IV - I procuratori romani: Ponzio Pilato
§ 20. Quando l'etnarca Archelao fu deposto ed esiliato, Augusto annesse all'Impero i territori a lui sottoposti, cioè la Giudea, Samaria e Idumea: in tal modo egli appagò allora, che si era presentata l'occasione buona, il desiderio di quella delegazione di Giudei che dieci anni prima era venuta appositamente a Roma a chiedergli l'annessione della Palestina all'Impero (§ 13). Quando una regione passava sotto la diretta amministrazione di Roma, veniva eretta in provincia oppure veniva unita ad una delle province già esistenti. Nel 27 av. Cr. Augusto aveva spartito fra sé e il Senato le province: quelle di frontiera e meno sicure, presidiate da forti guarnigioni, le aveva tenute per sé; mentre quelle interne, tranquille e debolmente presidiate, le aveva lasciate al Senato. Di qui la divisione in province senatorie ed imperiali. Le senatorie erano governate, come in antico, da proconsoli (legati pro consule) eletti di solito annualmente; per quelle imperiali, invece, fungeva da proconsole comune a tutte Augusto stesso, il quale però le governava inviandovi i suoi legati Augusti pro praetore designati da lui. Il legatus di provincia apparteneva sempre all'ordine dei senàtori. Ma in alcune province che esigevano particolare delicatezza di governo (ad esempio l'Egitto) Augusto spediva, non un legatus, ma un praefectus: così' pure in altre regioni annesse recentemente all'Impero, e che offrivano speciali difficoltà, era spedito un procurator il quale però apparteneva all'ordine dei cavalieri. Veramente la carica di procurator fu dapprima di natura finanziaria, ed esisteva anche nelle province senatorie; ma in pratica, specialmente dopo Augusto, il titolo di procurator sostitui' quello di praefectus nelle regioni recentemente annesse (salvo che in Egitto). I territori lasciati da Archelao furono annessi alla sovrastante provincia della Siria, la quale era imperiale e fra le più importanti a causa della sua posizione geografica. Tuttavia non fu una annessione piena e totale, ma piuttosto una subordinazione di poteri; nei nuovi territori, cioè, fu inviato un procurator dell'ordine dei cavalieri, che doveva esserne il governatore diretto e ordinario; egli tuttavia era invigilato nel suo ufficio dal legatus della provincia di Siria, il quale aveva pure facoltà nei casi più gravi d'intervenire nei terriori del procurator. La notoria difficoltà di governare i Giudei aveva indotto il prudente Augusto a questa subordinazione di poteri, in maniera che la giurisdizione ordinaria del procuratore fosse coadiuvata ed eventualmente rettificata dalla giurisdizione superiore del vicino legato.
§ 21. Il procuratore romano della Giudea risiedeva abitualmente a Cesarea marittima, la città recentemente Costruita con suntuosità da Erode il Grande, l'unica fornita di porto e giustamente chiamata da Tacito “capitale della Giudea” sotto l'aspetto politico; tuttavia spesso il procuratore si trasferiva a Gerusalemme, capitale religiosa e nazionale, specialmente in occasione di feste (ad es. la Pasqua), trovandosi ivi un miglior centro di vigilanza. Tanto a Cesarea quanto a Gerusalemme, i due rispettivi palazzi di Erode servivano da praetorium, com'era chiamata la residenza del procuratore: ma in Gerusalemme egli si serviva per il disbrigo di affari anche della potentissima e comoda fortezza Antonia, che sovrastava al Tempio (§ 49). Nell'Antonia aveva anche il proprio quartiere la guarnigione militare di Gerusalemme. Quale comandante militare della regione, il procuratore aveva alle sue dipendenze non legioni romane, ch'erano composte di cives romani e stazionavano nella provincia della Siria, bensì truppe ausiliarie reclutate di solito fra Samaritani, Siri e Greci, godendo i Giudei dell'antico privilegio di esenzione dal servizio miltare. Queste truppe erano di solito divise in “coorti” per la fanteria e in “ali” per la cavalleria. Le truppe della Giudea, a quanto sembra, erano costituite da cinque “coorti” e da una “ala”, raggiungendo complessivamente la forza di poco più di tremila uomini: una coorte era di stanza permanente a Gerusalemme. Quale capo amministrativo, il procuratore presiedeva alla esazione delle imposte e gabelle varie. Le imposte, di natura o fondiaria o personale o di reddito, erano dovute dalla regione in quanto tributaria di Augusto e perciò finivano nel fiscus o cassa imperiale (mentre le imposte delle province senatorie finivano nell'aerarium o cassa del Senato): nel riscuotere queste imposte il procuratore si serviva di agenti statali, coadiuvati tuttavia dalle autorità locali. Le gabelle poi comprendevano diritti diversi, quali dazi, pedaggi, affitti di luoghi pubblici, mercati e altri; la loro riscossione, come nel resto dell'Impero, era data in appalto a ricchi imprenditori i pubblicani che pagavano al procuratore una certa somma, di cui si rifacevano con la riscossione di una determinata partita di gabelle: gli impiegati dipendenti da questi appaltatori generali erano gli exactores o portitores. E’ superfluo dire quanto fossero odiati dal popolo tutti costoro, sia pubblicani sia exactores, e quanti soprusi ed estonsioni avvenissero, specialmente se gli appaltatori subaffittavano il loro appalto come spesso accadeva: tutto il peso di questo complicato bagarinaggio finiva col gravare sul contribuente.
