Biagio visse tra il III e il IV secolo a Sebaste, in Armenia (Asia Minore) : era medico e venne nominato vescovo della sua città.
Biagio in qualità di vescovo, dunque, governava la comunità di Sebaste nel periodo in cui nell'Impero romano si concesse la libertà di culto ai cristiani: nel 313.
Nel 316, a causa della sua fede, venne imprigionato e processato; rifiutò di rinnegare la fede cristiana e, per punizione, fu prima straziato con i pettini di ferro, che si usano per cardare la lana, e poi decapitato.
Quello che risulta strano agli occhi degli storici è che Biagio muore martire tre anni dopo la concessione della libertà di culto nell'Impero Romano.
Una motivazione plausibile sul suo martirio sembra sia dovuta al dissidio scoppiato, nel 314, tra Costantino I e Licinio, i due imperatori-cognati (Licinio era sposato con una sorella di Costantino), e proseguito, con brevi tregue e nuove lotte, fino al 325, quando Costantino fa strangolare Licinio a Tessalonica (Salonicco).
Il conflitto provoca in Oriente anche qualche persecuzione locale - forse ad opera di governatori troppo zelanti, come scrive lo storico Eusebio di Cesarea nello stesso IV secolo - con distruzioni di chiese, condanne dei cristiani ai lavori forzati, uccisioni di vescovi.
Per Biagio i racconti tradizionali, seguendo modelli frequenti in quest’epoca, che vogliono soprattutto stimolare la pietà e la devozione dei cristiani, sono ricchi di vicende prodigiose, ma allo stesso tempo incontrollabili.
Il corpo di Biagio è deposto nella sua cattedrale di Sebaste ma, nel 732, una parte dei resti mortali viene imbarcata da alcuni cristiani armeni alla volta di Roma. Una improvvisa tempesta tronca, però, il loro viaggio a Maratea (PZ): qui i fedeli accolgono le reliquie del santo in una chiesetta, che poi diventerà l’attuale basilica, sull'altura detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta, nel 1963, la grande statua del Redentore, alta 21 metri.
S. Biagio lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele incrociate e invocando la sua intercessione. L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente salvato un bambino liberandolo da una spina o lisca conficcata nella sua gola.
Il culto di S. Biagio, oltre che in Europa e nelle Americhe, è molto diffuso in Italia dove sono numerosi i comuni che portano il suo nome e numerosissimi quelli di cui è il patrono.
Molti di questi comuni posseggono anche delle reliquie come :
Carosino (TA) : un pezzo della lingua, conservato in un'ampolla incastonata in una croce d'oro massiccio;
Caramagna Piemonte (CN) : un pezzo del cranio conservato in un busto argenteo;
Cardito (NA) : un ossicino del braccio;
Palomonte (SA) : una reliquia nella Chiesa madre Santa Croce;
Penne, in Abruzzo : il cranio del santo.
Nella cattedrale di Ruvo di Puglia si venera, nel giorno di S. Biagio, una reliquia del braccio del Santo, esposta entro un reliquiario a forma di braccio benedicente, portato in processione dal Vescovo e esposto alla pubblica venerazione dopo la solenne messa pontificale in cattedrale, al vespro del 3 febbraio.
Nella sua qualità di medico, i fedeli si rivolgono a Biagio anche per la cura dei mali fisici ed in particolare per la guarigione dalle malattie della gola; durante la celebrazione liturgica in molte chiese i sacerdoti benedicono le gole dei fedeli accostando ad esse due candele.
È anche protettore dei laringoiatri, suonatori di flauti, cardatori di lana, fabbricanti di materassi, degli animali e delle attività agricole (secondo la leggenda guariva con un segno di croce gli animali ammalati).
S. Biagio è ricordato dalla chiesa il "dies natalis", cioè il 3 febbraio, quando fu decapitato, ma a Maratea la festa patronale si celebra nella seconda domenica di maggio con un cerimoniale stabilito da un protocollo vecchio di secoli. I festeggiamenti durano otto giorni e si aprono il sabato precedente la prima domenica di maggio con la processione al Castello, detta “S. Biagio va per la terra”. Il giovedì successivo, il simulacro del Santo viene portato a Maratea Inferiore, e la mattina della seconda domenica di maggio la statua, coperta col drappo rosso, torna nella sua abituale sede al Castello.
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