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venerdì 14 gennaio 2011

852 - Vita di Gesù (paragrafi 13-16)

III - I successori di Erode: Archelao – Antipa - Filippo


§ 13. Morto Erode, bisognava eseguire l'ultimo dei suoi tre testamenti, che aveva provveduto alla successione dinastica nella maniera seguente Archelao, figlio di Erode e della samaritana Malthake, era designato come erede al trono con dominio diretto sulla Giudea, Samaria e Idumea; l'altro figlio Antipa, fratello di Archelao anche per parte di madre, era designato come tetrarca della Galilea e Perea; infine Filippo, figlio di Erode e della gerosolimitana Cleopatra, era designato come tetrarca delle regioni settentrionali, la Traconi­tide, Gaulanitide, Batanea, Hauranitide (e Iturea). Ma questo testamento non poteva essere eseguito senza l'approva­zione di Augusto; d'altra parte, alla sua esecuzione si opponevano varie persone, e in primo luogo Antipa, che nel precedente testamento era stato designato, non già tetrarca, ma addirittura erede al trono: inoltre si opponevano anche molti autorevoli Giudei, che erano stanchi delle vessazioni del morto Erode e ne prevedevano delle peggiori dai successori suoi consanguinei, e perciò avrebbero preferito passare sotto il diretto governo di Roma. Per perorare la propria causa, partirono alla volta di Roma dappri­ma Archelao e poco dopo anche il suo rivale fratello Antipa: ambe­due, ma specialmente il primo, si ripromettevano di ottenere da Augusto l'investitura e di ritornare dalla lontana Roma con l'effet­tivo potere regale. A questo curioso viaggio per accaparrami un regno sembra alludere la nota parabola evangelica. (Luca, 19, 12 segg.). Ma i Giudei avversi in genere alla dinastia erodiana non rimasero inoperosi; sedate che furono dalle truppe romane alcune rivolte scoppiate a Gerusalemme, inviarono anch'es­si a Roma una delegazione di cinquanta membri, per chiedere che la monarchia erodiana fosse destituita e che i suoi territori fossero incorporati alla provincia della Siria, onde poter vivere tranquilla­mente secondo le tradizionali costumanze giudaiche sotto la pro­tezione di Roma. Anche a questa delegazione ostile sembra alludere la parabola evangelica (ivi, 19, 14) (§ 499). Fra tanti contendenti, l'accorto Augusto prese una decisione che sembrò andare contro il vantaggio diretto di Roma, pur mirando a conciliare i desideri dei principi rivali. Respinse egli senz'altro la richiesta dei cinquanta delegati giudei, che proponevano l'annessione all'Impero. Ad Archelao conferi il governo dei territori asse­gnatigli dal padre, senza però attribuirgli l'ambito titolo di re: per allora lo nominò soltanto etnarca, facendogli sperare di proclamarlo re più tardi se avesse dato buona prova di sé. Agli altri due eredi testamentari, Antipa e Filippo, concesse i rispettivi territori asse­gnati nel testamento col titolo di tetrarca. Tutto ciò avvenne nell'anno stesso della morte di Erode, 4 av. Cr. I peggio trattati nella decisione di Augusto furono dunque i delegati giudei, mentre essi chiedevano precisamente l'ampliamento dell'Impero. Ma Augusto era un uomo politico che sapeva prevedere ed attendere. Egli confermò in sostanza il testamento di Erode, respin­gendo la richiesta dei delegati, perché con i tre successori del suo defunto servitore egli voleva fare un esperimento: o essi si sareb­bero mostrati abili governanti e soprattutto obbedienti verso Roma come il loro padre, ed allora Augusto avrebbe continuato ad im­perare praticamente in Palestina come prima; oppure avrebbero tenuto un contegno diverso, ed allora l'arbitro di Roma si sarebbe sbarazzato di loro accogliendo generosamente la richiesta dei Giudei d'essere incorporati all'Impero.


§14. Gli avvenimenti successivi mostrarono che Augusto aveva visto giusto e aveva preso una decisione sagace. Archelao resse poco alla prova: col suo governo, crudele e tirannico, invece di ottenere l'aspet­tato titolo di re, ottenne la destituzione totale. Nel 6 dopo Cr. una nuova delegazione, composta questa volta di Giudei e Samaritani insieme, andò a Roma ad accusare l'etnarca presso l'imperatore. Au­gusto fece venire l'accusato per udirne le ragioni; ma, non soddi­sfatto di esse, applicò semplicemente il suo antico progetto, invian­do Archelao in esilio a Vienna nelle Gallie e annettendo all'Impero i territori di lui.


