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martedì 18 maggio 2010

648 - Pietro, «roccia definitiva e sicura»

Il cristianesimo è un evento irriducibile, una presenza oggettiva che vuole raggiungere l’uomo provocandolo e giudicandolo, fino alla fine.
Disse Gesù agli Apostoli dopo la sua resurrezione: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).



Il cristianesimo è un fattore drammaticamente decisivo per l’uomo solo se è riconcepito in questa sua originalità, in questa sua compattezza fattuale, la cui fisionomia era duemila anni fa quella d’un uomo singolare, ma già lui vivente aveva anche il volto di persone che si mettevano insieme e andavano, a due a due, a fare quello che lui faceva e aveva detto loro di fare, e poi si raccoglievano, tornando da lui. In seguito andarono in tutto il mondo allora conosciuto, come una cosa sola, per portare quel Fatto. Il volto di quell’uomo è oggi l’insieme dei credenti, che ne sono il segno nel mondo, o - come dice san Paolo - ne sono il Corpo, Corpo misterioso, chiamato anche «popolo di Dio», guidato come garanzia da una persona viva, il Vescovo di Roma.


Se il fatto cristiano non è riconosciuto e brandito in questa sua originalità, non serve se non ad essere un folto suggerimento di interpretazioni, di pensieri e magari anche di opere, ma accanto e più sovente in subordine rispetto a tutte le suggestioni di cui la vita si serve.


(Il senso di Dio e l’uomo moderno, BUR, p.126)
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L’autorità suprema è quella in cui troviamo il senso di tutta la nostra esperienza: Gesù Cristo è questa autorità suprema, ed è il suo Spirito che lo fa capire, aprendoci alla fede in Lui e alla fedeltà alla Sua persona.



«Come il Padre ha mandato me, così io mando voi» (Gv 20, 21): gli apostoli e i loro successori (papa e vescovi) costituiscono nella storia la viva continuazione dell’autorità che è Cristo. Nel loro dinamico susseguirsi nella storia e moltiplicarsi nel mondo, il mistero di Cristo viene proposto senza sosta, chiarito senza errori, difeso senza compromessi. Essi costituiscono quindi il luogo ove l’umanità può attingere al senso vero della propria esistenza, con evolutivo approfondimento, come a una sorgente sicura e continuamente nuova.


Quello che il genio è nel grido dell’umano bisogno, quello che il profeta è nel grido dell’umana attesa, essi sono nell’annuncio della risposta. Ma come la risposta vera è sempre imparagonabilmente precisa e concreta rispetto all’attesa - inevitabilmente vaga o soggetta a illusioni -, così essi sono come roccia definitiva e sicura: infallibile. «Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa» (Mt 16, 18).


La loro autorità non solo costituisce il criterio sicuro per quella visione dell’universo e della storia che unica ne esaurisce il significato; ma, anche, essa è stimolo vivo e tenace a vera cultura, è suggerimento instancabile a visione totale, è inesorabile condanna a ogni esaltazione del particolare e a ogni idealizzazione del contingente, cioè a ogni errore e a ogni idolatria. La loro autorità è quindi l’estrema guida nel cammino verso una genuina convivenza umana, verso la vera civiltà.


Dove quell’autorità non è viva e vigile, oppure viene combattuta, il cammino umano si complica, diviene ambiguo, si altera, devia verso il disastro: anche se l’aspetto esteriore sembra potente, florido, scaltrissimo come oggi. Dove quell’autorità è attiva e rispettata, il cammino della storia si rinnova con sicurezza ed equilibrio verso più profonde avventure di genuina umanità: anche se le tecniche di espressione e convivenza sono rozze e dure.


Ancora oggi è il dono dello Spirito che permette di scoprire il significato profondo dell’autorità ecclesiastica come direttiva suprema al cammino umano; ecco donde nasce quell’ultimo abbandono, quella consapevolissima obbedienza a essa, per cui essa non è più il luogo della legge, ma il luogo dell’amore. Al di fuori dell’influsso dello Spirito uno non può comprendere l’esperienza di quella devozione definitiva che lega il «fedele» all’autorità, devozione che s’afferma spesso nella croce della mortificata esuberanza di una propria genialità o di un proprio piano di vita.


(Il cammino al vero è un’esperienza, Rizzoli, pp. 112-113)
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