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domenica 9 dicembre 2012

1999 - Vita di Gesù (paragrafi 602-606)


§ 602 Quando il procuratore ebbe pronunziato la sentenza e fissatc il suo testo nella tavoletta (titulus; § 599), essa acquistò valore uffi­ciale: come doveva esser trascritta negli archivi del governo per ve­nir poi comunicata all'imperatore di Roma, così anche doveva esser subito eseguita. Del resto l'eseguire una sentenza di crocifissione ri­chiedeva pochi preparativi: un palo verticale stava sempre pronto sul luogo destinato a tale supplizio, o in caso diverso si piantava in pochi minuti; il palo orizzontale da addossare al condannato si pre­parava con pochi colpi d'ascia dati ad una trave qualunque; quindi non restava che radunare la scorta di soldati, affidarle il condannato, ed avviarsi al luogo stabilito. Anche il luogo scelto per la crocifissione di Gesù fu conforme alle nor­me già viste. A settentrione della città, appena fuori le mura, c'era una piccola sporgenza rocciosa, alta pochi metri dal terreno circo­stante: a causa dell'aspetto che aveva questo rialzo, la gente lo chia­mava pittorescamente il Cranio, ossia chi parlava latino diceva Cai­varia e chi parlava aramaico diceva Golgota (ebraico Gulgoleth). Per crocifissioni quel luogo era opportunissimo, giacché la sua piccola altezza bastava a mettere in piena vista il condannato, ed essendo a brevissima distanza da una porta della città passava là sotto molta gente: oltre a ciò, lì presso al Cranio, c'era una tomba e forse più d'una (§ 617), e anche questa circostanza s'accordava con la norma di crocifiggere in luoghi destinati a sepoltura. La città già dal secolo i dopo Cr. si è estesa continuamente verso settentrione, e le radicali trasformazioni ch'essa ha ricevuto nel seco­lo Il hanno fatto scomparire sia il rialzo del Cranio, sia le vicine mura della città e il fossato che le separava dal Cranio i lavori fatti nel secolo IV da Costantino per la costruzione della basilica del Santo Sepolcro livellarono anche più tutta l'area, salvo una piccola porzione del Cranio incorporata e racchiusa nella costruzione. Tut­tavia il nome del rialzo, con la tenacia caratteristica alla toponomastica orientale, si è conservato ancora: pochi anni fa esso è stato sorpreso, sotto la forma araba di Ras (« testa »), nel linguaggio di vecchi indigeni del quartiere per designare la zona circostante alla basilica. Questo era il luogo a cui fu avviato Gesù per esservi crocifisso. Dal punto di partenza, ch'era la fortezza Antonia, il cammino non sarebbe stato lungo perché anche a quei tempi non poteva superare un chilometro seguendo la via più breve; tuttavia non solo quel giorno le strade erano affollatissime per la solennità pasquale, ma probabil­mente si segùirono a bella posta le vie più lunghe e frequentate per la norma già vista di dare la massima pubblicità all'esecuzione. I più interessati a ciò erano i sommi sacerdoti e gli altri Sinedristi, che seguivano trionfanti il condannato e non si sarebbero lasciata sfug­gire l'occasione di prolungare davanti alla folla il trionfo di se stessi e l'umiliazione di lui.

§ 603. Tuttavia anch'essi ebbero, fin da principio, una grave ama­rezza. Per recarsi al luogo del supplizio il corteo fu formato dai sol­dati di scorta, dal principale condannato ch'era Gesù, e da due altri condannati i quali erano due volgari ladroni e per quell'occasione venivano condotti al supplizio; ogni condannato era accompagnato regolarmente dalla sua tavoletta, la quale proclamava pubblicamente il delitto da lui commesso. La tavoletta di Gesù era scritta nelle tre lingue più impiegate nella regione, ossia in ebraico (aramaico), greco e latino, e mostrava in sostanza (§ 122) questo testo dettato da Pilato stesso: Gesu' il Nazareno, il re dei Giudei. I vigili Sinedristi lessero fugacemente questo testo lungo il cammino, e anche più nitidamen­te lo contemplarono quando la tavoletta fu apposta sulla croce di Gesù; da accurati giuristi quali erano, essi vi riscontrarono un enor­me errore: quel condannato veniva crocifisso non già perché fosse il re dei Giudei, come sembrava risultare dalla tavoletta, ma perché si era proclamato il re dei Giudei senza essere effettivamente tale. Punti sul vivo, essi corsero solleciti dal procuratore e con molta pre­mura gli fecero rilevare l'errore, che doveva assolutamente essere cor­retto nell'interesse stesso del governo: il buon popolo poteva offen­dersi a leggere in un documento ufficiale ch'era stato crocifisso il re dei Giudei, tanto più che un'ora prima quello stesso devotissimo po­polo aveva dichiarato pubblicamente e solennemente di riconoscere per suo unico ed amato re il Cesare di Roma (§ 595). Dicevano pertanto a Pilato i sommi sacerdoti dei Giudei: « Non scri­vere - Il re dei Giudei - bensì che egli disse - Sono re dei Giudei ». Rispose Pilato:”Quel che ho scritto ho scritto” (Giov., 19, 21-22). Pi lato ritrovava in parte il suo carattere; adesso che non aveva più paura di denunzie a Roma, si vendicava della sconfitta ricevuta e rispondeva con la scontrosità e il dispetto alle esibizioni di lealismo politico fattegli dai Sinedristi. E questa fu la prima amarezza provata dai trionfatori; i quali in tutto quel giorno, a rileggere la tavoletta ufficiale redatta dal rappresen­tante di Cesare, si sentirono ripetere dallo scritto di lui che Gesù moriva in croce perché era effettivamente il re dei Giudei.