§ 15. Il tetrarca Antipa, ossia Erode Antipa, si resse più a lungo, ma per fare anch'esso la fine del fratello Archelao; quando salì al potere, nel 4 av. Cr., poteva avere un diciassette anni, e si mantenne in ca­rica fino al 40 dopo Cr. Era stato educato probabilmente a Roma, e dei figli di Erode fu quello che rispecchiò meglio il carattere del padre quanto a imperiosità ed amore al fasto, senza però averne l'operosità e l'energia fattiva. Verso l'imperatore usò, come suo pa­dre, l'adulazione di dedicare a lui o a suoi familiari le varie costru­zioni che andava innalzando nei propri territori: nella Perea meridionale, di fronte a Gerico, ricostrui totalmente una vecchia città a cui dette il nome della moglie di Augusto, Livia (che più tardi fu chia­mata anche Giulia, come la Città); in Galilea costrui di sana pianta un'altra città sulla riva occidentale del lago di Gennesareth, e dal no­me del nuovo imperatore la chiamò Tiberiade; anche Sefforis in Ga­lilea, vicina a Nazareth, fu da lui rafforzata ed abbellita, e ne ricevet­te un nome ufficiale che ricòrdava l'imperatore romano, forse quello di Cesarea divenuto poi Diocesarea. Ma, con Augusto, Antipa dovette incontrare poca fortuna; ne incontrò invece molta con Tiberio, giacché avendo capito dov'era il lato debole del nuovo imperatore, sospettoso e ombroso, sembra che si mettesse a fare la spia presso di lui a danno dei magistrati romani d'Oriente, mandando da laggiù informazioni: naturalmente la spia era odiata dai magistrati (§ § 26, 583), ma al delatore stava più a cuore il Tiberio lontano che questo o quel magistrato vicino. La cosa poté continuare finché continuò Tiberio, ma la fine di costui segnò naturalmente anche la fine di Antipa.

§ 16. Chi veramente scavò la fossa ad Antipa fu una donna, la famosa Erodiade. Poco prima dell'anno 28 Antipa fece un viaggio a Roma, probabilmente attiratovi dal suo ufficio d'informatore segre­to, e ivi fu ospitato da un suo fratello, per parte di padre soltanto, che da Flavio Giuseppe è chiamato Erode, mentre è chiamato Filip­po in Marco, 6, 17; questo Erode Filippo, che menava a Roma vita privata, aveva in moglie Erodiade la quale gli era anche nipote, essendo figlia di quell'Aristobulo figlio di Erode il Grande ch'era stato ucciso dal padre. La donna era ambiziosissima, e non riusciva a rassegnarsi a quella vita privata che menava a fianco a suo marito Erode Filippo; l'arrivo dell'ospite Antipa confermò un precedente progetto, perché l'autorevole fiduciario di Tiberio si era già mostra­to molto tenero per la donna. Veramente gli ostacoli per una sta­bile unione erano parecchi e gravi: in primo luogo l'ospite non era più un giovincello, giacché doveva essere sulla cinquantina, e inoltre aveva per legittima moglie la figlia di Areta IV re degli arabi Naba­tei; eppoi la donna era maritata - bene o male secondo la legge giudaica - con un suo zio, e nessuna interpretazione cavillosa le avrebbe permesso di passare ad un altro zio, vivente ancora il primo marito. Ma la passione da parte di lui e l'ambizione da parte di lei superarono tutti gli ostacoli: si promisero che egli ritornato nei suoi territori avrebbe ripudiato sua moglie, e che ella avrebbe abbandonato il vecchio marito a Roma per convolare presso il nuo­vo che l'aspettava assiso sul trono. Ma la legittima moglie di Antipa ebbe notizia in Palestina di quanto si era confermato a Roma; perciò, onde evitare l'umiliazione di un ripudio, si fece inviare da suo marito con un pretesto nella suntuosa fortezza di Macheronte, si­tuata sui confini tra il territorio di suo marito e quello di suo padre, e da lì fuggì presso il padre. Rimosso questo ostacolo, Erodiade venne da Roma presso Antipa trascinandosi appresso la figlia che aveva avuto dal suo primo marito, certa Salome, una ragazzetta di pochi anni ma che a Roma aveva imparato a ballare assai bene.
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