§ 151. Checché sia della possibilità astratta, se ci volgiamo ai fatti concreti, cioè ai documenti, apprendiamo che una raccolta di tal genere fu bensì preparata dal collegio degli Apostoli, ma essa non consiste in una discoteca immateriale, bensì in una scrittura reale, cioè nello scritto di Matteo (§ 117). Questo documento ufficiale non assorbì certamente tutta la catechesi orale, la quale continuò a vivere con largo e fondamentale impiego della memoria; ma nessuna prova abbiamo per asserire che la catechesi orale avesse una forma cosi precisa verbalmente, cosi stereotipata, com'è la forma di una scrittura: anzi siamo indotti a pensare proprio il contrario da quelle libertà avvenute nella traduzione dal testo semitico di Matteo, e da quelle divergenze verbali dei vangeli greci, che già rilevammo (§§ 121-122). Se dunque i Sinottici sono concordi perché dipendono da una forma di catechesi fissata a parola, tale fissazione non deve essere stata orale bensi scritta. A questa conclusione conducono anche i rilievi letterari fatti confrontando il testo dei Sinottici (§ 146). Senza dubbio la primissima catechesi orale degli Apostoli fu in lingua aramaica: ma allora come mai almeno Marco e Luca, che hanno scritto originariamente in greco, tradurrebbero da quel fluttuante patrimonio verbale con tanta concordia di vocaboli, di espressioni, di costruzioni grammaticali, anche in cose minutissime? E come mai, al contrario, discordano inaspettatamente in cose di particolare importanza, quali le parole dell'Eucaristia e quelle della tavoletta di condanna apposta sulla croce di Gesù (§ 122)? Dunque, almeno questi due Sinottici presuppongono un testo scritto, da essi in parte impiegato e in parte abbandonato; e questo testo scritto, nuovamente, non può essere altro che quello di Matteo, nella sua originale interezza oppure in estratti e rifacimenti di vario genere.
§ 152. Messi al sicuro questi punti che risultano dagli antichi documenti, vediamo come essi possano inquadrarsi nelle altre notizie che la tradizione già ci ha dato riguardo all'origine di Marco e di Luca. Il testo semitico di Matteo circolava già con somma autorità, per la sua origine apostolica e per il suo carattere ufficiale, ma anche con una possibilità d'impiego diretto sempre più scarsa, man mano che la “buona novella” s'estendeva fra popolazioni che non intendevano lingue semitiche. Tuttavia quel testo poteva sempre essere impiegato da molti “evangelisti” orali che lo intendevano, e ad ogni modo sorsero ben presto quelle sue traduzioni totali o parziali a cui allude Papia (§ 119). Questo attaccamento alla composizione di Matteo appare naturalissimo a motivo del credito che la circondava: essa nel campo della “buona novella” scritta rappresentò quasi una praeoccupatio, che non poté esser trascurata dagli scrittori successivi. Prescindendo pertanto dai molti che scrissero prima di Luca, sui quali possiamo far solo congetture, sappiamo che Marco scrisse secondo la catechesi di Pietro, e Luca secondo quella di Paolo. Che valore ha questa doppia notizia antica in relazione con il documento semitico di Matteo? I due ultimi Sinottici hanno Gli studiosi moderni, in massima parte, rispondono negativamente. Coloro per cui il Matteo semitico equivale ai Logia di Papia ma non al Matteo greco, ritengono che Marco non ha conosciuto i Logia, mentre Luca li ha conosciuti; quanto alle relazioni fra Marco e Luca c’è un generico consenso nell'affermare che il primo è stato impiegato dal secondo. Ma chi giudica storicamente infondata una sostanziale differenza tra il Matteo semitico (ossia i Logia) e il Matteo greco, può ancora distinguere tra l'originale semitico e la sua traduzione greca, a cagione di quelle modificazioni operatevi dal traduttore alle quali già accennammo (§ 120 segg.); è infatti sempre possibile che, se l'originale semitico è stato in qualsiasi maniera impiegato da Marco e Luca, questi due alla loro volta siano stati impiegati dal nostro traduttore greco di quell'originale. Gli studiosi moderni hanno raccolto le prove più sottili e sfuggevoli per dimostrare le rispettive tesi. Con lavori pazientissimi, degni della piu' sincera ammirazione, essi hanno rilevato che, se Marco avesse conosciuto Matteo, non avrebbe sconvolto il “ccordinamento” caratteristico di lui, né tralasciato tali o tali narrazioni, o sentenze, o parole; cosi pure, se Luca avesse conosciuto Matteo, non avrebbe narrato con tante divergenze da costui la storia dell'infanzia, e quella della resurrezione, e la genealogia di Gesù, e le beatitudini, né avrebbe preferito la serie di fatti seguita da Marco: e tante altre sagacissime ragioni, ritrovate nel confronto dei testi.
