§ 17. Compiuto il misfatto, il re Areta non pensò che a vendicare l'oltraggio fatto alla propria figlia, mentre i sudditi di Antipa non fecero che mormorare sdegnati per la sfacciata violazione delle leggi nazionali e religiose: ma, sebbene cordiali e diffuse, le mormorazioni erano soltanto segrete, perché nessuno ardiva affrontare direttamente la tracotanza del monarca e specialmente il geloso furore della sua adultera e incestuosa concubina. Una sola persona ebbe questo ardimento, e fu Giovanni il Battista, che godeva d'altissima autorità presso il popolo (Antichità giud., XVIII, 116 segg.) e anche d'una certa venerazione superstiziosa da parte d'Antipa. Giovanni fu messo in prigione a Macheronte: questo provvedimento fu causato sia dalla sua franca riprovazione dello scandalo di corte, come apprendiamo dai vangeli, sia dalla sua autorità popolare che aveva destato sospetti in corte, come apprendiamo da Flavio Giuseppe; ma non è escluso che una spinta venisse anche da parte dei gelosi Farisei (§ 292). Giovanni rimase in prigione parecchi mesi, circa una decina. Questa prolungata permanenza non poteva esser gradita ad Erodiade, che avrebbe voluto disfarsi subito dell'austero e inflessibile censore: ma Antipa, avendolo ormai in catene, non era propenso a macchiarsi del suo sangue, sia per quel timore reverenziale ch'egli personalmente ne aveva, sia per paura che il popolo insorgesse alla notizia che quell'uomo venerato era stato ucciso cosi ingiustamente e vigliaccamente. Ma Erodiade spiava l'occasione per ottenere il suo desiderio: l'occasione venne, la ballerina sua figlia le ottenne la testa mozzata del prigioniero, e quando l'incestuosa e adultera madre poté afferrare e palpeggiare quella testa si giudicò vendicata e vittoriosa (§355).
E invece cominciava la sua disfatta, giacché anche il re Areta spiava l'occasione per vendicarsi. Nel 36 una contestazione di frontiere fra i due monarchi portò alla guerra, e Antipa rimase totalmente sconfitto. Allora il burbanzoso tetrarca supplicò umilmente il lontano Tiberio che l'aiutasse, e l'imperatore ch'era molto sensibile verso la sua spia di Galilea ordinò al legato di Siria, Vitellio, di muovere contro Areta e di mandare a Roma o l'audace arabo incatenato vivo. oppure la testa di lui morto (Antichità giud., XVIII, 115). Ma Areta non era Giovanni, né Vitellio era disposto a far la parte già fatta dalla figlia ballerina. Vitellio, che aveva vecchi rancori contro Antipa per le sue delazioni a Roma, si mosse a malincuore cercando tutti i pretesti per mandare la spedizione per le lunghe; la fortuna poi l'aiutò, perché quando giunse con l'esercito a Gerusalemme gli pervenne la notizia che Tiberio era morto (16 marzo del 37). Naturalmente la spedizione finì lì, Areta non fu disturbato, e la sconfitta di Antipa rimase invendicata.
§ 18. Il tracollo definitivo del tetrarca avvenne due anni dopo, e fu causato direttamente da Erodiade. La smaniosa donna s’arrovellò d'invidia quando, nel 38, si presentò in Palestina suo fratello Erode Agrippa I: costui, che fino a pochi mesi prima era stato un avventuriero carico di debiti ed esperto anche di catene romane, aveva fatto a Roma una sbalorditiva fortuna con l'elezione del suo amico Caio Caligola, che oltre a colmarlo di favori d'ogni sorta l'aveva anche creato re, assegnandogli territori che confinavano a settentrione con quelli di Antipa; e adesso il potente amico del nuovo imperatore veniva a prender possesso dei suoi dominii. Al vederlo salito a tanta altezza, Erodiade ripensò che il suo Antipa dopo tanti anni di servile operosità in pro della lontana Roma si trovava ancora nella bassezza d'un semplice tetrarca, ed era tanto poco apprezzato che i suoi nemici potevano sconfiggerlo senza che Roma venisse in suo aiuto: indubbiamente, per far fortuna come Agrippa, bisognava come lui presentarsi nella capitale dell'Impero e là ingegnarsi e sbrigare personalmente. Convintasi di ciò, la fremente donna tanto insistette presso il riluttante Antipa che lo indusse a recarsi a Roma, per ottenervi il titolo di re e altri eventuali favori. Accompagnato da Erodiade, Antipa si presentò a Caligola in Baia. Ma Agrippa, sospettoso dei due viaggiatori, li aveva fatti seguire da un suo liberto che recava lettere, a quanto pare calunniose, contro Antipa. Trovandosi inaspettatamente di fronte ad un'accusa di tradimento, invece che alla sperata proclamazione a re, Antipa non seppe dare chiare spiegazioni; perciò Caligola lo giudicò colpevole, lo destitui ed inviò in esilio a Lione nelle Gallie, ed assegnò i territori della sua tetrarchia all'accusatore Agrippa. Erodiade, che con la sua ambizione aveva causato questa rovina, segui spontaneamente nell'esilio lo spodestato tetrarca, sebbene Caligola avesse lasciato a lei come sorella dell'amico Agrippa, ampia libertà e il pieno godimento dei suoi beni. Ciò avvenne fra gli anni 30 e 40 dopo Cr.
§ 19. Il terzo degli eredi diretti di Erode il Grande, cioè il tetrarca Filippo, non figura direttamente nella storia di Gesu'. Governò i suoi territori fino alla sua morte, avvenuta nel 34 dopo Cr., e pare che fosse un principe equanime e d'indole tranquilla: ma ad un certo tempo dovette rammollirsi alquanto di cervello, perché nella sua maturità d'anni sposò la ballerina figlia di Erodiade, cioè Salome, che gli era pronepote ed aveva almeno trent'anni meno di lui. A Panion, presso le sorgenti del Giordano, egli ricostruì totalmente la precedente città e in onore di Augusto la chiamò Cesarea: ma comunemente fu chiamata Cesarea di Filippo, per distinguerla dalla Cesarea sul mare edificata da Erode il Grande. L'antico nome di Panion (oggi Banias) proveniva da una grotta consacrata al dio Pan presso le sorgenti; ma alla ricostruzione totale della città un magnifico tempio marmoreo dedicato ad Augusto sorse presso la grotta, e troneggiando sulla cima d'una maestosa roccia era il primo oggetto che attirasse lo sguardo di chi si avvicinava alla città (§396). Sulla riva settentrionale del lago di Gennesareth, poco ad oriente dallo sbocco del Giordano nel lago, Filippo ricostrui totalmente anche la borgata di Bethsaida, e la chiamò Giulia in onore della figlia di Augusto.
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