§ 604. Partito dall'Antonia, il corteo avanzava con lentezza lungo le vie affollate della città festante. Molti di coloro che avevano formato la turba vociante davanti al pretorio, dovevano essere tornati alle loro case per fare i preparativi della cena pasquale i Sinedristi, non avendo più bisogno delle loro grida, li avevano rimandati liberi. Tut­tavia parecchi maggiorenti seguirono il corteo, per esser sicuri che tutto procedesse bene e si venisse una buona volta alla conclusione finale. I lazzi e i sarcasmi che la plebaglia riserbava ai condannati non mancarono certamente lungo la strada, ma i ludibri più squisi­tamente feroci furono indirizzati a colui che il gesto sprezzante dei inaggiorenti additava a preferenza alla ferocia del volgo: il Rabbi galileo, molto più che i due ladroni, era degno di quegli osceni dileggi. Gesù, caricato del palo trasversale, camminava a stento. Si era sul mezzogiorno (§ 595), e da prima della mezzanotte egli era passato attraverso un'incessante serie di prove fisiche e morali d'incompara­bile violenza: prima l'amoroso e doloroso congedo dagli Apostoli nel cenacolo, poi il Gethsemani, quindi l'arresto, il processo davanti al Sinedrio, i ludibri in casa di Caifa, il processo davanti a Pilato, infi­ne la spaventosa flagellazione, gli avevano tolto ogni residuo di forze. Sotto il peso della trave egli vacillava, incespicava ad ogni passo, po­teva stramazzare da un momento all'altro per non rialzarsi più. Il centurione che comandava la scorta s'impensierì di questo fatto, il quale poteva far sì che il compito a lui affidato o non fosse condotto a termine oppure subisse un ritardo enorme che gli sarebbe stato rini­proverato. E allora ricorse al ripiego della “requisizione”, che già conosciamo (§ 327, nota prima). Si trovò a passare a caso di là un certo Simone di Cirene, che Marco ama segnalare ai suoi lettori di Roma come podre di Alessandro e di Rufo (§ 133); veniva egli dalla campagna, ove certamente era stato a lavorare (§ 537), ed era indirizzato a casa sua; ma il centurio­ne, data la necessità, lo “requisi” e gli comandò di portare il palo che Gesù non poteva più portare. Nulla c'induce a credere che que­sto Simone conoscesse Gesù o gli fosse discepolo, e quindi l'ordine ri­cevuto dovette essere tutt'altro che gradito al “requisito”: se però suo figlio Rufo diventò più tardi persona insigne nella cristianità di Roma e se la stessa moglie di Simone fu chiamata da Paolo per venerazione col nome di madre (§ 133), si può condudere che il servi­zio prestato a malincuore a Gesù produsse, in maniera a noi scono­sciuta, ottimi effetti.

