capì subito che, se una minaccia c'era, era ben diversa dalle altre. La sua polizia segreta, egregiamente organizzata, lo teneva informato dei minimi fatti che accadevano in città, e in quei giorni non era stato riferito assolutamente nulla d'inquietante; d'altra parte dalla lontana Persia non si dirigevano facilmente le fila d'una congiura, nè si sarebbero inviate sul posto persone cosi inesperte e ingenue come quei Magi. No, qui doveva esserci sotto qualcosa d'altro genere, qualche ubbia religiosa, molto probabilmente la fisima di quel Re-Messia che i suoi sudditi aspettavano ma che egli non aspettava affatto. Ad ogni modo era bene premunirsi, dapprima informandosi chiaramente in proposito, eppoi giocando d'astuzia. Trattandosi di beghe religiose, Erode consultò non l'intero Sinedrio (§ 58) ma quei suoi due gruppi ch'erano più versati in simili faccende, cioè i sommi sacerdoti e gli Scribi del popolo (§§ 41, 50), e propose loro il quesito astratto e generico dove il Cristo (Messia) debba nascere. Egli cioè voleva sapere quale sarebbe stato, secondo le tradizioni giudaiche, il luogo di nascita dell'aspettato Messia: saputo ciò, avrebbe provveduto egli a servirsi di quei semplicioni di Magi per fare i suoi propri conti col neonato re dei Giudei. I consultati risposero che il Messia doveva nascere a Beth-lehem, e citarono a prova il passo di Michea, 5, 1-2, che nel testo ebraico dice: E tu Beth-lehem Efrata, piccola pur essendo nelle ripartizioni di Giuda, da te per me uscirà (colui che) sarà dominatore tn Israele, le cui uscite (origini) dall'antichità, dai giorni eterni. Perciò (Dio) li consegnerà (in potere dei nemici), fino al tempo in cui la partoriente partorirà. Si noterà che questo passo non è riprodotto nè integralmente nè con queste precise parole dalla risposta dei dottori consultati, qual è riferita da Matteo (§ 252); ad ogni modo c'è l'essenziale, cioè la designazione di Beth-lehem come luogo d'origine del Messia, e in tal senso si esprime anche il Targum allo stesso passo. Questa designazione era dunque tradizionale nel giudaismo di quei tempi. Ottenuta questa risposta, Erode dovette rimanere perplesso. Beth-lehem era un paesucolo qualunque, in cui la sua polizia segreta non gli segnalava assolutamente nulla di sospetto; tuttavia quel complesso di stella, di sconosciuti Magi, e specialmente quell'appellativo di re dei Giudei, mentre da una parte stuzzicavano la sua curiosità, dall'altra disturbavano alquanto la sua tranquillità. Per soddisfare dunque alla prima e provvedere alla seconda, non rimaneva che servirsi degli stessi Magi, in maniera tale da non destare i sospetti nè di loro né di altri.
§ 255. Questo piano fu attuato. Erode fece chiamare i Magi di nascosto (Matteo, 2, 7), perché non voleva nè apparire troppo credulo dando importanza a gente forse squilibrata, nè rinunciare alle sue misure di precauzione. Interrogatili quindi accuratamente sul tempo e modo dell'apparizione della stella, li lasciò andare a Beth-lehem: cercassero bene il neonato, e appena trovatolo ne informassero lui, perché sarebbe venuto anch'egli laggiù ad adorarlo. Mandare appresso a quei buffi orientali un manipolo di soldati con qualche ordine segreto sarebbe stato un provvedimento più sicuro, dispensando il vecchio monarca dall'aspettare la notizia che il bambino era stato trovato: ma lo avrebbe anche esposto alle beffe dei suoi sudditi, giacché in tutta Gerusalemme non si faceva che parlare di quella strana comitiva, pur prevedendosi con certezza che tutto sarebbe finito in una scena da ridere e che quegli orientali sarebbero risultati sognatori esaltati. Ad ogni modo essi, com'erano passati allora per Gerusalemme, così dovevano ripassarci al loro ritorno, e quindi Erode li avrebbe avuti sempre a sua disposizione. I Magi, dopo l'udienza reale, partirono. Ed ecco la stella, che videro nell'Oriente, li precedeva finché venendo stette sopra dov'era il bambino. Ora vedendo la stella, godettero di gaudio assai grande. E venuti nella casa, videro il bambino con Maria la sua madre, e caduti l'adorarono: e aperti i loro forzieri, gli presentarono doni, oro, incenso e mirra. E ricevuta rivelazione per sogno di non ritornare da Erode, per altra strada si ricondussero alla loro regione (Matteo, 2, 9-12). La narrazione è ristretta alle sole linee principali e astrae da tempo e da luogo. Se ne raccoglie tuttavia che i Magi passarono almeno una notte a Beth-lehem, giacché vi ricevettero rivelazione per sogno, e non è escluso che vi rimanessero anche più d'un solo giorno. Si raccoglie pure che la famiglia di Giuseppe, abbandonata la grotta, si era ricoverata in una casa (§ 249). Avviandosi per rendere omaggio a un “re”, i Magi avevano preparato donativi come esigeva l'etichetta orientale. La reggia di Erode in Gerusalemme splendeva d'oro, e lungo i suoi ambulacri i bruciaprofumi esalavano vapori d'incenso e di resine odorifere. Altrettanto avveniva in quel suo suntuoso Herodium ove il suo fiero costruttore sarebbe stato sepolto fra pochi mesi e che si elevava a poca distanza da Beth-lehem (§ 12); forse più d'una volta i pastori di là, aggirandosi alle falde della sua collinetta, ne avevano intravisto i riflessi aurei delle sale ed erano stati raggiunti dalle folate di profumo che ne uscivano. Conforme al cerimoniale delle grandi corti i Magi offrirono oro, incenso e quella resina profumata che tutti i Semiti chiamavano mor, da cui il nostro nome di mirra. Erode stesso largheggiava in donativi con altri monarchi, specialmente se più potenti di lui: ad esempio, proprio in quei giorni, egli nel suo testamento lasciava ad Augusto un legato di ben 1000 o anche 1500 talenti (Guerra giud., I, 646:11, 10; cfr. Antichità giud., XVII, 323), somma altissima anche per quei tempi, che però fu rifiutata signorilmente da Augusto. I Magi certamente non poterono essere munifici quanto Erode, ma in compenso ebbero la gioia di vedere accettati i loro doni e inoltre d'accorgersi ch'erano opportunissimi: se tutti e tre i doni riconoscevano la dignità regale del neonato, specialmente l'oro anivava come una provvidenza per restaurare le finanze di quella corte, la quale di suo non aveva né un tetto e forse neanche un mezzo siclo, dopo averne lasciati cinque interi al Tempio di Gerusalemme (§ 249). Compiuti gli omaggi, i viaggiatori dopo qualche tempo ripartirono alla volta del loro paese, ma non passarono per Gerusalemme e Getico, bensì forse per l'altra strada che toccando la fortezza erodiana di Masada costeggiava la spiaggia occidentale del Mar Morto. E di loro non si seppe più nulla.
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