§ 9. E qui appare la vera caratteristica di Erode, sia come uomo, sia come monarca. La frenesia di dominio, che già dicemmo essere il movente di tutte le sue azioni, fu egregiamente favorita dalla sua inaudita crudeltà, con la quale soprattutto egli avverò l'”eroismo” annunziato dal suo nome personale. Rigorosamente esatta è la definizione di Flavio Giuseppe, che lo chiama uomo crudele verso tutti indistintamente, dominato dalla collera (Antichità giud., XVII, 191); si immagina perciò facilmente a quali eccessi di brutalità potesse trascendere un uomo siffatto, ossessionato dall'idea di congiure e di minacce contro il suo trono. Senza punto esagerare si può affermare che Erode è uno degli uomini più sanguinari che la storia conosca, come si potrà concludere dal seguente incompleto florilegio. Nel 37 av. Cr., appena conquistata Gerusalemme con l'aiuto delle legioni romane, Erode vi mise a morte quarantacinque partigiani del suo rivale, l'asmoneo Antigono, e molti membri del Sinedrio. Nel 35 fece affogare in una piscina di Gerico suo cognato AristobuIo, ch'egli stesso aveva eletto poco prima sommo sacerdote - sebbene fosse sedicenne - e che era fratello della sua prediletta moglie Mariamme. Nel 34 fece uccidere Giuseppe, che era insieme suo zio e suo cognato avendo sposato Salome sorella di Erode. Nel 29 commise il suo delitto più tragico, che ricorda sotto vari aspetti l'uxoricidio di Otello. In quest'anno Erode, per semplici calunnie ordite in corte, uccide l'asmonea Mariamme sua moglie, di cui è perdutarnente innamorato. Appena eseguita la sentenza, Erode sta per impazzire dal dolore e ordina ai servi di palazzo di chiamare ad alta voce la morta, come se fosse ancora viva. Pochi mesi dopo fa uccidere anche la suocera Alessandra, madre della morta Mariamme. Verso il 25 fece uccidere suo cognato Kostobar, nuovo marito di sua sorella Salome, e alcuni partigiani degli Asmonei. Dalla prediletta Mariamme erano nati ad Erode alcuni figli, da lui prediletti in ricordo della loro madre, e due di essi, Alessandro ed Aristobulo, furono inviati da lui per educazione a Roma, ove trovarono benevola accoglienza nella corte di Augusto. Ma, tornati che furono a Gerusalemme, Erode uccise anche costoro, sebbene Augusto da Roma facesse di tutto per salvarli. Probabilmente questa fu l'occasione in cui l'arguto imperatore espresse quel suo parere, pronunziato certamente in greco e riportato da Macrobio (Saturnal., n, 4, 11), secondo cui era meglio essere un porco di Erode che un suo figlio. Erode infatti, come giudaizzato, non poteva mangiare porco e perciò non l'ammazzava; mentre di fatto ammazzava i propri figli. Insieme con Alessandro ed Aristobulo, Erode fece uccidere a furia di popolo trecento ufficiali, accusati di parteggiare per i due giovani. Nel 4 av. Cr., soltanto cinque giorni prima della morte, fece uccidere un altro suo figlio, il primogenito Antipatro, ch'egli già aveva designato erede al trono di questa morte fu cosi soddisfatto che, sebbene si trovasse in condizioni disperate di salute, sembrò riaversi e migliorare.
§ 10. Quando poi fu proprio agli estremi, volle concludere la propria vita con un atto che ne fu un degno riassunto. Egli prevedeva che la sua morte avrebbe prodotto vivissimo giubilo fra i suoi sudditi, mentre desiderava molto d'essere accompagnato alla tomba fra abbondanti lacrime. A tale scopo chiamò da tutte le parti del regno a Gerico, ove giaceva ammalato, molti insigni Giudei, e giunti che furono li fece rinchiudere nell'ippodromo, raccomandando ansiosamente ai suoi familiari che subito dopo la sua morte se ne facesse macello là dentro all'ippodromo: cosi le desiderate lacrime per i suoi funerali sarebbero state assicurate, almeno da parte delle famiglie degli uccisi. Veramente qualche studioso moderno ha sospettato falsa questa notizia, ma in favore della sua esattezza sta la perfetta corrispondenza tra l'abituale “eroismo” di crudeltà dimostrato dall'uomo in tutta la sua vita, e questo straordinario “eroismo” riserbato per il punto di morte. Del resto, proprio poco tempo prima, lo stesso Erode aveva fatto scannare nella vicina Beth-lehem alcune decine di bambini minori di due anni, da cui vedeva come al solito minacciato il suo trono (§ 256). Questo fatto, che corrisponde anch'esso in maniera perfetta al carattere dell'uomo, è narrato dal solo Matteo (2, 16), mentre il biografo di Erode, cioè Flavio Giuseppe, non ne dice nulla. Ma questo silenzio è spiegabilissimo: anche se il biografo ha trovato nei suoi documenti qualche notizia della strage di Beth-lehem (cosa tutt'altro che certa), poteva egli forse intrattenersi presso a un mucchio di oscure vittime, figli di poveri pastori, quando vedeva tutta la lunga vita del suo biografato disseminata di mucchi molto più alti e formati da vittime molto più illustri? In realtà Matteo e Flavio Giuseppe, se dal punto di vista psicologico concordano mirabilmente, nel campo aneddotico si integrano a vicenda.
