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sabato 10 dicembre 2011

1209 - Vita di Gesù (paragrafi 244-248)

§ 244. La grotta, fra i luoghi archeologici della vita di Gesù, è quel­lo che ha in suo favore testimonianze più antiche e autorevoli, fuor dei vangeli. Anche astraendo da vari Apocrifi che ci ricamano attor­no molto, nel secolo II Giustino martire ch'era palestinese di nascita offre questa preziosa testimonianza: Essendo nato allora il bambino in Bethlehem, poiché Giuseppe non aveva in quel villaggio dove albergare, albergò in una certa grotta dappresso al villaggio e allora, essendo essi colà, Maria partorì il Cristo e lo pose in una mangiatoia, ecc. Nei primi decenni del secolo III Origene attesta egualmente la grotta e la mangiatoia, e si appella alla tradizione notissima in quei posti e anche presso gli alieni dalla fede (Contra Celsum, 1, 51). Sulla base di questa tradizione Costantino nel 325 ordina che si costruisca sulla grotta la grandiosa basilica (cfr. Eusebio, Vita Constantini, m, 41-43), che nel 333 è ammirata dal pellegrino di Ilordeaux e che rispettata nel 614 dai Persiani invasori è tuttora su­perstite.


§ 245. Venuto alla luce Gesù in questa grotta, Maria l'infasciò e lo pose a giacere in una mangiatoia. Queste parole del delicato evan­gelista medico fanno intendere abbastanza chiaramente che il par­to avvenne senza l'usuale assistenza d'altre persone: la madre da se stessa accudisce al neonato, l'infascia e lo ripone sulla mangiatoia. Neppure Giuseppe è nominato. Soltanto le successive narrazioni apo­crife s'affanneranno a far venire la levatrice, inviando in giro Giu­seppe a cercarla (Protovangelo di Giacomo, 19-20); ma nel raccon­to di Luca non c'è posto per essa. Non per nulla la futura madre aveva cercato con cura si premurosa un luogo solitario e tranquillo. Così dunque Maria partorì il suo figlio primogenito, che l'angelo le aveva preannunziato come erede del trono di David padre suo 230). Senonché il futuro regno del neonato - stando almeno a quelle prime manifestazioni - si prevedeva ben diverso dai regni d'allora, giacché questo erede dinastico aveva per aula regia una stalla, per trono una mangiatoia, per baldacchino le ragnatele pendenti dal soffitto, per nubi d'incenso le esalazioni del letame, per cortigiani due creature umane senza casa. Tuttavia il regno di quell'erede dinastico si annunziava fin d'allora con talune note caratteristiche davvero nuove e del tutto ignote ai regni contemporanei: delle tre persone componenti quella corte stalliera, una rappresentava la verginità, una l'indigenza, tutte e tre l'u­miltà e l'innocenza. Esattamente 9 chilometri più a settentrione sfolgoreggiava la corte indorata di Erode il Grande, in cui la verginità era parola affatto sconosciuta, l'indigenza era aborrita, l'umiltà e l'innocenza si manifestavano nell'attentare alla vita del proprio pa­dre, nel mettere a morte i propri figli, nell'adulterio, nell'incesto e nella sodomia. Il vero contrasto storico fra le due corti non era tanto fra il letame dell'una e gli ori dell'altra, quanto fra le loro caratteristiche morali.


§ 246. Ad ogni modo al neonato discendente di David spettava be­ne un omaggio di cortigiani, i quali fossero in condizione sociale non troppo differente da quella di David, già pastore di pecore, e da quella dei due cortigiani fissi che stavano presso al suo trono-mangiatoia; inoltre, poiché l'angelo aveva detto che il neonato sa­rebbe stato chiamato figlio dell'Altissimo, gli spettava anche più un omaggio di cortigiani dell'Altissimo che si accomunassero in quell'ossequio con i cortigiani bassissimi della terra. Ora, Bethlehem era ed è ancora oggi sui limiti della steppa, ossia di quell'estensione abbandonata e incolta che può essere sfruttata solo a pascolo di greggi. I pochi ovini posseduti dagli abitanti del villag­gio erano fatti rientrare durante la notte nelle stalle circostanti, ma i greggi numerosi rimanevano continuamente all'aperto là nella step­pa con qualche uomo di guardia: fosse giorno o notte, estate o in­verno (§ 174), quelle molte bestie e quei pochi uomini formavano tutta una collettività che viveva della steppa e nella steppa. Pecorai di tal genere riscotevano pessima reputazione presso i Farisei e gli Scribi: in primo luogo la loro stessa vita nomade nella steppa scar­seggiante d'acqua li rendeva lerci, fetenti, ignari di tutte le fondamentalissime leggi sulla lavanda delle mani, sulla purità delle sto­viglie, sulla scelta dei cibi, e quindi: essi più di chiunque altro co­stituivano quel “popolo della terra” ch'era degno per i Farisei del più cordiale disprezzo (§ 40); inoltre, passavano per ladri tutti quan­ti, e si consigliava di non comperar da loro né lana né latte che po­tevano essere cose refurtive. D'altra parte non si poteva insistere troppo con loro per ricondurli alle osservanze della “tradizione”, persuadendoli a lavarsi bene le mani e a sciacquar bene le stoviglie prima di mangiare; erano infat­ti uomini di nerbo e di fegato, e come non temevano di spaccare col loro bastone la testa al lupo che infastidiva il gregge, così non avreb­bero esitato a spaccarla al Fariseo od allo Scriba che avesse infasti­dito la loro coscienza. Perciò questi esseri abietti e maneschi erano esclusi dai tribunali, e la loro testimonianza - al pari di quella dei ladri e dei rei d'estorsione - non era accettata in giudizio.