§ 22. Quale amministratore della giustizia il procuratore aveva il suo tribunale, in cui esercitava il ius gladii con potestà di pronunziare sentenze capitali; chi godeva della cittadinanza romana poteva appellare dal suo tribunale a quello dell'imperatore a Roma, mentre per gli altri non esisteva appello. Ma per i casi ordinari continuarono ad esistere e a funzionare liberamente in Giudea i tribunali lòcali della nazione, e in primo luogo quello del Sinedrio a Gerusalemme (§ 57 segg.): esso aveva conservato anche autorità legislativa, sia in materia religiosa sia parzialmente in quella civile e tributaria, che si estendeva ai membri della nazione. Tuttavia al Sinedrio era stata tolta la potestà di pronunziare sentenze capitali (§ 59). In sostanza, sotto i procuratori, l'antico ordinamento nazionale del giudaismo era stato conservato. Il vero capo della nazione restava sempre il sommo sacerdote: in realtà la sua elezione e deposizione spettavano al procuratore e al legato di Siria, ma costoro procedevano ad esse accordandosi con le più autorevoli famiglie sacerdotali, finché dall'anno 50 in poi rinunziarono anche a questi diritti cedendoli ai principi della dinastia erodiana. A fianco al sommo sacerdote, dopo l'annessione all'Impero, stette il procuratore quale sorvegliante politico e rappresentante del fisco imperiale. Nel campo religioso le autorità romane, conforme alla loro antica tradizione, seguirono costantemente la norma del rispetto assoluto, non solo alle autorevoli istituzioni della nazione, ma spesso anche a pregiudizi e stravaganze; alcune volte, è vero, questa norma ebbe eccezioni più o meno gravi per colpa di singoli magistrati, ma presto queste imprudenze furono sconfessate con atti opposti. Si cercò anche di associarsi in certi casi alle costumanze tradizionali, per mostrare verso di esse non soltanto rispetto ma anche simpatia; ad esempio, giunsero più volte dalla famiglia imperiale di Roma offerte per il Tempio di Gerusalemme, e Augusto stesso volle che vi fossero sacrificati ogni giorno un bove e due agnelli per Cesare e per il popolo romano (cfr. Guerra giud., IT, 197) sostenendone la spesa - a quanto sembra - l'imperatore stesso (cfr. Filone, Lega. ad Caium, 23, 40).
§ 23. Molti furono i privilegi mantenuti o concessi da Roma alla nazione giudaica, anche sotto il regime dei procuratori. Per riguardo al riposo del sabato i Giudei erano esenti dal servizio militare e non potevano essere citati in giudizio in quel giorno. Per riguardo alla norma giuridica che proibiva qualsiasi raffigurazione di esseri animati viventi, i soldati romani che entravano di presidio a Gerusalemme avevano ordine di non portare con sé i vessilli su cui era effigiato l'imperatore; per lo stesso motivo le monete romane coniate in Giudea - le quali erano soltanto di bronzo - non avevano l'effigie dell'imperatore, ma solo il suo nome con simboli ammessi dal giudaismo: vi circolavano tuttavia anche monete d'oro e d'argento che recavano la riprovata immagine, ma perché erano state coniate fuori della Giudea (§ 514). Tanto meno fu imposto nella Giudea il culto per la persona dell'imperatore, che pure nelle altre province dell'Impero era un atto fondamentale d'ordinario governo: la sola eccezione a questo privilegio fu tentata da Caligola nel 40, allorché lo squilibrato imperatore si mise in testa di avere una propria statua eretta dentro il Tempio di Gerusalemme, ma il tentativo non riuscì per la fermezza. dei Giudei e per la prudenza di Petronio legato di Siria. In conclusione, la Giudea governata da procuratori romani non si trovò affatto in condizioni peggiori della Giudea governata da Erode il Grande o anche da taluni dei precedenti Asmonei. Naturalmente molto dipendeva dal senno e dalla rettitudine dei singoli procuratori: e qui in verità le deficienze furono numerose e gravi specialmente negli ultimi anni avanti alla guerra e alla catastrofe dell'anno 70, allorché a governare un popolo sempre più intollerante e farneticante erano inviati procuratori sempre più venali e brutali.
§ 24. Dai primi procuratori della Giudea sappiamo poco o nulla che abbia diretta relazione con Gesù. Il primo fu Coponio che entrò in carica nell'anno 6 dopo Cr., cioè appena deposto Archelao; giunto sul luogo, egli insieme col legato di Siria, Sulpicio Quirinio, esegui' il censimento (§ 183 segg.) della regione nuovamente annessa, giacché secondo i principii romani soltanto un regolare censimento delle persone e dei beni poteva fornire la base della futura amministrazione; nonostante gravi difficoltà il censimento fu portato a termine. Coponio rimase in carica tre anni (6-9), e altrettanto i suoi successori Marco Ambivio (o Ambibulo) (9-12) e Annio Rufo (12-15), che fu l'ultimo eletto da Augusto. Il primo eletto da Tiberio fu Valerio Grato (15-26). Costui da principio ebbe difficoltà a trovare un sommo sacerdote con cui andasse d'accordo, giacché depose subito quello trovato in carica, cioè Anano (Anna), e in quattro anni gli dette quattro successori, cioè Ismaele, Eleazaro, Simone e Giuseppe detto Qajapha (Caifa): con quest'ultimo pare che andasse d'accordo. A Valerio Grato successe Ponzio Pilato nell'anno 26.
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