§ 25. Di Pilato parlano, oltre ai vangeli, anche Filone (Legat. ad Caium, 38) e Flavio Giuseppe, e da tutte e tre le fonti il minimo che risulti è che Pilato era uno scontroso e un ostinato; ma il re Erode Agrippa I, che ne sapeva parecchie cose per esperienza personale, lo dipinge anche come venale, violento, rapinatore, angariatore e tirannico nel suo governo (in Filone, ivi). Forse queste accuse addotte dal re giudeo sono esagerate; ad ogni modo è certo che Pilato, come procuratore, dette cattiva prova nell'interesse stesso di Roma. Per i suoi governati egli ebbe un cordiale disprezzo, non fece nulla per guadagnarsene l'animo, cercando piuttosto ogni occasione per stuzzicarli ed offenderli, e non soltanto li odiava, ma sentiva anche un prepotente bisogno di mostrare loro questo suo odio. Se fosse dipeso da lui, li avrebbe mandati volentieri tutti a lavorare negli ergastula e ad metalla; ma c'era di mezzo l'imperatore di Roma, e anche il legato di Siria che sorvegliava e riferiva all'imperatore, e perciò il cavaliere Ponzio Pilato doveva frenarsi e imporre dei limiti agli sfoghi del suo astio. Tuttavia anche questo timore servile ebbe il suo contrapposto; infatti già nel 19 dopo Cr. Tiberio, avendo scacciato i Giudei da Roma, sembrava essere entrato in un periodo d'ostilità contro il giudaismo in genere, e proprio durante questo periodo Pilato era stato inviato a governare la Giudea: egli quindi, specialmente nei primi anni, poté stimare che la sua avversione contro i propri governati ricopiasse con opportuna cortigianeria gli esempi che venivano dall'Italia.
§ 26. Probabilmente fin dal principio del suo procuratorato, egli, accoppiando i due sentimenti di cortigianeria verso l'imperatore e di disprezzo verso i Giudei, dette ordine ai soldati che da Cesarea salivano a presidiare Gerusalemme di entrarvi portando con sé, per la prima volta, i vessilli con l'effigie dell'imperatore; tuttavia, astutamente, fece introdurre i vessilli di notte, per non suscitare resistenze e per metter la città davanti al fatto compiuto. Il giorno appresso, costernati da tanta profanazione, molti Giudei corsero a Cesarea e per cinque giorni e cinque notti di seguito rimasero a supplicare il procuratore di rimuovere i vessilli dalla città santa. Pilato non cedette; anzi al sesto giorno, seccato dall'insistenza, li fece circondare in pubblica udienza dalle sue truppe, minacciando di ucciderli se non tornavano subito alle loro case. Ma qui, quei magnifici tradizionalisti, vinsero il cinico romano; quando si videro circondati dai soldati, essi si prostesero a terra, si denudarono il collo, e si dichiararono pronti a farsi scannare piuttosto che rinunciare ai propri principii. Pilato, che non si aspettava tanto, cedette e fece rimuovere i vessilli. Più tardi ci fu la questione dell'acquedotto. Per portar acqua a Gerusalemme, che ne aveva molto bisogno anche per i servizi del Tempio, Pilato decise la costruzione di un acquedotto che convogliasse le acque delle ampie riserve situate a sud-est di Beth-lehem (le cosiddette “vasche di Salomone” odierne), e a pagare tale lavoro destinò alcuni fondi del tesoro del Tempio. Questo impiego del denaro sacro provocò dimostrazioni e tumulti da parte dei Giudei. Pilato allora fece sparpagliare fra i tumultuanti molti suoi soldati travestiti da Giudei; al momento stabilito i travestiti estrassero i randelli che tenevano nascosti e si dettero a malmenare la folla, lasciando sul terreno parecchi morti e feriti. In seguito il litigioso procuratore ripeté un tentativo analogo a quello dei vessilli militari, facendo appendere al palazzo di Erode in Gerusalemme certi scudi dorati recanti il nome dell'imperatore. Si è pensato che questo nuovo tentativo - di cui abbiamo notizia solo da Filone - possa essere uno sdoppiamento del precedente fatto dei vessilli: ma il dubbio non sembra fondato, sia per il carattere puntiglioso di Pilato, sia perché questo nuovo tentativo dovette avvenire molto più tardi dell'altro. Questa volta una delegazione inviata a Pilato, di cui facevano parte anche quattro figli di Erode il Grande, non ottenne la desiderata rimozione degli scudi; allora i Giudei si rivolsero a Tiberio stesso, e l'imperatore spedi l'ordine di trasportare i contrastati scudi nel tempio d'Augusto a Cesarea. Questa arrendevolezza di Tiberio induce a credere che il fatto sia accaduto dopo la morte di Seiano (31 dopo Cr.), ch'era stato onnipotente ministro di Tiberio e gran nemico dei Giudei. Del tutto occasionale è la notizia di fonte evangelica (Luca, 13, 1) secondo cui Pilato fece uccidere certi Galilei - che perciò erano sudditi di Erode Antipa - mentre offrivano sacrifizi nel Tempio di Gerusalemme; ma non abbiamo particolari su questo fatto Possiamo invece sospettare che l'ostilità fra Pilato e Antipa, attestata dalla fonte evangelica (Luca, 23, 12), avesse come parziale motivo questa strage di sudditi di Antipa; ma un altro motivo fu, probabilmente, la parte di spia che Antipa faceva presso Tiberio a carico dei magistrati romani (§ 15).
§ 27. Alla fine Pilato fù vittima del suo modo di governare. Nel 35 un falso profeta, che aveva acquistato gran nome in Samaria, promise ai suoi seguaci di mostrare gli arredi sacri dei tempi di Mosè che si credevano nascosti nel monte Garizim, vicino a Samaria. Ma, il giorno fissato, Pilato fece occupare dai soldati la sommità del monte: egli infatti voleva impedire l'assembramento, non tanto perché desse importanza alla vana promessa del falso profeta, quanto perché sapeva che i Samaritani erano stanchi delle oppressioni del procuratore e sospettava in essi propositi di rivolta. Formatosi ugualmente un numeroso assembramento, i soldati lo assalirono: molti Samaritani rimasero uccisi, molti furono fatti prigionieri, e i più insigni di costoro furono poi messi a morte da Pilato. Di questa irragionevole strage la comunità dei Samaritani presentò formale accusa contro Pilato presso Vitellio, ch'era legato di Siria e munito di pieni poteri in Oriente; l'accusa fu accolta con premura, perché i Samaritani erano noti per la loro fedeltà a Roma, e Vitellio senz'altro destituì Pilato e l'inviò a Roma a rispondere del suo operato davanti all'imperatore. Era lo scorcio dell'anno 36. Quando Pilato giunse a Roma, trovò che Tiberio era morto (16 marzo del 37). In che maniera finisse il condannatore di Gesù, non è noto alla vera storia: è invece noto alla leggenda, che gli attribui mirabili avventure in questo e nell'altro mondo, e lo destinò talvolta al fondo dell'inferno e talvolta invece al paradiso come vero santo.
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