§ 247. Senonché, esclusi dalla corte giudiziaria dei Farisei, questi bassissimi pecorai entrano nella corte regale del neonato figlio di David, e vi sono invitati dai celestiali cortigiani dell'Altissimo. C'erano pastori in quella stessa contrada, che dimoravano sul cam­po e facevano la guardia nella notte sul loro gregge. E un angelo del Signore s'appressò a loro, e la gloria del Signore ri­fulse attorno a loro, e temettero di gran timore; e l'angelo disse lo­ro: Non temete! Ecco, infatti, vi do la buona novella d'una grande gioia la quale sarà per tutto il popolo, perché fu partorito per voi oggi un salvatore, che e' Cristo signore, nel(la) città di David; e segno per voi sia questo: troverete un bambino in fasciato e giacente in una mangiatoia. E ad un tratto fu insieme con l'an­gelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodavano Dio e dice­vano: Gloria negli altissimi a Dio, e sulla terra pace negli uomini di beneplacito! 2 Luca, 2, 8-14. Questa scena segue immediatamente il racconto della nascita, e senza dubbio è intenzione del narratore far intendere che tra i due fatti non intercorse se non qualche ora. Dunque Gesù nacque di notte, come notturna è l'apparizione ai pastori.


§ 248. A costoro, dopo la dovuta lode a Dio nei cieli altissimi, si annunzia soltanto una cosa, la pace sulla terra. Veramente la pace allora c'era (§ 225); ma era una pace transitoria, di pochi anni, che equivalgono a pochi secondi sul grande orologio dell'umanità. Di quei pochi secondi aveva approfittato, come di un'istantanea tregua nella procella, per nascere tra gli uomini il salvatore cioè il Cristo (Messia) signore, e cominciava col fare an­nunziare dai suoi cortigiani celestiali la pace. Ma la sua era una pace di nuovo conio, sottoposta a una nuova condizione. La pace di quei pochi anni era sottoposta alla condizione dell'impero di Roma; era la pax Romana, garantita da 25 legioni, le quali tuttavia qualche anno dopo si mostrarono insufficienti a Teutoburgo amareggiando gli ultimi anni di Augusto. La nuova pace del Cristo signore era sotto­posta alla condizione del beneplacito di Dio: coloro che con le loro opere si rendono degni di quel beneplacito e sui quali esso viene a posarsi (i due fatti si richiamano l'un l'altro) otterranno la nuova pace. Costoro sono gli operanti pace e saranno proclamati beati perché ad essi spetta l'appellativo di figli d'Iddio (§ 321). Dalla mirabile apparizione dell'angelo e dalle sue parole i pastori compresero ch'era nato il Messia. Erano uomini rozzi, si, che non sapevano nulla dell'immensa dottrina dei Farisei; ma, da Israeliti semplici e d'antico stampo, sapevano del Messia promesso dai pro­feti al loro popolo, e ne avranno spesso parlato durante le lunghe veglie di guardia al gregge. L'angelo, adesso, ne aveva dato anche il segno, un bambino infasciato e giacente su una mangiatoia; forse avrà anche indicato la direzione da prendere per giungere alla grot­ta. Quei pecorai continuarono cosi a ritrovarsi nel loro ambiente: nelle grotte, se potevano, si rifugiavano anch'essi quand'era gran pioggia o gran freddo; forse più d'uno aveva ricoverato la propria moglie sopra parto egualmente in una grotta, e aveva deposto il suo neonato egualmente dentro una mangiatoia. E adesso sentivano, da chi non poteva ingannare, che pure il Messia si trovava nelle stesse loro condizioni. Andarono quindi verso di lui frettolosi, dice Luca (2, 16), di quella fretta cioè ch'è mossa da familiarità gioiosa: men­tre forse con la lentezza appesantita da perplessità ritrosa si sarebbero avviati verso la corte di Erode, se là fosse nato il Messia. Giunsero alla grotta. Trovarono Maria, Giuseppe e il neonato. Am­mirarono. Essendo poveri di denaro ma signori di spirito non chiesero nulla, e ritornarono senz'altro alle loro pecore: soltanto sentirono un gran bisogno di lodare Dio e di far sapere ad altri del po­sto quanto era accaduto. Prima di terminare, l'accorto Luca ammonisce: Maria però conservava tutte queste parole convolgendole nel suo cuore. Già sappiamo che ciò è una delicata allusione alla fonte delle notizie (§142).
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