§ 153. Ma, disgraziatamente, questi testi sono pochi, tre soltanto; noi invece sappiamo che anticamente essi erano molti, e ciò anche prima di Luca, ossia quando i nostri testi erano due soltanto (§ 140): anzi neppure due completamente, perché il nostro Matteo non rappresenta con assoluta fedeltà verbale il Matteo semitico. Ecco la grande lacuna di cui non bisogna dimenticarsi in questi confronti dei Sinottici, la lacuna dei molti che noi più non abbiamo. Se poi si ha presente che questi molti, come già congetturammo, dipendevano in gran parte dal Matteo semitico; che essi, pur essendo di varia ampiezza, potevano benissimo aver aggiunto talune notizie non contenute nel Matteo semitico; che, contemporaneamente a questa nuova “buona novella” scritta continuava a risonare l'antica
§ 154. Riassumendo, si può tracciare la seguente genealogia dei nostri Sinottici, la quale tiene conto dei dati di fatto messi in luce dalle investigazioni letterarie moderne, mentre non perde di vista le attestazioni precise dell'antichità. Primo di tutti fu il Matteo semitico, che conteneva sia discorsi sia fatti di Gesu'; esso fu anche la sorgente principale, se non unica, dei molti fiumicelli e rigagnoli che scorrevano ai tempi di Luca. Marco fu indotto a scrivere in Roma, per il motivo e nelle circostanze che già sappiamo. Scrivendo, egli riprodusse la catechesi orale di Pietro; la quale non era però né remota né estranea allo scritto di Matteo, bensì costituiva gran parte del suo fondo. Perciò Marco, mettendo mano al suo lavoro, trovò che la sua impresa sarebbe stata, non solo agevolata, ma anche indirettamente garantita, se avesse preso come punto di riferimento lo scritto che in qualche modo poteva riportarsi a Pietro stesso, cioè il documento di Matteo. Ma sotto quale forma questo documento pervenne nelle mani di Marco? Nel suo testo originale intero, oppure in un estratto parziale? Oppure anche in una di quelle traduzioni di cui parla Papia? E se pervenne tradotto, qual era la sua indole e ampiezza? e quale la sua rassomiglianza all'odierno Matteo greco? Ecco altrettante domande a cui non siamo in grado di rispondere. Supposto però che questo documento non meglio definibile sia stato a disposizione di Marco, il suo lavoro personale si spiega agevolmente come una fusione delle due fonti, quella della sua memoria e quella del documento che aveva sott'occhi quando la stessa notizia veniva concordemente dalle due parti, egli seguiva genericamente il documento; quando c'era divergenza, egli metteva in iscritto la catechesi di Pietro conservata nella sua memoria. Questa spiegazione sembra dar ragione sia della concordia discors fra i due primi Sinottici, sia della costante attestazione dell'antichità secondo cui Marco è “interprete” di Pietro. Il caso di Luca è piu' complicato, non solo perché prima di lui esistevano Matteo, Marco e i molti da lui investigati diligentemente, ma anche perché egli riecheggia la catechesi di Paolo: quindi le sue dipendenze si moltiplicano, e per noi d'oggi si perdono in una nebbia d'ignoranza. Si è Luca servito del Matteo semitico? Si dice che l'esame dei testi odierni non possa dimostrarlo con certezza; ma senza volersi addentrare in tale questione, Luca per lo meno deve essersi servito di qualche documento che era come un largo estratto del Matteo semitico, forse anche tradotto in greco, e che entrava certamente nel numero dei molti: le numerosissime identità o analogie fra i nostri Luca e Matteo non lasciano alcun dubbio su questo punto. E anche generalmente ammesso, come già vedemmo, che Luca si sia servito di Marco, specialmente nell'ordinamento cronologico dei fatti. Se quindi si accetta l'ipotesi di un'origine romana del vangelo di Luca, possiamo concludere che egli si servisse di Marco come di trama generica per il proprio scritto; ma su questa trama egli lavorò lungamente e l'ampliò fino a raddoppiarla, con l'aggiungervi quei moltissimi fili ch'era andato raccogliendo diligentemente sia dai molti scritti precedenti, sia dalla tradizione orale e specialmente dal suo maestro Paolo. Terzo per forma, non per contenuto, viene il nostro Matteo greco, che è una versione sostanzialmente identica al Matteo semitico: ma la sua forma letteraria greca risente di Marco e di Luca, per le ragioni e nella misura già viste. In quella genealogia dei Sinottici, la loro concordia è data dal fondo comune a tutti e tre, che è o direttamente o indirettamente lo scritto originale di Matteo, cioè la catechesi degli Apostoli e specialmente di Pietro; la loro concordia diventa discors, quando i singoli autori secondo le mire personali o abbreviano, o spostano, oppure anche aggiungono altri elementi, i quali in massima parte provengono egualmente dalla catechesi apostolica, sebbene per altre vie.
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