§ 11. Un'ultima considerazione merita la precisa condizione politica di Erode di fronte a Roma, o più esattamente di fronte ad Augusto, giacché dopo la battaglia di Azio (2 settembre del 31 av. Cr.) Roma e l'impero furono in sostanza la persona di Augusto. Giuridicamente, di fronte a Roma, Erode era equiparato a un re “amico ed alleato”, benché a rigore egli non si trovasse in questa vera condizione; ma all'atto pratico, di fronte ad Augusto, egli non fu nulla più che un umile subalterno e un servile cliente. Questo suo contegno corrispondeva, del resto, al carattere di Augusto, minuzioso amministratore che contava sulla devota cooperazione altrui: ed era un contegno ben ripagato, perché nel corso degli anni fruttò ad Erode accrescimenti di territorio e altri favori concessigli dall'arbitro dell'Impero. Il reame di Erode era esente da tributi verso l'Impero, e immune da albergare guarnigioni romane. Il re, nel suo territorio, godeva di pieni diritti nell'amministrazione delle finanze e della giustizia; aveva anche il suo proprio esercito, formato in massima parte da mercenari non Giudei, cioè da Siri, Traci, Germani e Galli. Tuttavia questo esercito poteva sempre essere impiegato dall'imperatore, quando ne avesse avuto bisogno. Nelle relazioni con altri Stati fuori dell'impero, Erode era obbligato a seguire le direttive di Roma, e particolarmente non poteva muover guerra ad alcuno senza il permesso dell'imperatore. Anche più limitata era la sua potestà dinastica egli possedeva il trono soltanto per concessione ad personam fattagli da Augusto a Rodi, pochi mesi dopo la vittoria di Azio, ma non poteva disporne per dopo la sua morte, assegnandolo a qualche suo discendente, senza l'approvazione esplicita dell'imperatore. Con questa limitazione Erode, in sostanza, era un fiduciario ad nutum di Augusto, il quale poteva entrare come e quando volesse negli affari del regno. E in realtà troviamo che, verso gli anni 7-6 av. Cr., Erode chiese ai suoi sudditi il giuramento di fedeltà all'imperatore romano; ora, questa richiesta fu certamente effetto di ordini venuti da Roma, perché altrettanto si stava facendo verso quegli anni in altre province dell'Impero. Erode non mancò di adulare il suo padrone di Roma in molte maniere, sia dedicando al nome dell'imperatore o di parenti di lui città intere create dalla sua passione di costruttore, quali Cesarea (§ 21), Sebaste, Agrippeion, ecc., sia tenendolo informato degli affari più minuti della propria famiglia, oppure aspettando da lui il permesso d'ammazzare i propri figli (Alessandro, Aristobulo, Antipatro). Da parte sua Augusto in genere trattò Erode bene, ma sempre dall'alto in basso e senza lasciarsi incantare dalle sue adulazioni: soprattutto in fatto di dipendenza politica l'imperatore non transigeva, ed il seguente episodio dimostra l'assoluta padronanza che egli intendeva esercitare su Erode e il suo regno. Verso l'8 av. Cr. Erode, disturbato da certe razzie di beduini alle sue frontiere, fece una breve campagna contro i Nabatei che favorivano i razziatori; la campagna fu condotta con l'approvazione di Senzio Saturnino, legato romano in Siria, ma senza che Augusto a Roma ne fosse stato preavvertito e avesse concesso quell'autorizzazione ch'era necessaria ad Erode - come già vedemmo - per muover guerra. Quel fatto d'armi, in realtà, fu di scarsissima importanza, eppure la sua irregolarità bastò per accendere uno sdegno violentissimo in Augusto, quando ne ebbe notizia: scrisse egli ad Erode una lettera severissima in proposito, dicendogli fra l'altro che se nel passato lo aveva trattato da amico, adesso lo tratterebbe da suddito (Antichità giud., XVI, 290). Né fu uno sdegno passeggero, giacché un'ambasceria inviata premurosamente a Roma da Erode per discolpa non fu neppure ricevuta al Palatino; solo più tardi, dopo altre ambascerie e grazie a nuove circostanze favorevoli, Erode, che già s'era visto perduto, riottenne il favore d'Augusto e poté risdraiarsi tranquillamente sul suo trono.
§ 12. Dopo una malattia durata alcuni mesi con sofferenze atroci, Erode il Grande morì a Gerico in età di circa settant'anni, trentasette anni dopo ch'era stato proclamato re a Roma. Era l'anno 750 di Roma,, 4 av. Cr., in un imprecisato giorno tra gli ultimi di marzo e i primi di aprile. La sua salma, con solennissima pompa,, fu trasportata da Gerico all'Herodium, l'odierno Gebei Fureidis “monte del Paradiso”, ch'era una collina dove Erode già da tempo s'era preparata la tomba. Dall'alto di quella collina si scorgeva, a 6 chilometri di distanza in direzione di nord-ovest, la borgata di Bethlehem, ove un paio d'anni prima era nato Gesu'.
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