§ 605. Ma Simone non fu il solo ad aiutare Gesù: un altro conforto, questa volta spontaneo, gli venne da donne e chi lo racconta è il solo Luca, l'evangelista della pietà femminile (§144). Forse proprio quan­do Gesù fu scaricato del palo e si raddrizzò un pochino rinfrancato, scorse fra la moltitudine ostile od oziosa che lo seguiva anche un gruppo di donne che facevano cordoglio su lui piangendo e lamentan­dosi: erano figlie di Gerusalemme, cioè cittadine della capitale, sebbene con esse si fossero potute unire talune di quelle donne galilee che seguivano ordinariamente Gesù (§ 343). Da una notizia rabbinica (Sahnedrin, 43 a) sembrerebbe risultare che si era formata in Ge­rusalemme come una pietosa associazione di nobili donne per assistere in qualche modo i condannati a morte, in particolare somministran­do loro liberalmente del vino con un po d'incenso mescolatovi den­tro, ch'era stimata bevanda stupefacente e anestetica: forse quelle gerosolimitane che andarono incontro a Gesù appartenevano a tale associazione, e anche più cordialmente avranno compiuto l'atto beni­gno se già conoscevano almeno di fama Gesù. La loro pietà fu contraccambiata da Gesù con pietà di egual genere. Spingendo nuovamente lo sguardo verso la prossima distruzione di Gerusalemme (§§ 454, 526), Gesù contemplò lo strazio che avrebbero sofferto le donne e le madri durante quella catastrofe, e si accomunò per pietà al dolore materno preammonendone le future vittime; per­ciò disse alle sue consolatrici: Figlie di Gerusalemme, non piangete su me, piuttosto su voi stesse piangete e sui vostri figli, perché ecco vengono giorni in cui si dirà:”Beate le sterili, e i ventri che non generarono e le mammelle che non nutrirono!”. Allora si a dire alle montagne: « Cadete su noi! » e alle colline: « Ricopriteci! » (cfr. Osea, 10, 8). Poiché se in un legno umido si fanno queste cose, in quello secco che avverrà? (Luca, 23, 28-31). Se nel condan­nato innocente avvenivano quei fatti che le pie donne deploravano in quel giorno, che cosa sarebbe avvenuto un quarantennio più tardi quando la catastrofe di Gerusalemme avrebbe travolto una nazione peccatrice, un popolo aggravato d'iniquità, una stirpe di malvagi, figli di perdizione, come si era espresso Isaia (1, 4)? Quando il corteo giunse al luogo del Cranio si procedette senz'altro alla crocifissione dei condannati. A Gesù, e certamente anche ai due ladroni, fu offerto del vino mescolato con mirra ch'era giudicato adatto a intorpidire i sensi; ma egli appena vi ebbe apposte le lab­bra lo rifiutò, volendo con piena coscienza bere fino all'ultima goccia il calice assegnatogli dal Padre celeste.

§ 606. Quindi tutti e tre furono spogliati delle loro vesti; è possihile, per le ragioni gia viste, che si lasciasse un piccolo riparo al loro pudo­re (§ 600). Le vesti dei crocifissi erano un provento dei soldati di guardia, che se le spartivano fra loro. Così fecero anche quella volta con Gesù, e il testimone oculare è in grado di narrare esattamente come avvenne la spartizione. Gli indumenti usuali di un giudeo erano formati da due principali capi di vestiario: l'indumento esterno o mantello e quello interno o tunica. Il mantello era formato da più pezze di stoffa cucite insieme: la tunica invece poteva essere priva di cuci­ture perché intessuta dall'alto in basso tutta d'un pezzo: tale era il caso della tunica del sommo sacerdote di cui parla Flavio Giuseppe (Antichità giud., II, 161), e tale fu il caso della tunica di Gesù. I soldati pertanto, quand'ebbero crocifisso Gesu', presero le vesti di lui e (ne) fecero quattro parti, una parte per ciascun sol­dato, e (presero) la tunica. Ma la tunica era priva di cuciture,intessuta dall'alto d'un pezzo. Dissero pertanto fra di loro:” Non la dividiamo, ma tiriamola a sorte di chi sarà” (Giov., 19, 23-24). Il mantello infatti poteva, senza grave scapito, esser di­viso lungo le sue cuciture; ma la tunica tutta d'un pezzo, avrebbe perduto la massima parte del suo pregio, qualora fosse stata tagliata in quattro parti. Perciò i soldati s'accordarono nell'assegnarla a chi di loro fosse stato favorito dai dadi, che essi avevano por­tati con sé per ingannare le ore di guardia alle tre croci. Ma in ciò che fecero allora i soldati, l'evangelista scorge l'avveramento della profezia messianica contenuta nel Salmo 22, 19 (ebr.) che dice:”Si spartirono i miei indumenti fra loroe sulla mia veste gettarono la sorte”. Spogliato delle vesti, Gesù fu disteso a terra. Le sue braccia furono allungate sopra il palo da lui portato: ivi furono inchiodate le sue mani. Così confitto a metà, il suo corpo fu innalza­to sul palo verticale già piantato in terra: lassù fu collocato a cavaI­cioni sul sostegno(sedile). Infine furono inchiodati i piedi (§ 600). La sua croce stava nel mezzo; ai due lati quelle dei due ladroni. Sulla sua croce fu apposta la tavoletta di condanna; se essa fu collocata - come sembra risultare da Matteo, 27, 37 - sulla cima del palo verti­cale, la croce era immissa e non commissa (§ 598). Le operazioni della crocifissione terminarono quando il mezzogiorno era passato di poco.
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